“E tu, che lavoro vuoi fare da grande?” È la fatidica domanda, pronunciata con insolente curiosità dall’Ansia in persona che, una volta impadronitasi degli adulti, tra cui genitori, nonni e parenti, parla ai bambini proiettando su di loro le aspettative altrui. Ma cosa succede se le aspettative e le priorità dei giovani di oggi, della cosiddetta Gen Z, non rispecchiano più quelle di una volta?
Il mercato del lavoro è profondamente cambiato, ma questa evoluzione continua a generare incomprensioni tra le generazioni, alimentando l’idea che i ragazzi siano meno motivati. Ma è davvero così? La Generazione Z risponde: è tempo di cambiare rotta.
Evoluzione tecnologica e globalizzazione: la fine del “posto fisso”?
Rispetto a qualche decennio fa, il mercato del lavoro è un territorio completamente diverso: più frammentato, più veloce, più esigente. L’idea di entrare in un’azienda appena finiti gli studi e uscirne con la pensione appartiene ormai al passato. Oggi il lavoro è fluido: cambiano i settori, cambiano le competenze richieste, cambiano persino i contratti.
La tecnologia ha modificato radicalmente ogni ambito, creando professioni che ieri nemmeno esistevano: dal data analyst al content creator, dal sustainability manager allo sviluppatore di intelligenza artificiale. Parallelamente, la globalizzazione ha aperto scenari più ampi, rendendo la competizione non più solo locale ma globale. L’esperienza professionale è così diventata meno lineare e molto più dinamica, spingendo i giovani ad adattarsi in fretta e a reinventarsi continuamente.
Dopo decenni dominati dall’ideale del “posto fisso” e del lavoratore instancabile, questi modelli sono entrati in crisi. Se l’innovazione tecnologica e la globalizzazione hanno trasformato interi settori, l’esperienza estrema della pandemia, tra lutti, malattie, chiusure e incertezza sull’avvenire, ha accelerato un cambio di mentalità, spingendo molti a riconsiderare i principi cardine della propria esistenza quotidiana.
Tra le nuove tendenze del panorama lavorativo globale emergono il Job Hopping e la YOLO Economy. Il Job Hopping è la pratica di cambiare frequentemente lavoro, spesso ogni uno o due anni, alla ricerca di condizioni migliori e di una maggiore soddisfazione personale. La YOLO Economy, acronimo di “You Only Live Once”, ha invece contribuito all’aumento delle dimissioni volontarie, spingendo molti a lasciare impieghi stabili per dedicarsi alle proprie passioni, avviare attività autonome o adottare stili di vita più flessibili, come il nomadismo digitale. Questo fenomeno ha favorito la crescita di startup innovative e l’aumento delle partite IVA.
Cosa cerca la Gen Z nel lavoro?
Per la Generazione Z, ovvero i nati tra la metà degli anni ’90 e il 2010, il lavoro non è solo una fonte di reddito, ma anche un mezzo per realizzarsi e contribuire positivamente alla società.
Secondo un’indagine del Top Employers Institute, i membri della Gen Z danno priorità alla sostenibilità delle prestazioni e al benessere personale: alla domanda se accetterebbero uno stipendio inferiore in cambio di un migliore equilibrio tra lavoro e vita privata, il 62% degli intervistati ha risposto di sì. Inoltre, la Gen Z valorizza una leadership fondata sull’empatia e sull’intelligenza emotiva. Sempre secondo lo studio, l’81% dei giovani ritiene che i datori di lavoro debbano impegnarsi attivamente nel sostenere il benessere fisico dei propri dipendenti.
Tra le principali richieste della Gen Z spicca anche la flessibilità. Secondo i dati dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, nel 2025 si prevede in Italia un aumento del 5% dello smart working, con 3,75 milioni di persone che lavoreranno da remoto. Questo modello ibrido risponde al desiderio dei giovani di gestire meglio il proprio tempo e di operare in ambienti più dinamici.
Gen Z e Work-Life balance: la produttività senza il benessere non serve
Secondo un sondaggio di Deloitte, il 49% dei membri della Generazione Z ha vissuto episodi di ansia o burnout legati al lavoro. Non è solo questione di carichi eccessivi: dietro questi numeri si intravedono ambienti professionali che ancora faticano a mettere al centro il benessere mentale. Molti giovani, infatti, lamentano un impegno insufficiente da parte delle aziende nel riconoscere e affrontare apertamente lo stress.
In questo scenario le nuove tecnologie, tra cui la Generative AI, emergono come potenziali alleate per migliorare il benessere lavorativo, offrendo l’opportunità di automatizzare compiti ripetitivi e liberare tempo da dedicare ad attività più creative e strategiche. Tuttavia, il loro utilizzo suscita sentimenti contrastanti tra i giovani lavoratori: alcuni vedono in essa una possibilità di migliorare l’equilibrio tra vita professionale e personale, mentre altri esprimono incertezza riguardo al suo impatto futuro. È fondamentale, quindi, che le aziende affrontino queste preoccupazioni, investendo nella formazione e promuovendo un uso etico dell’AI, affinché questa innovazione contribuisca davvero al benessere mentale e alla soddisfazione lavorativa dei dipendenti.
Cresciuta tra crisi e precarietà, in un contesto dove eventi incontrollabili hanno spesso sconvolto gli equilibri familiari, la Gen Z cerca di contrastare l’elevata percezione di instabilità mantenendo almeno il controllo sul proprio lavoro. Da qui nasce l’attenzione particolare al “come”, “quanto” e “quando” lavorare, e la preferenza per aziende capaci di mantenere uno sguardo libero sul futuro, aperte alle nuove sfide ambientali e tecnologiche, e in sintonia con i bisogni dei più giovani.