Quincy Jones, muore la stella della musica che “creò” Michael Jackson

A 91 anni si spegne Quincy Jones. La sua lunga e brillante carriera di musicista l’ha portato a ricoprire ruoli che l’hanno eletto icona “pop” della scena musicale statunitense – e mondiale. Ricordiamo i suoi contributi in “Thriller“, “We are the wolrd“, e il suo rapporto di amicizia con alcuni dei più alti pilastri della musica.

Quincy Jones has done it all

Con questa frase, che qui fa da sottotitolo al paragrafo, inizia un articolo redatto nel 2018 da Jason Heller per Rolling Stone. Il testo in questione è una rassegna abbecedario che si compone di frammenti di vita, ricordi, impressioni dell’allora 85enne Quincy Jones. Dalla A alla Z, Heller ne esplora l’attivismo e l’impegno civile, la sua vita da artista e privata, restituendo un’immagine di Quincy che forse pochi ricordano, se non per quei ruoli che, a loro tempo, l’avevano reso noto ai più. L’incipit dell’articolo traduce così la carriera del “maestro”:

Quincy Jones ha fatto tutto quello che ha fatto. Dall’essere uomo di jazz a capogruppo nelle band, fino a soldato per i diritti civili, a produttore dei migliori trionfi pop, si è meritato il proprio status di leggenda una dozzina di volte.

Jason Heller, traduzione dell’incipit dell’articolo “Quincy Jones from A to Z” sull’online di Rolling Stone

Nel 2024 Quincy Jones non aveva più 85 anni, ma di lui si è continuato a parlare e ancora adesso si torna, si deve farlo. Nella notte di domenica, Jones è morto nella sua villa a Bel-Air secondo le prime dichiarazioni dell’ufficio stampa Arnold Robinson. Ricordare Quincy Jones oggi è perpetuare la sua eredità, come artista ma anche come uomo.

Sulla musica di Chicago

Quincy Delight Jones Jr. nasceva a Chicago, Illinois, il 14 marzo 1933. Durante la giovane età si fa chiamare “Q”, un nomignolo che gli rimarrà cucito addosso per tutta la vita. Lo utilizzerà persino in diverse sue produzioni artistiche: l’album musicale “Q’s Jook Joint” (1995) o anche l’autobiografia “Q: the autobiography of Quincy Jones” (2001). Pur avendo trascorso buona parte dei suoi anni d’adolescente nei quartieri di Seattle, Washington, il suo luogo d’origine nel sud del Paese gli è sempre rimasto caro. Qui, infatti, cominciò la sua carriera da musicista, sentendo la vicina suonare il pianoforte e il padre la tromba, influenzato inoltre dalla passione della madre malata per il gospel. Proprio a Chicago, Quincy Jones, già divenuto famoso, co-fonderà nel 1968 il Black Arts Festival. L’evento, dedicato alle arti culturali africane, si è tenuto quest’anno il 3 agosto al Summerfest a Milwaukee, Wisconsin.

Il padre di Quincy Jones era carpentiere per la “Jones Gang“, un’organizzazione criminale di afro-americani che fu insidiata e, infine, smantellata dal noto mafioso italo-americano Al Capone. In un’intervista al The Hollywood Reporter, Jones raccontò di un’infanzia passata nella povertà, nella criminalità e nella violenza tra bande. Fu la musica a salvarlo. “(La musica) mi fece voltare pagina. Sarei stato morto o in prigione se non mi fossi messo a farla“. Si trasferì con la famiglia a Seattle all’età di 10 anni e prese le prime “lezioni” dal maestro Clark Terry che, come riporta il The Hollywood Reporter, fu anche insegnante di un altro grande volto del pantheon jazzistico statunitense: Miles Davis.

Seattle e l’avvio di carriera

Sulla via per Seattle, Quincy incontra il sedicenne Ray Charles. Tra i due nasce subito un’intesa e, tra un locale dove esibirsi e l’altro, scoprono una chimica che sarà difficile spezzare persino con la morte di uno dei due. Nel 2001, durante la performance live di Charles in occasione dei Kennedy Center Honors, il pianista cieco inviterà all’ascolto dal palco Quincy Jones. Quella con cui Charles si esibirà durante le premiazioni sarà una canzone dedicata al suo life-long compagno di musica e di avventure: “My Buddy (Love you Quincy)“. Ma ancora prima, nel 1967, Quincy era stato produttore del singolo “In the heat of the night” (ABC Records), duettato da Charles e dalla tastiera-organo di Billy Preston.

All’età di 12 anni, Quincy Jones suonava la tromba per Billie Holiday ogni volta che la cantante blues veniva in concerto a Seattle. Lavorò con personalità quali quelle di Duke Ellington, Aretha Franklin, Lionel Hampton, Dizzy Gillespie. Ma, in quanto artista versatile, collaborò anche con numerose star del lato “bianco” delle etichette discografiche: Frank Sinatra, Tony Bennett, Barbra Streisand.

Da destra: Michael Jackson e Quincy Jones ai Grammy Awards del 1994. Da Il Fatto Quotidiano Magazine

Musicista e “producer”: sulle soglie del pop

Quincy Jones è noto per la sua musica, ma soprattutto per le sue “produzioni”. Immediatamente, si pensa a “We are the world”, lo storico singolo del 1985 realizzato per il progetto di beneficienza USA for Africa su spinta dell’attivista e musicista Harry Belafonte. La famosa canzone pop, entrata nell’immaginario di molti anche venuti dopo quella data evento, era stata scritta e musicata da Lionel Ritchie e da Michael Jackson. Quest’ultimo, tra l’altro, aveva già avuto precedenti contatti con Quincy Jones, il quale nell’82 era stato produttore di “Thriller”, brano da record in classifica del Re del pop.

In un’intervista al The Guardian, Quincy Jones si aprì in merito al percorso produttivo al fianco di Michael Jackson, iniziato nel 1979 con l’album “Off the wall” e proseguito fino ai grandi successi di “Bad” (1987). Alla domanda del giornalista Paul Lester: “C’era un’atmosfera tesa nello studio di registrazione mentre lavoravate su ‘Off the wall’ e ‘Thriller’?”, Jones rispose:

Ma neanche per sogno! Più rilassata di così si moriva! Ci facevamo due risate, ci divertivamo. Scherzi? Devi saperti divertire! Se sei rigido, la tua musica è rigida e non sa di niente. Ero solito dire: “Lascia sempre uno spazio a Dio perché possa essere lì con te nella stanza.”

Quincy Jones per il The Guardian

Breve tappa a Hollywood

Impossibile da non menzionare è il contributo di Quincy al cinema. Ritroviamo il suo nome in film come “La calda notte dell’ispettore Tibbs” (regia di Norman Jewison, 1967) con un inconfondibile Sidney Poitier nel ruolo del protagonista. Nella colonna sonora è inserita quella canzone di cui si parlava prima, “In the heat of the night“, che ripete il titolo originale del film. Poitier fu grande amico di Quincy Jones, per il quale tessé un discorso di lode quando il cantante nel 2012 ricevette il premio Montblanc de la Culture Arts et Patronage.

Quando un ragguardevole onore viene consegnato a un amico, io mi sento grato. Ma mai come adesso io mi sento grato, ora che quell’amico è qui presente, con noi, nel bagliore salubre della mezza età per riceverlo, assaporarlo. Ora che è pronto a incamminarsi verso altre sfide, lasciandosi alle spalle i traguardi, le vittorie, i rischi corsi e le scelte prese… Caro amico. Sono certo che, dovunque sarai diretto, sarai destinato a cose sempre più grandi.

Sidney Poitier nel suo discorso alla cerimonia di consegna del premio Montblanc a Quincy Jones

Il ben noto talento di Quincy Jones è stato anche omaggiato dal documentario “Quincy” dei registi Rashida Jones (figlia di Quincy) e Alan Hicks, uscito su Netflix nel 2018.

Sidney Poitier. Da Cinematografo

L’attivismo e l’eredità di Quincy Jones

All’inizio si è menzionato il Black Arts Festival, che fu una delle tante iniziative promosse da Quincy per la tutela dello heritage africano. Tra gli anni ’60 e ’70, infatti, il musicista fu molto legato alle lotte a favore dei diritti civili degli afro-americani. Propugnò le tesi anti-razziali di Martin Luther King Jr., di Jesse Jackson e quelle di Malcolm X. Come riporta l’articolo di Jason Heller menzionato come nota introduttiva, per Quincy Jones musica e attivismo andarono spesso a braccetto. Ciò viene dimostrato dall’Institute For Black American Music e dal Quincy Jones Listen Up Foundation, fondate entrambe da Quincy. Queste due attività, nate da un piccolo baccello, crebbero immensamente e servirono a corroborare le tesi di Jones e di tanti altri attivisti come lui, impegnati a creare un futuro migliore per tutti.

Quincy Jones lascia in eredità le sue statuette d’oro, la sua musica, che non rimarrà inascoltata ancora per diversi anni a venire, la sua silhoutte stagliata sullo sfondo di Hollywood e, se esistesse, del tempio della musica.

Immagine in evidenza: Rolling Stone

Autore

  • Mi chiamo Giulia, sono studentessa al 3° anno della Facoltà di Comunicazione, Media e Pubblicità. Mi interesso di giornalismo e critica, sono illustratrice amatoriale e, musicalmente, batterista. Abitando in Brianza, ho imparato a conoscere Milano grazie allo IULM, sperimentando e migliorando le mie capacità creative e tecniche, che mi portano a scrivere oggi per il blog della radio universitaria.

    Visualizza tutti gli articoli

Lascia un commento