Il regista, ricordando la trilogia de Le Comiche, tiene una lezione sulla comicità.
Erano gli anni dei sequestri e su Wikipedia avevano scritto che, grazie ai miei film, avevo guadagnato più di 400 milioni e io avevo paura per i miei figli. Così feci modificare la pagina. Scrissero “I suoi film fecero guadagnare più di 400 milioni”, così si iniziarono a preoccupare i produttori, ma i miei figli potevano camminare per strada tranquillamente.
Neri Parenti ha la voce profonda e un riso silenzioso, composto. Strano per chi ha, con i suoi film, elogiato la scompostezza, la risata crudele, sguaiata.
Lui che ha svezzato il Fantozzi di Salce-Fantozzi e portato alla ribalta i cinepanettoni firmati Filmauro.
Ospite del professore Rocco Moccagatta alla lezione di Storia ed estetica del cinema, Parenti parla di comicità e ironia legandosi al cinema delle origini, alle mirabolanti avventure di Harold Lloyd e Buster Keaton.
La comicità dei cinepanettoni è situazionista, quella de Le Comiche è fisica, buffa, quasi cartonista.
E torna lì, al 1990, alla premiata coppia Villaggio-Pozzetto.
È stata un’idea di Mario Cecchi Gori. Io in quegli anni lavoravo con Paolo (Villaggio) e riconoscendone la comicità fisica lo chiamai credendolo adatto al ruolo. Fu lui a convincere Renato (Pozzetto) che non capiva bene il film. Un film quasi muto che per Paolo, fondamentalmente pigro, andava benissimo. Ma Renato è un attore di parola, in origine geometra. C’erano discussioni enormi.
E parla di quella volta che Pozzetto contestò la verosimiglianza di una scena che vedeva Villaggio infilare il dito in un soffitto e farlo uscire sul pavimento del piano superiore.
Ma le misure di soppalco, controsoppalco e sottosoppalco non reggono continuava a dirmi. Ma non serviva la verosimiglianza, non doveva essere vero, doveva far ridere. Nel comico vale tutto.
Riporta in scena la dinamica di coppia dei suoi amati Stanlio e Olio, che omaggia in una gag della trilogia Le Comiche inserendo l’arcinota Vedo gli asini volar come sottofondo musicale. A differenziare Pozzetto da Villaggio, non il fisico, come nel celebre duo britannico, ma la consapevolezza di sapere tutto. Villaggio era, invece, il comico, quello che capisce che il comando è, nonostante la sicurezza dell’amico, incerto ma non ha il coraggio di dirlo.
Ma il dogma rimane quello dell’incoscienza. Loro non si accorgono di nulla o, quando se ne accorgono, minimizzano. Questa è la cosa che mi ha sempre fatto più ridere.
Riguardando il montaggio di alcune gag della trilogia ride di gusto.
Quando si ruba tra noi sceneggiatori si dice “ho reso omaggio” ma è a tutti gli effetti un furto. Ne Le Comiche c’è un mondo che strizza l’occhio alla comicità di un tempo, tipo lo specchio dei fratelli Marx, e ai successi del cinema demenziale americano che in quegli anni stava avendo un successo incredibile.
Il suo è un cinema di pancia, dissacrante, spietato. Magico, soprattutto.
E Neri Parenti, a differenza dell’illusionista migliore, non ha paura di svelare i trucchi del mestiere: controfigure, corde, funi, catene, mascherino e i materiali con cui venivano realizzate pareti e vetrate pronte a crollare. Ricorda Leone, le sue grandi battaglie, i pronti che crollavano e gli incendi.
Bisognava ingegnarsi. Per esempio, gli incendi. Era difficile controllare il fuoco a distanza ravvicinata. C’era questo materiale, si chiamava bostick, la si spargeva su porte, finestre, muri, indumenti e gli si dava fuoco e il fuoco che creava non era caldo, non bruciava.
Conclude rispondendo a un quesito posto dal professor Moccagatta: oggi avrebbe ancora senso fare questo tipo di cinema?
Al successo del film ha contribuito la grande popolarità degli attori. Probabilmente se oggi lo facessero Zalone e Siani sarebbe un successo e si potrebbero fare cose pù importanti, fatte meglio (grazie ai miglioramenti degli effetti speciali).