“Messieurs, faites vos jeux!”: il cinema e il gioco d’azzardo – Parte 1

Una rassegna della più interessante cinematografia occidentale incentrata sul gioco d’azzardo porta a riflettere sulla trasposizione filmica del ludico e del dramma in chiave sempre diversa. Ecco analizzati alcuni film che fanno del gambling, delle scommesse e del rischio un quid che dà motore all’azione.

“Le due vite di Mattia Pascal” (Mario Monicelli, 1985)

Le due vite di Mattia Pascal” è un classico della letteratura italiana riadattato dalla mente registica di Mario Monicelli a metà di una lunga e ricca carriera di film. Il Mattia Pascal protagonista della pellicola è impersonato da un ormai men che giovane – eppure vivace – Marcello Mastroianni, che seppe lavorare sul personaggio pirandelliano con una certa maestria d’attore. L’homme de nulle part (come recita il titolo di un altro film sulla medesima storiella umoristica) è il soggetto che si rende oggetto (o vittima, o sventurato, o felice) di una vicenda singolare che lo vede prima, commemorato, da morto e poi, dimenticato, da redivivo. Questa vicenda, a un certo punto del racconto, incrocia i binari di un’altra, di altrettanto interesse drammatico. In essa, Pascal-Mastroianni parte per Montecarlo, decisione seguita a una serie di riflessioni che l’hanno portato dall’ipotizzare il proprio suicidio al preferire, a questo, il gioco.

L’episodio si rifà in larga misura a quello già presente nel libro, ma è particolare il modo in cui, nel film, la macchina da presa si soffermi più volte sui dettagli dei tavoli da roulette e sui volti degli avventori dell’affollato casinò, come a voler interrogare con esplicita insistenza gli sguardi, i pensieri e il dialogo silenzioso che questi intrattengono con Mattia. Egli (che non è ancora “fu” sulla carta) si affida alla fortuna nella speranza di sottrarsi alla propria condizione di coniuge perseguitato. Pur imprigionato dalle catene del gioco d’azzardo, quello a Montecarlo sarà forse il proprio più riuscito esercizio di libertà.

Un fotogramma in bianco e nero del film a colori di Monicelli. Sullo sfondo, i lussuosi interni del “casinò” di San Pellegrino Terme, da Fondazione della Comunità Bergamasca

“Rain Man, l’uomo della pioggia” (Barry Levinson, 1988)

Il denaro è un concetto al di fuori della sua portata”. Questa è una citazione al film che nel 1988 raccontò per fotogrammi la storia di scoperta, ricongiungimento e amore tra due fratelli. L’uno rinchiuso in un istituto per malati di mente, l’altro divenuto un ciarlatano venditore d’auto di lusso. La pellicola è una commovente parabola su un rapporto di odio frustrato che a poco a poco muta in una scherzosa complicità.

Anche in “Rain Man” una lunga sequenza è imperniata sul gioco d’azzardo. L’episodio in questione arriva nella seconda metà del film, nel momento in cui Charlie Babbitt (Tom Cruise) approfittando dell’handicap del fratello Raymond (Dustin Hoffman, che infatti interpreta qui un uomo autistico), sfrutta le innate doti di calcolo e di memoria di quest’ultimo per vincere una somma spropositata a Los Angeles. A Raymond, infatti, basta memorizzare le carte dei mazzi del blackjack per far intascare a Charlie ben 86.000 dollari in fiches.

Questo segmento di storia delinea splendidamente la relazione tra due individui, che si mostra a tratti “perversa” e unilaterale (minata dalle tendenze vanagloriose di Charlie). In altri momenti, invece, essa assume quella complessità tipica di un legame d’amore-odio che unisce gli attori nella causa (un affabile Charlie che insegna a Raymond a ballare nella suite d’albergo, in una sequenza di forte impatto emotivo; lo stesso Charlie che, un istante prima, si irritava col fratello perché questi gli aveva fatto perdere tremila dollari puntando sulla ruota della fortuna).

Il gioco d’azzardo nella pellicola di Barry Levinson unifica e divide, in un tira e molla continuo, due anime che, solo alla fine, troveranno il modo di coesistere.  

Raymond (Dustin Hoffman) e Charlie Babbitt (Tom Cruise) al tavolo da gioco in una inquadratura del film, da CineTivù

“Uomini contro” (Francesco Rosi, 1970)

Si conclude la prima parte di rassegna con un altro film italiano. Con questo “caso” cinematografico, riarrangiato a partire dal frutto creativo di un prosatore della Grande Guerra, Emilio Lussu, il discorso sul gioco d’azzardo si fa meno lampante. Infatti, non vi sono sequenze o scene specifiche che lo trattano, come avvenne invece per i lavori dei registi menzionati prima. Tuttavia, il contesto bellico tout court giustifica la presenza di quest’opera tra quelle nelle quali il rischio non calcolato funge da perno narrativo. Nel film si ambienta la vicenda di un manipolo di soldati trinceratisi dal nemico, i quali a più riprese (tutte fallimentari) tenteranno di riconquistare l’altopiano caduto in mano agli austro-ungarici.

Il film apparecchia per lo spettatore una ricca tavola di riflessione, imbastita su certe dinamiche di significato che avvicinano “Uomini contro” a “Orizzonti di gloria” di Stanley Kubrick.

Nella pellicola di Francesco Rosi il tema del gioco d’azzardo evolve direttamente dagli stessi protagonisti. Il generale Leoni (Alain Cuny) tenta la sorte dei propri uomini, spingendoli a morire per cause immaginarie; dopo un imbarazzante encomio al coraggio e al sacrificio, fa indossare ad alcuni di loro delle grottesche armature di latta, come a prendersi gioco della sorte stessa (sempre impietosa). Infine, il sottotenente Sassu (Mark Frechette) gioca come a una roulette russa quando cerca di liberarsi del crudele Generale facendolo puntare da un cecchino nemico attraverso uno spioncino nella trincea.

Il generale Leone (Alain Cuny) e il tenente Ottolenghi (Gian Maria Volonté) in trincea, da CineFacts

Immagine in evidenza: Cinemateque

Autore

  • Mi chiamo Giulia, sono studentessa al 3° anno della Facoltà di Comunicazione, Media e Pubblicità. Mi interesso di giornalismo e critica, sono illustratrice amatoriale e, musicalmente, batterista. Abitando in Brianza, ho imparato a conoscere Milano grazie allo IULM, sperimentando e migliorando le mie capacità creative e tecniche, che mi portano a scrivere oggi per il blog della radio universitaria.

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