A Galla n. 5 del 17/11/2019
Arriva dopo dieci anni la sentenza della Corte d’Assise di Roma sul caso Cucchi.
Il geometra, arrestato per detenzione e spaccio di droga il 15 ottobre del 2009, non è deceduto per cause naturali. Non si è lasciato morire. Non c’entrano la malnutrizione o l’epilessia, ma le lesioni che quella notte gli procurarono in caserma due uomini dello Stato.
La vicenda
La corte si è pronunciata giovedì 14 novembre, dopo l’ennesimo colpo di scena: il magistrato Bona Galvagno, accettando le istanze della famiglia Cucchi, si era difatti ritenuto poco idoneo per giudicare i graduati dell’arma, in quanto ex-carabiniere in congedo. Un segnale che non è passato inosservato. Le indagini per il depistaggio sono quindi passate in mano alla collega Giulia Cavallone che ha ricostruito l’intera vicenda.
Così i carabinieri Alessio Di Bennardo e Raffaele D’Alessandro sono stati condannati a 12 anni per omicidio preterintenzionale. Assolto per non aver commesso il fatto, ma condannato a 2 anni e sei mesi per falso, il carabiniere Francesco Tedesco che aveva accusato i due colleghi di aver picchiato il geometra romano nei locali della Compagnia Casilina, ponendo fine dopo anni di silenzio e depistaggi, a quel muro di omertà che sembrava incrollabile. Condannato invece per falso, ma assolto per calunnia, Roberto Mandolini, ex maresciallo della stazione di Appia.
Si è concluso così il procedimento di primo grado, dieci anni che hanno visto i genitori e la sorella, Ilaria Cucchi, lottare affinché fosse fatta giustizia. “Stefano è stato ucciso, questo lo sapevamo e lo ripetiamo da 10 anni. Forse ora potrà risposare in pace”.
In concomitanza con la fine del processo, si è svolto il procedimento in Corte d’assise di appello per i medici dell’ospedale Sandro Pertini di Roma, dove lo stesso Cucchi venne ricoverato. Per il primario del reparto di medicina protetta Aldo Fierro, e altri quattro medici, i giudici hanno stabilito la prescrizione. Mentre è stata assolta, per non aver commesso il fatto, il medico Stefania Corbi. Per tutti il reato contestato era quello di omicidio colposo.
Abbattere il muro d’omertà
La vicenda Cucchi è ad oggi la storia di una famiglia che non si è mai piegata alle accuse, ai commenti spesso infanganti provenienti da un certo mondo politico che rappresenta anche le alte cariche istituzionali. Giustizia è stata fatta per Stefano anche grazie alla tenacia di una donna instancabile come Ilaria Cucchi e a chi per anni ha alimentato la speranza di una verità sommersa. Una vittoria amara, se pensiamo che dall’altra parte ci sono uomini con il compito di proteggere e assicurare l’incolumità delle nostre vite: lo Stato.
Non c’è da festeggiare per dei militari accusati di omicidio preterintenzionale, ma da chiedersi perché ci sono voluti dieci anni per giungere a questa conclusione. È l’omertà dei pochi quella che spesso sono costretti a pagare i tanti, uomini e donne, liberi di sbagliare senza per questo dover accettare la prepotenza di un silenzio che fa più male di qualsiasi altra condanna.