Squid Game 2 ha ottenuto un successo da record nelle sole due prime settimane di permanenza su Netflix, garantendo a se stesso il titolo di “serie più vista” della piattaforma. A distanza di circa un mese, se ne sta parlando ancora molto. Ma che dire a proposito del doppiaggio italiano del titolo sudcoreano? Se spesso l’adattamento in lingua di un audiovisivo è motivo di divisioni, un’altra questione da sviscerare con cautela dovrebbe essere quella della “voce” data ai personaggi. A parlarcene abbiamo invitato Gianfranco Miranda, che ha doppiato Seong Gi-hun nelle due stagioni della serie.
L’intervista
Gianfranco Miranda è doppiatore e direttore di doppiaggio. Tra i suoi tanti ruoli per film, serie e lungometraggi d’animazione, ha prestato la voce a Seong Gi-hun, il personaggio interpretato dall’attore sudcoreano Lee Jung-jae, nelle prime due stagioni del “Gioco del Calamaro”.
Miranda ci parla del doppiaggio italiano, della sua lavorazione e, in particolare, dell’adattamento in lingua di Squid Game. Da grande amante degli anime giapponesi e della serialità televisiva, la personalità di Gi-hun lo ha molto colpito nella sua crescente drammaticità, costandogli però un duro lavoro di resa del personaggio.
Gianfranco, questa è stata la tua prima esperienza con il doppiaggio di un prodotto orientale?
No, mi è capitato di fare anche film cinesi, medio orientali, giapponesi… Ma questa è stata forse la lavorazione che ha avuto più successo. In realtà, di opere asiatiche, ne doppiamo diverse in Italia, prevalentemente cartoni animati, qualche film d’autore, qualche film minore.
Hai già visto o vedrai la seconda stagione di Squid Game?
No, non l’ho visto tutto. La prima stagione, avendola doppiata, ho avuto modo di seguirla abbastanza. Questo perché nella prima stagione il mio personaggio, Seong Gi-hun, era molto presente, c’era in quasi tutte le scene. Ma non l’ho rivista poi in televisione. La seconda ancora non l’ho vista. Ma so già come finisce!
Restando in tema di doppiaggio, qual è stato il tuo primo approccio a una serie sudcoreana?
Il primo approccio è stato nella prima stagione di Squid Game. Nella seconda, questo si è rivelato meno problematico, probabilmente perché il mio attore, Lee Jung-jae, ha un po’ mitigato alcune caratteristiche della sua recitazione. Forse questo fatto è legato alla sua esperienza negli Stati Uniti, dove ha lavorato per la Disney (n.d.R, il riferimento è alla serie Star Wars: The Acolyte – La seguace, 2024, nella quale Lee Jung-jae ha interpretato il Maestro Jedi, Sol).
In generale, il metodo è sempre stato quello di seguire l’originale. L’obiettivo del doppiaggio è la traduzione, quindi l’adattamento, di un prodotto con il fine di trasformarlo in un’altra lingua.
Proviamo a fare un punto sullo schema di lavorazione e di produzione di un doppiaggio italiano. Quali sono i passaggi fondamentali?
I passaggi sono molti. Il punto di partenza è l’adattamento in italiano. Il prodotto, di qualunque nazionalità esso sia, arriva in Italia. Viene dunque selezionata una società di doppiaggio che si occupi dell’intero processo di lavorazione. Infine, la società stessa, o il cliente – l’anello di congiunzione tra l’Italia e il Paese straniero di provenienza del prodotto – sceglie chi sarà il direttore di doppiaggio. Quest’ultimo si occupa di una lavorazione dal punto di vista artistico: sceglie le voci, i doppiatori, quindi la parte distributiva, di suddivisione del lavoro.
Il passaggio iniziale resta l’adattamento, svolto dall’adattatore, che si occupa non solo della localizzazione del linguaggio, ma anche dell’interpretazione della cultura straniera nei termini di quella italiana. Infatti, molto spesso capita ci siano modi di dire o espressioni che noi, nella nostra lingua, non possediamo o che non possiamo tradurre letteralmente. Faccio un esempio molto semplice: la parola “amico“. In italiano non esiste. Chi ha mai detto a un altro: “Ciao, amico“? Serve per tradurre la parola “man“. Gli inglesi dicono: “Hey, man“…E come la traduci? Mica puoi dire: “Hey, uomo“! Perciò, sono stati trovati degli escamotage per rendere la parte “linguistica”, di adattamento culturale, tra una lingua e l’altra.
Il passaggio intermedio vede la figura del direttore di doppiaggio, che si occupa di scegliere o di provinare gli attori che dovranno interpretare i vari ruoli. Infine, c’è la post-produzione: viene eseguito il mix di lavorazione del suono, e si consegna il prodotto finito.
Al contrario, le lingue asiatiche hanno espressioni diverse. Io dico sempre che è come se fossero parlate in dialetto: il coreano è come se fosse il napoletano!
Riguardo a Squid Game in particolare, è stato intrapreso un itinere diverso rispetto alla normale routine di lavoro in doppiaggio?
No. L’unica variazione della routine di Squid Game è stata legata al linguaggio. Il coreano è una lingua su cui siamo poco abituati, anche nel doppiaggio, a lavorare. L’inglese è molto più simile all’italiano, gli attori recitano in modo molto simile al nostro, non c’è un distacco così enorme. Al contrario, le lingue asiatiche hanno espressioni diverse. Io dico sempre che è come se fossero parlate in dialetto: il coreano è come se fosse il napoletano! Se fosse possibile doppiarlo in napoletano sarebbe meraviglioso, perché sarebbe perfetto nell’espressione. Invece il doppiaggio è un linguaggio neutro, non ha accenti, non ha dialetti. Quindi, credo che la variazione rispetto alla routine sia legata soprattutto a questa differenza di accenti.
Quanto è durato il processo di doppiaggio in sala?
Una volta scelti i vari ruoli e i vari attori, si inizia la lavorazione in sala, dove il copione è già stato scritto, già adattato. Il lavoro in sala si svolge in tempi differenti a seconda di quanto l’attore fisicamente parla.
Per quanto riguarda Squid Game, nella prima stagione il processo è stato più lungo perché il mio personaggio in gergo parlava di più, quindi aveva molte più scene. Di conseguenza, io ero chiamato per molti più turni di lavorazione. Ciascun turno, in doppiaggio, ha una durata di tre ore, entro le quali c’è un limite di prodotto da lavorare. Questo servirebbe a spezzare il lavoro, perché sarebbe impensabile fare tutto: bisogna infatti cercare di mantenere un buon rapporto qualità-tempo.
Nella seconda stagione di Squid Game c’è l’episodio del primo gioco, quello di Un, due, tre, stella!. Quel turno è stato particolarmente faticoso, perché ho urlato dall’inizio alla fine! Il famoso “Fermi!“, che ho saputo è diventato virale (n.d.R., il riferimento è a una scena dell’episodio 3, “001“, della seconda stagione della serie). Tre ore di “Fermi, fermi!” urlato in continuazione, per quello il turno è stato abbastanza provante… In generale, la difficoltà dipende da quanto sono complicate le scene, quindi per queste il doppiaggio può risultare più o meno complicato e più o meno faticoso.
Ho provato a immedesimarmi in questo dramma che l’attore ha costruito. Ho seguito il lavoro e la strada che lui aveva già disegnato
Nella stagione due, Seong Gi-hun, il tuo personaggio, si presenta sotto una luce diversa rispetto alla prima stagione. In tal senso, hai notato questo cambiamento radicale nella personalità del protagonista?
Sì, la differenza è veramente evidente. Infatti, non ride quasi mai. In questa stagione non ricordo un attimo in cui si sia messo a ridere. Al contrario, nella stagione precedente era molto più scanzonato, un po’ più sempliciotto. Adesso ha più coscienza ed è diventato più maturo. È diventato anche più drammatico, come personaggio. Questo si nota da subito. Io l’ho visto proprio dai primi anelli.
Da parte mia, non ho fatto altro che cercare di seguire quello che faceva lui. Ho provato a immedesimarmi in questo dramma che l’attore ha costruito. Ho seguito il lavoro e la strada che lui aveva già disegnato.
Hai menzionato la terza puntata della seconda stagione e la scena, iconica, dell’Un, due, tre, stella!. In sala di doppiaggio, si tende sempre a seguire l’ordine cronologico delle scene, o potrebbe capitare di anticipare (o posticipare) l’incisione di una scena rispetto a un’altra?
Un tempo, quest’ultima sarebbe stata una strada percorribile. In sala si lavorava in più persone: se in una scena c’erano due o tre personaggi, molto spesso, anzi sempre, si lavorava in tre anche in sala. Al giorno d’oggi non è più così. In seguito all’emergenza Covid, questa pratica è stata completamente eliminata. La lavorazione è diventata singola, in questo modo è più facile che si prosegua per ordine cronologico. Difatti, se si è in tanti, la quantità di lavoro potrebbe aumentare in modo incontrollato, per cui risulterebbe impossibile fare tutto di seguito. Non tutte le scene hanno lo stesso peso, quindi queste venivano mischiate in funzione di quanto peso avevano e di quanto si riusciva a fare nel tempo limite di sessioni di tre ore. Poteva capitare che si incidesse l’inizio e la fine e poi le parti nel mezzo, o che si cominciasse dalla fine.
Sarebbe stato impressionante vedere la scena del “Fermi!” che hai menzionato prima, recitata da tutti i doppiatori nella stessa sala, allo stesso momento…
Sì, è vero! Prima il lavoro era meno alienante ed era più costruttivo, perché gli attori interagivano. Se sei da solo in sala, in qualche modo devi inventarti l’interazione. Invece, se si è in più persone, in due, in tre, ci si può ascoltare a vicenda e la scena può diventare più coinvolgente. Così ognuno beneficia della presenza dell’altro. Adesso il lavoro di doppiaggio è diventato più difficile perché richiede di avere molta immaginazione.
Chi ascolta è il direttore di doppiaggio, che vede tutto in tempo reale. C’è il fonico di doppiaggio che si occupa del suono. C’è l’assistente al doppiaggio che controlla che quando incidi tutto sia in sincrono tra visivo e parlato. Dunque, perché sei da solo, il lavoro aumenta un po’ per tutti. E soprattutto il direttore deve cercare di immaginare, laddove non ci sono le altre incisioni, come suonerà, come sarà l’armonia tra le voci. Infatti, in genere, l’ultimo che incide è il più fortunato! Questo perché c’è il doppiaggio e può ascoltare le incisioni fatte dagli altri.
La grande sfida è stata quella di trovare un equilibrio, cioè di mantenere il legame con il viso, con l’espressività, cercando al contempo di mitigarlo per non esplodere in un’esagerazione
Il direttore di doppiaggio nelle due serie di Squid Game su Netflix è stato Lucio Saccone. Sul piano della recitazione, come hai interpretato l’espressività del tuo personaggio e quali indicazioni hai ricevuto in sede di incisione?
Il coreano ha il problema che è molto enfatizzato. La difficoltà era cercare il giusto equilibrio tra l’originale e la parlata italiana. Tradurlo esattamente in quel modo, in italiano, diventerebbe una parodia. La grande sfida è stata quella di trovare un equilibrio, cioè di mantenere il legame con il viso, con l’espressività, cercando al contempo di mitigarlo per non esplodere in un’esagerazione.
Io, come ti dicevo prima, ho utilizzato il metodo del dialetto. Pensavo alle battute in napoletano – io, poi, che sono campano – e le traducevo in italiano. Perché anche il dialetto napoletano ha molto colore. Chiaramente quando lo trasformi in italiano tendi a schiacciare quel colore, ne cogli l’essenza, mantenendo però quel tipo di struttura senza esagerare nell’espressività. Io ho utilizzato questo stratagemma che mi veniva comodo, e anche il direttore di doppiaggio mi ha appoggiato. È stata una scelta condivisa.
Il direttore di doppiaggio ha anche l’arduo compito di cercare di darti una mano, laddove non riesci a cogliere determinati elementi. Ti dà una mano nel seguire i dialoghi, nel costruire la tua voce, per ottenere il miglior risultato possibile.
È possibile che, oltre alle necessarie indicazioni del direttore di doppiaggio, possiate appoggiarvi anche a didascalie presenti nel copione tradotto?
L’interpretazione di una scena, o di un personaggio, sono sempre a nostra discrezione. È l’attore che, guardando una sequenza, trae il significato del testo. E il testo è proprio semplice, pura traduzione. Sono riscontrabili indicazioni relative al modo in cui un personaggio scandisce le parole. Per esempio, se lui si ferma e prende un respiro, questo gesto è riportato in forma scritta. Ma non ci sono mai indicazioni sull’interpretazione, solo sul testo puro: dove sono le pause, se ci sono, dove sono i puntini, le sospensioni… Il dialogo è una questione tecnica, mentre la parte artistica è onere dell’attore e del direttore, che segue l’attore.
Per parlare di “doppiatore” usi spesso in alternativa il termine “attore”. Come mai?
Perché io suggerisco sempre, per essere doppiatori, di fare teatro, sperimentare a teatro. Sperimentare il processo creativo, imparare a diventare creatore di un personaggio. Questo aiuta a comprendere meglio il lavoro fatto dall’attore che andrai a doppiare, altrimenti si rischia di diventarne la copia. Nel doppiaggio, non si ri-producono i suoni. Si tratta di una localizzazione in italiano con attori italiani che parlano italiano, quindi deve esserci prima di tutto una partecipazione emotiva. Se non si sa costruire emotivamente un personaggio può diventare difficilissimo. Al contrario di molti che pensano che il doppiaggio sia fatto dai doppiatori, credo che il doppiaggio sia fatto da attori. È una forma differente, non è teatro, non è cinema, non è radio, ma è doppiaggio. Ma sempre attori si è, perché alla fine il processo è sempre lo stesso.
Squid Game arriverà con la stagione finale
Nella sempre più crescente attesa di una stagione finale, Squid Game torna a far parlare di sé in ogni lingua del mondo. A circolare sono le molte teorie e ipotesi su cosa sia possibile aspettarsi entro giugno dalla serie, giunta a un punto di rottura culminante al termine del 2024, ma ancora nessuna risposta ufficiale perviene ai numerosi fan. Non resta, dunque, che aspettare…
Immagine in evidenza: Unica Radio e PLS