Tra le strade di Roma, in Via Margutta, arte e moda si osservano, dialogano e si piacciono: gli scatti di Jonny Moncada e la nuova figurazione della “scuola romana” incontrano la maglieria Luisa Spagnoli.
Tra autarchia e avanguardia
Alla scoperta del periodo autarchico, rovistando tra rayon, lanital, viscosa, e altri mille filati dell’autosufficienza, inevitabilmente si incappa nell’angora e nella rivoluzione della sua creatrice, Luisa Spagnoli. Una donna e un talento imprenditoriale passati alla storia, così come la sua “città dell’angora”, l’area produttiva tessile nel sobborgo perugino di Santa Lucia. L’universo Luisa Spagnoli, però, non è solo quello della rivoluzione della maglieria italiana, nonostante come ricorda Maria Pezzi “ripercorrere la storia della maglieria equivale a ripercorrere i dress code del nostro secolo”. Allora cos’altro si nasconde dietro questa donna? Avanguardia, pura avanguardia, dal rapporto stuzzicante con il mercato americano fino alla politica aziendale orientata verso le esigenze del lavoratore a tutto tondo.
Due Luisa Spagnoli
Dopo la morte della signora Luisa, come nelle migliori tradizioni, le redini sono passate ai familiari. Tuttavia non è casuale che tra tutti, oltre al figlio Mario, spicchi proprio l’operato di Luisa Spagnoli, omonima nipote. Così dal 1956, in un look book ante-litteram pensato dalla nipote per l’esportazione estera dei prodotti, la moda Spagnoli al centro dello studio fotografico di Jonny Moncada, è protagonista di un sodalizio durato ben nove anni e animato dall’irrequietezza artistica di Via Margutta.
Nel cuore di Roma
Roma si sa, è mostruosamente grande, dispersiva, paludosa, specie per le nascenti tendenze artistiche che talvolta non badano alla programmaticità e all’ordine. Per altro, un articolo de La Stampa del giugno 1970 testimonia che: “A Roma negli anni sessanta c’erano pochissimi collezionisti: Solari, Luisa Spagnoli, Franchetti, Campilli, Anfuso“, ragione per cui a posteriori, risulterebbe quasi impossibile credere che la nostra salonnière d’eccezione non si fosse lasciata andare ad una crasi arte-moda.
L’arte romana in dialogo con la moda
Così i lavori di Achille Perilli e Gastone Novelli segnano l’epilogo artistico della “scuola romana” e la nascita della centralità del segno sulla tela, la cosiddetta “nuova figurazione” (fulcro delle riflessione dei due sulla rivista “Esperienza Moderna“), ispirando e facendo da sfondo agli scatti di Moncada x Spagnoli. Al civico 54 della Montmartre romana, lo studio di Moncada, il primo della capitale provvisto di attrezzature innovative, si popola di abiti in maglia, opere d’arte e modelle tra cui Joan Whelan, Iris Bianchi, Anna Filippini, Ivy Nicholson, Christa Paffgën, Luisa Gilardenghi. Su un set del genere, l’incontro tra l’estetica anni Sessanta, riflessa sia negli abiti che nelle modelle sorridenti, e il linguaggio pittorico segnico degli sfondi di Perilli e Novelli produce un‘atmosfera al limite della derealizzazione ma imprevedibilmente calzante che toccherà il culmine con gli scatti del 1961 dedicati alle prime missioni spaziali.
Valore Testimoniale
A questo progetto, che in modo autentico e non costruito accolse in sé arte e moda, tutt’altro rispetto agli standard scialbi a cui siamo abituati oggi, è stata dedicata una mostra. A dieci anni dal debutto di “Made in Italy” nelle sale del Museo Etrusco di Villa Giulia, abbiamo ancora bisogno di progetti che, come questo, esortino alla ricerca e mettano in luce il valore testimoniale della moda, anche dal punto di vista archivistico (in questo caso l’Archivio Moncada e Nando and Elsa Peretti Foundation di grande sostegno).
Immagine in evidenza: da “Made in Italy. Una visione Modernista” e “Turismo Roma“