Il sogno, e l’incubo, più grande di Wes Anderson è sempre stato adattare un racconto del suo eroe letterario, JD Salinger. L’autore de Il giovane Holden non poteva sopportare l’idea che una sua opera potesse essere adattata sul grande schermo. Infatti, sottolineava come la forza delle parole potesse vivere e sopravvivere solo all’interno delle pagine di un romanzo. Come dare forma e sostanza alla voce del narratore, alle sue riflessioni schiette e autentiche? Come tradurre sullo schermo lo sguardo impertinente e disilluso del sedicenne Holden Caulfield?
Al suo arrivo a Hong Kong, a soli cinque anni, Wong Kar-wai si ritrova ad affrontare un mondo sconosciuto. Avendo vissuto tutta la sua infanzia a Shanghai, la metropoli, con il suo curioso dialetto così differente da quello della città d’origine, lo disorienta. L’impossibilità di comunicare con chi gli sta intorno, al di fuori della sua famiglia, lo porta spesso a rifugiarsi nei cinema della città. Insieme alla madre, trascorre le giornate in un luogo dove non servono le parole per comprendersi, basta il linguaggio delle immagini per immergersi il quel mondo così distante ma anche incredibilmente tangibile. E Wong Kar-wai ne resta assuefatto.
Parigi, 1995. Durante un convegno di cinema, i registi Lars von Trier e Thomas Vinterberg lasciano sgomento il pubblico in sala. Von Trier legge l’appena redatto Manifesto del Dogma95 e il relativo Voto di Castità, che con “religioso” rispetto si compone di Dieci Comandamenti.
Dall’uso della camera a mano, all’abolizione del suono extra-diegetico, dall’obbligo di realizzare il film a colori, all’impossibilità di girare pellicole “di genere”. Fino ad arrivare alla più forte provocazione, che mette in discussione l’ideale quasi religioso affidato al “cinema d’autore”: il regista non deve essere accreditato.
Quando Vincent Price, Bela Lugosi e i monster movie sono i tuoi migliori amici. A Tim Burton la normalità è sempre stata stretta.
3 Febbraio 2021. L’annuncio delle nomination ai Golden Globe di quest’anno ha sancito non solo l’inizio della tanto attesa award season, ma un vero e proprio desiderio di normalità che l’industria cinematografica ha per necessità, per un intero anno, dovuto abbandonare.
Ruba come un artista è il mantra che Xavier Dolan ha scelto coraggiosamente di seguire sin dal suo esordio alla regia. L’ispirazione deriva dall’omonimo romanzo di Austin Kleon che nasce come declinazione di una citazione del maestro della New Hollywood, Francis Ford Coppola: Rubate, fino a quando saranno gli altri a rubare a voi.
Una camera immersa nella penombra. Un ragazzo dai capelli biondo cenere che si muove nervosamente al suo interno. Un dettaglio sulla parete: la locandina di uno dei film più discussi della storia del cinema, Ultimo Tango a Parigi del maestro Bernardo Bertolucci.
Per Sigmund Freud la mente è come un iceberg, galleggia con un settimo della sua massa al di sopra dell’acqua. L’analogia ci permette di comprendere piuttosto intuitivamente che ciò che sta al di sopra della superficie è quello che potremmo definire razionalità. Questa, in una società evoluta e civilizzata, è la componente che mostriamo al mondo, e ci permette di adeguarci al meglio alle regole che esso impone. Cosa si cela, invece, al di sotto della logica?