Le parole della lingua italiana [… ] sono piene di storia e di passione. Una lingua stupenda che sta scemando e morendo quasi come la fiamma di una candela che si affievolisce pian piano.
Annamaria Testa
Così Annamaria Testa, saggista, docente, creativa (e molto altro), descrive la lingua Italiana nel suo TED talk “From bello to biutiful: what’s going on with the italian language?”. Come afferma la relatrice, oggi più che mai la contaminazione linguistica serpeggia tra le nostre conversazioni spontanee, determinando l’insediamento di anglicismi nel vocabolario comune ed erodendo la bellezza e la storia di una lingua romantica come l’italiano.
Su questo argomento si è aperto il primo Circle di TEDxuniversitàIULM, gestito dal professor Giuseppe Mazza. Con sessanta minuti a disposizione, i partecipanti hanno sfruttato ogni secondo per interrogarsi ed esprimersi su un’argomento che, in quando membri della Generazione Z, ci vede protagonisti.
La lingua italiana è quella che parliamo
I punti di partenza per la discussione sono stati messi in gioco proprio dalla speaker durante il suo discorso. Noi italiani, così protettivi e fieri del nostro Made in Italy, non ci atteggiamo di conseguenza quando si parla della nostra lingua, permettendo continue contaminazioni. L’egemonia odierna della lingua inglese spiega l’ovvio perché di questo fenomeno, che vede come forza motrice proprio i nativi digitali.
La nostra lingua è quella che parliamo.
L’incontro si è fin da subito posto in contrasto rispetto alla tesi portata avanti da Annamaria Testa. Vivere in un mondo globalizzato ci connette continuamente con altre culture e strutture sociali; è quindi poco probabile che la nostra lingua venga lasciata fuori da qualsiasi influenza e rimodellamento. Come accadeva una volta con il latino, oggi è così con l’inglese: una continua contaminazione.
Rivendicare la purezza della lingua italiana può di conseguenza risultare un atteggiamento protezionista: le parole della nostra lingua e dei nostri dialetti si sono trasformate nella diacronia del tempo, influenzate da infinite variabili. Quando si parla del nostro linguaggio, la lingua è proprio quella che parliamo, ricca di neologismi, influenze e commistioni con altre culture. Se ci fosse stato un unico italiano, Dante non avrebbe speso tempo ad innalzare la materia da una cantica all’altra della sua Divina Commedia, né Manzoni avrebbe passato vent’anni a costruirla, una lingua italiana unitaria.
Italian-Inglisc
Dopo una più attenta riflessione, però, la discussione raggiunge un livello bilaterale: è giusto utilizzare anglicismi solo se in modo appropriato, piuttosto che alternare parole inglesi a quelle italiane unicamente per rafforzare la credibilità di un discorso. Di conseguenza, è necessaria una maggiore conoscenza della lingua inglese per poterla utilizzare in modo adeguato. Ognuno di noi ha gli strumenti per imparare a usare in modo consapevole l’inglese, e dove l’istruzione fallisce, Internet ripara.
Al contempo, ampliare il nostro vocabolario originale ci aiuterebbe a valorizzare la lingua italiana. La sensazione è che noi stessi non riusciamo a riconoscere la grande carica simbolica delle parole del nostro antico vocabolario, tanto da sostituirle laddove si può, impoverendo sempre più il repertorio che abbiamo a disposizione.
Questa asimmetria linguistica non fa altro che dare alle istituzioni la possibilità di generare disinformazione. Gergo formale e slang inglese possono essere facilmente manipolati per rigirare gli eventi come più ci fa comodo e per restringere la percentuale di italiani che veramente comprende il senso della comunicazione. C’è un motivo se, all’inizio della pandemia, ognuno aveva una versione diversa di come stessero le cose.
Conclusioni
In definitiva, il multiculturalismo ha da sempre caratterizzato la nostra lingua e cultura in tutte le sue sfaccettature.
Nel campo della comunicazione formale, è la comprensione a dover essere privilegiata; ma quando invece si parla di creatività, della lingua che parliamo, il senso del gusto è signore. L’italiano può essere più sonoro ed evocativo di altre lingue, ma i nostri dialetti non sarebbero nulla senza le loro multiple contaminazioni estere. La lingua è proprio quella che parliamo, ricca di neologismi, influenze, tracce e commistioni con altre meravigliose culture. Senza l’arabo, il greco e lo spagnolo, oggi non avremmo il nostro dialetto siciliano; e poi, senza Sciascia e Pirandello, cosa ci avrebbero fatto studiare al liceo?