L’arte del vestire e quella del raccontare, attraverso sequenze di immagini, sono protagoniste di un sodalizio che vede l’una a disposizione dell’altra. Il ruolo dei costumisti all’interno delle pellicole cinematografiche è di fondamentale importanza. Vestire un personaggio, vuol dire raccontare visivamente il suo carattere donandogli tridimensionalità.
Il potere del vestiario
Dai tempi delle pellicole in bianco e nero, stilisti e registi collaborano insieme per raccontare un’ estetica, che si metta a disposizione della storia che si vuole raccontare.
Basti pensare ad Audrey Hepburn, che non sarebbe Holly Golightly senza il tubino nero, creato da Hubert de Givenchy e da lei indossato in Colazione da Tiffany del 1961.
Per vestire i panni di qualcun altro è quindi fondamentale indossare ciò che il personaggio indosserebbe.
L’evoluzione della figura del costumista
Negli anni Venti il mondo del cinema vede definirsi la figura del costumista. Tale ruolo non si limita più alla creazione materiale dei costumi, ma affonda in un lavoro di ricerca, interpretazione artistica e collaborazione con altri dipartimenti di produzione.
Divenendo così una figura chiave per la creazione di un immaginario visivo che rispecchi la narrazione della storia. Le pellicole che da allora si sono susseguite, hanno portato in scena creazioni sartoriali così significative e comunicative da diventare protagoniste al pari di chi le indossava.
Si può non ricordare il nome dell’attrice che nella pellicola La Dolce Vita, diretta da Federico Fellini, entrò nel buio della notte nella fontana di Trevi, ma tutti ricordiamo cosa indossava. ”Marcello come here!” Così Anita Ekberg incita Marcello Mastroianni a farsi un bagno con lei, sotto le cascate di uno dei più celebri monumenti romani, con indosso un abito da sera nero disegnato dal costumista Piero Gherardi.
Pellicole come questa sono un esempio di una forte collaborazione tra costumista e regista. Gherardi e Fellini continuarono infatti a lavorare insieme, per titoli come 8½. Dove Mastroianni, nuovamente protagonista, indossa un paio di occhiali a cornice rettangolare. Tale modello ancora oggi gode della fama che la pellicola è riuscita a donargli; per l’eleganza con cui l’attore li fa scivolare sul suo naso per abbassarli e guardare al di là delle lenti scure.
L’incontro creativo tra Cinema e Moda
Il rapporto tra la settima arte e il settore della moda, ad oggi, si rivela particolarmente intrecciato. Il mondo della comunicazione si nutre del cinema, per raccontare la sua estetica, talvolta creando delle vere e proprie micro produzioni cinematografiche.
Alessandro Michele, ai tempi della direzione creativa della maison Gucci, si affidò al regista Gus Van Sant per la creazione di sette episodi, dal titolo Overture Of Something That never Ended. Questi microfilm non si limitavano a presentare i capi disegnati da Michele, ma la forza creativa del designer e quella del regista si unirono in questo progetto per poter descrivere un ecosistema targato Gucci.
Il vestire e il raccontare sono quindi due elementi attivi nella costruzione di un universo creativo comune e questo le case di moda e di produzione lo sanno bene.
Cartier nel 2013 scelse il regista Luca Guadagnino per dirigere una trilogia intitolata ai monumenti di Parigi: i Giardini del Palazzo Reale, Rue du Faubourg Saint-Honoré e Place de l’Opéra.
Bulgari nel 2002 affida la campagna Unexpected Wonders al regista Paolo Sorrentino, che dirige Anne Hathaway e Zendaya. Le due attrici si fondono insieme alla bellezza ammaliante dell’alta gioielleria e dei tesori di Roma.
La sinergia creativa tra registi e designer
È chiaro che il legame tra moda e cinema è un rapporto paritario allo scopo di esaltarsi a vicenda. La connessione tra questi due mondi si è intensificata al punto da farli fondere.
Il racconto che si vuole portare avanti parte dai red carpet, dove talvolta il cast veste lo stesso brand dei personaggi che hanno interpretato, fino ad arrivare alla promozione del lavoro finito.
Talvolta i registi divengono protagonisti stessi di azioni promozionali, come nel caso di Luca Guadagnino per la pre-collezione primavera 2023 di Loewe, firmata Jonathan Anderson. Fino ad arrivare a vere e proprie operazioni di mecenatismo, dove i creativi credono nei rispettivi lavori.
Anthony Vaccarello, direttore creativo di Saint Laurent, decide di fondare la Saint Laurent Production, ossia la prima società di produzione cinematografica gestita da una casa di moda. Superando qualsiasi attività di product placement, dando alla luce un’operazione culturale che ha accompagnato diversi titoli all’ultima edizione del Festival di Cannes, che ha visto in concorso, come unica pellicola italiana, Parthenope di Paolo Sorrentino.
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