Perché rispondere ai messaggi è diventata un’impresa?

È arrivato quel drastico momento della settimana… Rispondere alle 20 chat arretrate: anche questa volta toccherà mandare i soliti messaggi di “scuse” a tutti gli amici che abbiamo lasciato in attesa per giorni. “Scusa, ho visto adesso”, “scusa, un bug di Whatsapp”, ci si ritrova a essere molto più creativi nel trovare le giuste scuse, piuttosto che le risposte più semplici a un “come è andata la giornata?” (di due giorni fa).  

Ma come mai stiamo diventando accumulatori seriali di notifiche? 

Ad oggi gli smartphone sono sempre più efficaci e veloci permettendoci di rimanere costantemente connessi con amici e parenti, oltre che aggiornati sulle news dal mondo, ma allo stesso tempo, sempre più spesso ci ritroviamo sommersi dal flusso di notifiche e messaggi delle varie app, non riuscendo a gestirli senza esserne sopraffatti. È così che facciamo poi appello alla nostra amica/nemica procrastinazione, finendo per non coltivare con risposte repentine quei legami a cui teniamo.

 L’iperconnessione che toglie la voglia di essere connessi 

Tutto questo è un vero paradosso, ma più precisamente è l’ormai quotidiano fenomeno dell’iperconnessione: tra mail, messaggi e social media, le persone sono esposte a una esagerata quantità di notifiche, ovvero di stimoli esterni.  

Con iperconnessione si intende l’essere sempre connessi ed è quello che ci succede a ogni ora del giorno e della notte, persi tra le app che richiedono la nostra continua attenzione. 

Il cervello non è naturalmente preparato a caricarsi di questo eccesso di stimoli e il perenne rimane on-line senza mai potersene veramente sottrarre (a meno che non ci si obblighi a spegnere i dispositivi); è come una centrale elettrica pronta al corto circuito. Il blackout è causato da una forte sovra stimolazione e la sensazione di essere sempre in ritardo su qualcosa.  

Un bombardamento di notifiche

Ogni volta che il cellulare si illumina per l’arrivo di messaggi o di una qualsiasi notifica, il cervello rilascia dopamina, sentendoci gratificati: qualcuno ci sta cercando. Il piacere provato nel ricevere una notifica ci spingerà istintivamente a volerne di più; quindi, ad attivare lo schermo, quasi come un tic nervoso, per controllare l’arrivo di altre notifiche, interrompendo qualsiasi attività stessimo già facendo. 

La medaglia, tuttavia, è a doppia faccia e se da una parte ci piace che le persone abbiamo voglia di parlare con noi, dall’altra i suoni, le vibrazioni o il semplice schermo intermittente sono un bombardamento sensoriale e tecnologico esterno sempre più visto come nemico. Non solo abbiamo più difficoltà a concentrarci, ma anche la paura di perderci qualcosa (la FOMO, Fear Of Missing Out) ci spinge a rimanere vigili fino allo sfinimento e questo aumenta i livelli di cortisolo, l’ormone dello stress.  

Purtroppo, sembra che l’unico modo per stringere una pace con questo burnout di messaggi e stimoli costanti, sia ignorare e procrastinare le risposte, perché siamo semplicemente troppo stanchi.  

“Poco tempo” passato male: il problema della sovra stimolazione

La sovra stimolazione a cui siamo sottoposti ci ingabbia in un circolo vizioso di stanchezza mentale che impedisce di dedicare tempo alle attività che ci fanno stare davvero bene.  

Troppo spesso pensiamo che quei saltuari “10 minuti di pausa” da dedicare ai social media (sappiamo bene non essere mai davvero 10) servino a ricaricarci, ma in realtà non fanno altro che alimentare stress e stanchezza mentale. Infatti, il nostro cervello non “staccherà la spina”, come si crede, ma sarà sempre impegnato a elaborare ogni singolo dettaglio di quei video, di cui non ci importa veramente, bruciando energie a discapito delle vere nostre priorità, come studiare, andare a fare una passeggiata, leggere un libro, godersi semplicemente la giornata senza il filtro del cellulare.

La nostra è un’epoca in cui siamo perennemente connessi, ma al contempo, siamo troppo stanchi per esserlo veramente (molto da umorismo pirandelliano è il fatto che la causa principale di questa stanchezza sia proprio la connessione stessa). Dunque, abbiamo bisogno di prendere coscienza di come l’iperconnessione stia danneggiando la qualità delle nostre vite e di come sia importante concederci dei momenti in cui, senza vederlo come una auto-restrizione, attiviamo la modalità “non disturbare”, ritrovando così spazio mentale per le attività che ci portano a stare davvero bene e restituire valore alle relazioni sociali di qualità.   Forse la prossima volta non saranno necessarie le solite scuse, ma dire semplicemente la verità: “scusa, ero solo sovrastimolat*” 

immagine in evidenza: computermagazine.it

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