Che cosa ritorna sempre del 12 dicembre? La strage, le vittime, i colpevoli, sono i nodi di un intreccio che ad oggi presenta ancora le sue criticità. Piazza Fontana, Banca Nazionale dell’Agricoltura, 12 dicembre 1969. A Milano, la strategia della tensione sconvolse gli innocenti, la banca e le coscienze politiche.
Fontana anno Zero: un prima e un dopo
“La madre di tutte le stragi”, così è chiamato l’attentato in piazza Fontana, che si colloca temporalmente alla fine del decennio 60 in Italia, ma, praticamente, al centro, come “anno Zero” che sancisce un pre e un post 1969. Sono passati, ad oggi, 55 anni dalla strage – dalle stragi, anche Roma interessata – che provocò 17 decessi e 88 casi di ferimenti gravi. Il turning point, lo spartiacque, che battezzò i tre quarti di secolo, piazza Fontana, diede il La agli anni dello stragismo, del piombo e del tritolo. Alla strategia della tensione:
In questo contesto (N.d.r., la situazione del Regime dei colonnelli in Grecia, sospettato di concretare un colpo di Stato militare e fascista in Italia), l’espressione ‘strategy of tension’ apparve per la prima volta sull’Observer (N.d.r., che insieme al The Guardian stava seguendo le vicende del regime greco) del 14 dicembre nell’articolo degli inviati in Italia Neal Ascherson, Michael Davie e Frances Cairncross, sulla strage di piazza Fontana.
Estratto di un saggio di Francesco Maria Biscione, storico e studioso di terrorismo, riportato dal sito del Ministero della Cultura
Febbraio 1972, giugno 2005
Tre processi hanno tentato di mettere la parola “fine” sul caso di piazza Fontana. Dal 1969 al 2005, 36 anni sono trascorsi per deciderne i colpevoli e adesso solamente ventuno ci separano dalla verità giudiziaria dei primi anni Duemila. La pista terroristica non è mai stata esclusa, sin dall’ora dell’esplosione nella Banca Nazionale dell’Agricoltura, seppur inizialmente si fosse pensato – si fosse sperato – dovuta a uno scoppio delle caldaie. I primi nomi a figurare a processo sono quelli degli anarchici Giuseppe Pinelli e Pietro Valpreda. L’uno ferroviere con precedenti, l’altro aderente al “Circolo anarchico 22 marzo”, interrogato e giudicato responsabile fino all’assoluzione nel 1981.
La sede del primo processo, che iniziò nel febbraio del 1972, fu spostata da Roma a Milano a Catanzaro, capoluogo calabrese che gli valse il nome di “processo di Catanzaro”. Le tre istruttorie assunsero colori diversi: il primo, “rosso”, vide imputabili di colpa Pinelli e Valpreda; il secondo, “nero”, l’ala neofascista veneta di Franco Freda e Giovanni Ventura; la terza via fu quella marcata dal Sid (Servizio Informazioni Difesa), il servizio segreto dell’epoca, e dai suoi aderenti (Guido Giannettini, Gianadelio Manetti, Antonio Labruna).
Il secondo processo (1989-1991) si aprì con l’assoluzione di tutti gli imputati, salvo la condanna dei neofascisti Stefano delle Chiaie e Massimiliano Fachini. Il cosiddetto “processo di Catanzaro-bis” si concluse, però, di nuovo, in un nulla di fatto. Doveva ancora incominciare a spirare il vento ordinovista sulla magistratura.
24 febbraio 2000. Si torna con la giurisdizione a Milano. La culla della strage di piazza Fontana. Il “processo di Milano”, anche detto “processo a Ordine Nuovo”, aggiunse alle piste sinora fiutate una di estrema destra, capitana dal movimento Ordine Nuovo. Fu quest’ultimo ritenibile, e ritenuto, commesso e ispiratore dell’attentato dinamitardo del dicembre 1969. Nel giugno 2005, poco più di trent’anni dopo il primo giudizio emesso dalla Corte, l’organismo veneto di Ordine Nuovo venne, in linea quasi certa, incriminato per i morti di piazza Fontana.
Se un nuovo processo venisse celebrato oggi, con i dati contenuti in questo libro, è probabile che i responsabili della strage di piazza Fontana avrebbero tutti o quasi un nome.
Guido Salvini, autore dell’ultima istruttoria contro Ordine Nuovo, a proposito del suo libro-raccolta “La maledizione di piazza Fontana”, aggiornato con nuove fonti relative ai processi di Milano e Catanzaro
55 anni di stragi
La strage di piazza Fontana istituì l’Anno Domini della storia del terrorismo italiano. Dall’aprile 1969, nel padiglione FIAT della Fiera di Milano; al 1974, a Brescia, in piazza della Loggia; a Bologna, e a San Benedetto Val di Sambro sui treni Italicus e Rapido 904. Depistaggi, alibi falsati, la volontà di “risvegliare l’opinione pubblica” addormentata. “Io so“, disse Pasolini, “ma non ho le prove“. Un discorso, ancora dopo 55 anni, complice di essere estremamente attuale.
Immagine in evidenza: Adnkronos