Dal 28 febbraio al 2 marzo, il Piccolo Teatro di Milano ha ospitato al Teatro Studio Melato uno spettacolo che porta in scena l’intenso romanzo di Elena Ferrante, Les jours de mon abandon, adattato e diretto da Gaia Saitta. Lo spettacolo racconta la storia di Olga, una donna che, dopo l’abbandono del marito, intraprende un doloroso percorso di rinascita.
La trama di un abbandono
Con il suo adattamento teatrale del romanzo I giorni dell’abbandono di Elena Ferrante, Gaia Saitta non solo rende omaggio alla scrittura potente e coinvolgente della Ferrante, ma trasforma la narrazione di una donna in crisi in un atto teatrale molto intenso. La regista e attrice offre una rilettura potente e senza tempo del percorso di liberazione di Olga, trasportando lo spettatore in un universo prima di dolore, poi di riscatto.
L’opera si svolge in un contesto familiare borghese in Italia (in questa versione teatrale, la storia si sposta da Napoli a Bruxelles), alla fine degli anni ’90. Olga, quarantenne madre e moglie devota, vive un’esistenza apparentemente perfetta ma sua realtà si spezza improvvisamente quando il marito la lascia per una giovane donna. Olga non più in grado di prendersi cura dei figli né di se stessa e sembra precipitare in un vero e proprio baratro emotivo. Tuttavia, questa difficoltà diventerà il punto di partenza per una rinascita che è il reale centro di questa storia. Olga, nella sua “difficile rinascita, diventa simbolo di una lotta universale per l’autodeterminazione femminile e per la libertà.
Un elemento distintivo dello spettacolo è la presenza di un cane da pastore, parte integrante del racconto. Il cane, che si muove liberamente nello spazio scenico del Teatro Studio, diventa una sorta di compagno silenzioso della solitudine di Olga, un legame non verbale che si aggiunge sicuramente alla già impattante messa in scena.

La regia e la scena
Gaia Saitta, artista associata al Théâtre National Wallonie-Bruxelles, porta sul palcoscenico questa storia di emancipazione con una visione originale che unisce sapientemente drammaturgia, spazio scenico e suono.
“La prima volta che ho letto il romanzo di Elena Ferrante mi è mancato il respiro,” racconta Saitta. “L’Italia che racconta è quella di mia madre, dove pareva esistere un unico modello di vita. Ferrante ci mostra un’altra donna possibile, scandalosa e potente, che mi riguarda e mi scuote da dentro, che mi dà il desiderio e la forza di diventare la persona che sono.”
Con la scenografia di Paola Villani, il palco si trasforma in un cantiere, dove ogni struttura e ogni muro crollano, proprio come le certezze di Olga. La casa, simbolo della stabilità familiare e sociale, diventa un luogo di oppressione, fisico e mentale: I muri abbattuti, l’interruzione dei confini tra interno ed esterno, simboleggiano la rottura delle strutture sociali tradizionali che hanno imprigionato la protagonista per anni. L’interno della casa è, di fatto, l’interno della mente di Olga.
Il paesaggio sonoro, curato da Ezequiel Menalled, amplifica la tensione di questa realtà destabilizzata. La casa, simile a un organismo vivente, vibra insieme agli stati emotivi di Olga. La fusione di suoni e rumori diventa quasi un atto di decomposizione dell’ordine preesistente, segnando il processo di cambiamento radicale della protagonista.
In questo spettacolo, come nel romanzo, l’abbandono non è quindi un atto negativo, ma il motore per la rinascita di Olga, che non cerca la riconciliazione, ma la propria affermazione.
Per maggiori informazioni: Les jours de mon abandon / I giorni dell’abbandono – Piccolo Teatro
Per altri articoli sul teatro: “Amleto²”: un ritorno a teatro della follia e della libertà di Filippo Timi – Radio IULM
Immagine in evidenza: Les jours de mon abandon / I giorni dell’abbandono – Piccolo Teatro