Oggi si verifica un ribaltamento assiologico per il quale chi si esprime per la “libertà di” è guardato con sospetto. Ogni apertura è seguita dall’avvertimento contro al “liberi tutti”. È come se aspettative modeste quali andare fuori a cena o prendere un caffè al bar fossero diventate delle richieste esagerate. Con Andrea Miconi e Alberto Mingardi, professori dell’università IULM, abbiamo discusso di quanto questo sia preoccupante: le libertà, anche piccole, a cui eravamo abituati prima della pandemia non ci sembrano più normali. Per converso, atteggiamenti come la delazione e il controllo sono stati introiettati e normalizzati.
Comunicare per metafore
È giusto che una società ricca stia attenta al valore di ogni singola vita umana e si prendano più precauzioni rispetto alle precedenti epidemie influenzali. Quello che colpisce è come ha funzionato il sistema dell’informazione, che forse è la vera differenza rispetto al passato. Anziché affrontare un problema si è costruita (e si costruisce ancora) l’impressione di una piaga biblica. Si medicalizza l’intera percezione della società e si cercano dei capri espiatori.
L’elemento più pericoloso sotto l’aspetto simbolico-retorico è stato l’utilizzo della metafora bellica. L’idea stessa di coprifuoco è mutuata da questo campo semantico. Noi, però, non siamo in guerra. Abbiamo a che fare con un microrganismo che cerca di riprodursi ed è molto contagioso. Questo è anche dovuto a certe contingenze: si propaga più facilmente al chiuso e viviamo in società altamente urbanizzate; è più pericoloso per gli anziani e la popolazione odierna invecchia meglio di quanto non sia mai avvenuto. Non c’è da prendere provvedimenti contro un nemico che reagisce e che coscientemente cerca di metterci in scacco.
Si va necessariamente alla ricerca di un significato o una metafora. Pensare che il virus ci parli, che ci stia facendo scoprire qualcosa o che sia un segno della natura è un errore. Il virus è un evento, è un problema, bisogna cercare di venirci alle prese senza antropomorfizzarlo.
Un’occasione per il cambiamento?
Negli ultimi quattordici mesi non c’è stata una progettazione. Il campo della libertà individuale è stato divorato da una rigidissima regolamentazione dello stato su qualsiasi segmento della vita. Mai avremmo pensato di assistere a qualcosa di simile. Probabilmente le cose non andavano bene nemmeno prima, però adesso le condizioni sono invivibili.
C’è da porre attenzione quando si dice che si deve sfruttare questo momento storico e che il virus ci ha fatto capire delle cose che non funzionavano. La storia non è fatta solo da processi biologici, ma anche da gruppi sociali. C’è chi sta usando la pandemia come un’occasione per far passare cambiamenti profondi. Queste modifiche possono essere giuste o sbagliate, ma dovrebbero essere l’esito di una discussione e di una scelta politica, non qualcosa che appare necessitato da una situazione di crisi.
L’aumento straordinario di spesa e di debito sulle spalle dei giovani non è legato all’emergenza sanitaria. Non sono stati spesi soldi per fare test salivari su larga scala e i fondi per i vaccini avrebbero potuto essere maggiori. Si sta cercando di innescare una trasformazione politica con il pretesto che non bisogna sprecare una crisi. La chiusura della società si è accompagnata a una totale impreparazione sui temi specifici dell’epidemia.
Normalizzare il rubinetto
Durante il primo lockdown si è scoperto che con un po’ di parole altisonanti si riusciva a chiudere la gente in casa senza rimetterci troppo in termini di consenso. Per la nostra classe politica e dirigente se le persone non possono lavorare l’unica cosa che conta è che si dia loro dei soldi. Questo senza considerare che il lavoro non si riduce a una questione di denaro, si dovrebbe tenere contro di ciò che significa per la psiche della gente. In generale, si è pensato che il modo migliore per gestire la pandemia fosse aprendo e chiudendo la società come se fosse un rubinetto.
Non siamo l’unico paese ad aver preso misure simili, ma c’è anche chi ha provato a proporre delle soluzioni diverse. C’è chi ha fatto test rapidi a tappeto in modo da isolare i positivi e non dover chiudere in casa tutta la popolazione. La classe politica italiana, percependo che le chiusure non avrebbero pregiudicato il consenso, non ha neppure provato a proporre altre misure come avrebbero potuto essere degli investimenti sui test rapidi o sulle borse di studio per i giovani che si specializzano in medicina.
Il sistema dell’informazione
Il problema riguarda anche l’informazione. Parte della comunità scientifica mondiale si esprime da tempo con contrarietà a queste misure, ma non le si dà spazio. È stata creata una bolla per cui le persone non credono che ci sia un’alternativa alla modalità con cui è stata gestita l’emergenza in Italia.
Allo stesso tempo, in questi mesi si è verificata una divaricazione. I media hanno veicolato un’informazione ossessiva che ha seminato ansia, mentre è mancata una chiara comunicazione delle regole essenziali al pubblico generale che non legge i giornali e non è sui social. Il massimo della cacofonia da una parte e il minimo dell’informazione prudenziale dall’altra.
Il metodo scientifico è totalmente estraneo alla discussione pubblica. Le persone chiedono agli scienziati che vanno in televisione la stessa cosa che chiederebbero a degli sciamani: “dimmi quale sarà il mio futuro”. Questa è una prospettiva che non si può domandare a nessuno, tantomeno a uno scienziato. A ciò si aggiunge il fatto che sarebbero dovuti entrare nella discussione e nel calcolo dei costi e benefici delle misure anche altri esperti come sociologi e psicologi, le cui competenze subiscono una svalutazione sistematica.
Veleno
Ciò che sta fermentando in questo tempo difficilmente potrà essere un fertilizzante per la vita sociale e civica. Sono stati dati dei fatali colpi al capitale sociale, ovvero la condivisione delle regole, il senso dello stare insieme, i principi della democrazia liberale, i diritti, la convivenza. Vige ora un clima di delazione, coprifuoco e stato di polizia. Bisogna dimostrare di non essere pericolosi. Questo non è sterco, ma veleno. Se entra in circolazione nel sistema linfatico di una società genera problemi che permangono per generazioni.
Rimane una dura lezione per le emergenze del futuro: si possono togliere degli spazi di libertà alle persone e tutto sommato queste non si lamentano.