Kassandra “The life is a tragedy but Bugs Bunny”: il racconto di Maria Vittoria Bellingeri

Kassandra è uno spettacolo in scena dal 20 al 23 febbraio al Teatro Fontana. Lo spettacolo, scritto nel 2009 dal drammaturgo franco-uruguaiano Sergio Blanco, è stato diretto da Maria Vittoria Bellingeri. Racconta la storia di un’eroina iper-contemporanea, interpretata dall’attrice-cantante Roberta Lidia De Stefano, un’eccentrica poetessa urbana che vive nella sua auto e parla un inglese di sopravvivenza. 

Un mito senza tempo

Kassandra, la profetessa troiana maledetta da Apollo, è condannata a predire il futuro senza essere creduta, costretta ormai a vivere ai margini della società. Il mito si trasforma in una storia attuale e potente, raccontando le condizioni di chi è costretto a rimanere invisibile, senza che qualcuno lo ascolti, un’immagine che oggi diventa simbolo delle donne marginalizzate nel mondo. La protagonista, clandestina e prostituta, vende il proprio corpo in un’auto nella periferia di un’Atene in crisi, simbolo di una società che non vuole ascoltare. 

Sergio Blanco tra mito e fiction

Scritto nel 2009, nel pieno della crisi economica greca, Blanco reinterpreta Kassandra come una donna in transito, una figura fluida e ribelle che canta la propria lotta contro l’incomprensione.

La drammaturgia crea un ponte tra le glorie della città-stato di un tempo e il declino presente.  Il testo è un continuo alternarsi tra realtà e finzione, costruendo così un autofiction, che porta lo spettatore ad interrogarsi su ciò che è vero e ciò che è costruzione scenica. 

Lo spettacolo raccontato dalla regista Maria Vittoria Bellingeri

Quali sono state le maggiori sfide nel mettere in scena Kassandra? 

La sfida principale è quella che affrontiamo ogni volta che portiamo in scena uno spettacolo: riuscire a trovare un vero punto di comunicazione con il pubblico. Kassandra è un personaggio spinto dal desiderio di essere ascoltato, ma come profetessa maledetta non è compresa, e questa condizione si traduce in una continua ricerca di un pubblico disposto ad ascoltarla. Fin dal primo minuto dello spettacolo, mette a disposizione il proprio corpo, la propria voce e la propria storia, svelando un’intimità che vuole abbattere ogni tipo di barriera. 

Kassandra attraverso il teatro riesce ad essere ascoltata e compresa? 

Kassandra è profetessa e poetessa, a volte le si crede, altre volte no, perchè il testo gioca con l’autofiction: può essere davvero Kassandra, oppure può essere qualcun altro che dice di esserlo. La sua è un’azione poetico-politica: attraverso la performance, cerca di scuotere lo spettatore e di coinvolgerlo in un atto di ascolto profondo. 

Come hai lavorato per mantenere in scena l’equilibrio tra realtà e finzione? 

Lo spettacolo è un continuo processo di distruzione delle certezze che si costruiscono man mano. Il testo crea attrito tra passato e presente, lasciando il pubblico nell’incertezza su chi sia davvero. Nonostante la performer Roberta Lidia De Stefano sia formidabile nel rendere Kassandra credibile, ad un certo punto non ha più importanza. Lei cambia volto, assume diverse identità. 

Kassandra diventa il corpo che parla di tutti gli sconfitti, delle vittime del potere, uomini e donne. Per sottolineare questo, abbiamo lavorato su un’ambiguità fisica, dimostrando che l’identità individuale si dissolve nel racconto di un’umanità più ampia

Quali aspetti della storia di Kassandra pensi risuonino di più nel nostro presente? 

Quasi tutti, perchè la storia si ripete. La condanna di Kassandra nasce dal rifiuto di Apollo, che la punisce con un gesto orribile, sputandole in bocca. Questo atto di violenza simbolica ha una risonanza fortissima oggi: è la delegittimazione della vittima, un meccanico che vediamo ogni volta che si parla di stupro e la vittima viene colpevolizzata. 

Kassandra viene dalla guerra, e viviamo un momento storico in cui la guerra è ovunque. Lo spettacolo parla dei come la storia venga raccontata sempre dai vincitori

Che ruolo ha nella narrazione la musica elettronica e techno dal vivo?

Il primo ruolo è la tradizione classica. Nella tragedia greca, Kassandra parla in versi perchè il suo canto è incomprensibile, un linguaggio poetico e frammentato. Per rispettare questa natura, alcune parti del testo sono state tradotte in partiture musicali. Il secondo, è che la musica è un canale di comunicazione primario, capace di raggiungere il pubblico prima ancora delle parole.

In che modo contribuisce all’identità di Kassandra la scelta dell’accento dell’Est Europa? 

L’accento dell’est è stato scelto per sottolineare le origini greche di Kassandra e al tempo stesso evocare un’identità straniera più ampia. Il suo accento non è nettamente definitivo, volevamo che fosse un cliché che lo spettatore potesse poi decostruire. Il linguaggio è una Babele di accenti e lingue, Kassandra parla un inglese di sopravvivenza, una lingua del potere. Ma durante il racconto emergono anche lingue —italiano, francese e spagnolo— che si mescolano in un’esperanto teatrale, capace di abbattere le frontiere linguistiche e geografiche. 

Come l’opera di Mark Laita ha ispirato la postura e il modo di raccontarsi di Kassandra? 

Volevamo che il pubblico avesse subito un’immagine scomoda, un personaggio che esce dall’ombra con un trucco forte, quasi da teatro kabuki, un’attitudine aggressiva e mascolina. Il latex che indossa è una corazza, la rende una guerriera supereroina contemporanea, ma anche una prostituta per strada. Man mano avviene uno struccamento che rivela un corpo femminile, un volto gentile e quasi infantile. Nel corso dello spettacolo, Kassandra indossa anche una maschera da coniglio, usata per raccontare come gli autori classici abbiamo distorto la sua storia. 

Quale messaggio può lasciare allo spettatore la storia di Kassandra? 

Il messaggio principale è la tenacia. Kassandra è vittima di violenze inaudite, eppure non si arrende mai. È una fenice che risorge dalle ceneri continuamente. La sua storia è tragica, ma dentro di lei esiste un ottimismo radicale.

The life is a tragedy, but bugs Bunny”: anche nella tragedia può esserci una forma di salvezza

Immagine in evidenza: Serena Serrani

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