Opinione di molti è che il caso Boccia-Sangiuliano abbia marginalizzato il dibattito sulla recente riforma in materia di tax credit per il cinema, provvedimento che ha tutta l’aria di voler affossare un settore già abbastanza in ginocchio nel nostro Paese. Può darsi. In effetti, un ministro andrebbe giudicato nel merito dell’esercizio delle sue funzioni. Allora entriamoci, nel merito.
Il 14 e 15 settembre sono ricorsi 40 anni dal primo live dei Queen in Italia. In queste due date, la rock band di Freddie Mercury fece sognare il pubblico con decine dei suoi capolavori musicali più belli. Oggi che cosa resta di quelle serate italiane?
Simone Peluso è un giovane regista e filmmaker che sta facendo parlare di sé nella scena musicale italiana e internazionale. Con una carriera in ascesa, Simone ha già collaborato con artisti del calibro dei Måneskin, Fedez, Blanco, e molti altri. Abbiamo avuto il piacere di intervistarlo e scoprire di più sulla sua passione per i video, sul suo processo creativo, e sulle sfide lavorative che ha dovuto affrontare con alcuni dei nomi più noti della musica.
Il 5 agosto è morto Charlie Moss, dopo una lunga e brillante carriera da pubblicitario. L’inventore del celebre slogan “I Love NY” col cuoricino rosso fu capace di restituire un nuovo volto all’angosciata New York del 1970.
Accadono cose che sono come domande. Poi, un bel giorno, quando te ne sei già dimenticato, va a finire che la vita risponde. Eccome se risponde. Quasi chiedesse di giocare, lei, ma con regole ignote, con carte truccate. Allora succede che ti svegli una mattina e lei ti fa sapere che hai vinto tu, almeno quel giorno. E per farlo può usare le pedine più impensabili. Può raccogliere un regista d’oltreoceano che chiamano Kore’eda e portarcelo qui con un’opera fra le mani, da noi chiamata “L’Innocenza”, capolavoro di un’arte stravagante che siamo soliti chiamare “cinema”.
L’articolo nasce dall’idea di tracciare un filo critico fra il lavoro più recente di Gabriele Salvatores, “Il ritorno di Casanova” (2023), e due volumi di letteratura sul cinema, ossia “Kubrick e il cinema come arte del visibile” di Sandro Bernardi e “La galassia Lumière” di Francesco Casetti. A ben vedere, infatti, il film sembra risentire, più o meno consapevolmente, degli echi visivi e tematici riconducibili a Kubrick e Fellini da una parte, e riflettere in maniera autoriflessiva sul destino del cinema stesso dall’altra.
Tra le cose che ci distinguono dagli altri animali ce n’è una, per così dire, piuttosto ragguardevole: l’idea di vivere una sola vita non è che ci esalti un granché. Per quanto la nostra possa a volte sorprenderci, difficilmente le cose si metteranno di traverso fra noi e il nostro insaziabile bisogno di fagocitare storie, tuffarci tra le righe di un altrove, infilarci in racconti che non ci appartengono per poterci restare da comodi intrusi.
Troppo spesso il cinema dell’orrore viene derubricato a intrattenimento spiccio, a vuota valvola di sfogo per saziare lo sguardo delle pulsioni e perversioni più turpi. Eppure, la paura è forse il muscolo dell’uomo più interessante da esplorare. Il problema, semmai, è trovare horror e thriller che abbiano qualità e spessore. Ecco allora alcune chicche d’autore: tre film di Kiyoshi Kurosawa.
Il regista giapponese Ryusuke Hamaguchi ha conquistato il grande pubblico con il successo titanico di “Drive My Car”, che nel 2022 vinse il Premio Oscar come “miglior film straniero”, categoria in cui gareggiava anche Paolo Sorrentino con il suo “È stata la mano di Dio”. Ma quali sono, invece, le sue opere meno chiacchierate, rimaste fuori dal cono di luce? Ecco quattro perle di cinema che meritano una visione.
Una calda domenica di luglio. Troppo calda. L’umidità che colava dall’alto costringeva la città di Milano a svuotarsi, e i suoi abitanti a rifugiarsi in freschi luoghi di sopravvivenza. Molti, quel 14 luglio, si erano infilati in un cinema per assistere alla prima di “Dostoevskij“, l’ultimo strano animale narrativo dei…