Per Josh e Benny Safdie il cinema è l’arte più perversa tra tutte. Si tratta di andare contro natura, provando a replicare su uno schermo una realtà preesistente.
Se così fosse, la realtà che i fratelli Safdie proiettano nel loro cinema è folle, incontenibile e caotica.
Classe 1984 e 1986, Josh e Benny Safdie trascorrono la loro infanzia a New York, tra il Queens e Manhattan. Cinefili accaniti e certamente influenzati dal cinema di Martin Scorsese, trasportano nelle loro pellicole il tipico caos che regna nella città che non dorme mai. La loro intensa collaborazione inizia con dei primi cortometraggi, da The pleasure of being robbed a The Acquaintances of a Lonely John. Sono proprio questi lavori che li fanno approdare al festival del cinema di Cannes e li rendono delle vere e proprie gemme del cinema indipendente.
Il sodalizio con la casa di produzione chiave del filone indie americano, la A24, sigla l’ormai avvenuto successo. I Safdie Brothers hanno ora maggiore libertà: portano sullo schermo dei veri e propri tranche de vie di quegli antieroi newyorkesi che altrimenti, nel caos della città, scomparirebbero.
Are you having a good time?
Il caso e il caos. Queste sembrano essere le due uniche variabili che muovono i personaggi costruiti dai fratelli Safdie. Lo si nota sia dal punto di vista della scrittura, fatta di dialoghi cacofonici e disturbati, sia dal punto di vista della storia nella quale si inseriscono, che sembra non lasciare un attimo di respiro.
Il ritmo nel cinema dei fratelli Safdie è serrato, i loro personaggi si muovono sempre sul filo del rasoio. Basta un nulla, il minimo errore, per farli cadere. Questa idea di continuo dinamismo è data da una regia ricca di primi e primissimi piani. Sono frequenti scene affollate e dense in cui i protagonisti sembrano perdersi, per poi far ritornare immediatamente il focus su di loro.
Good Time (2017) porta con sé la cifra stilistica tipica dei Safdie Brothers. Si apre con una rapina non andata a buon fine, architettata da due fratelli (interpretati da un bravissimo Robert Pattinson e dallo stesso Benny Safdie), che si dimostrano incompetenti di fronte a un’azione simile. Comincerà una corsa forsennata per fuggire dalla polizia, che ben presto catturerà uno dei due fratelli, portando l’altro a cercarlo disperatamente per tutta New York. Le luci al neon, i colori accesi e l’insistente uso della musica elettronica contribuiscono ad alimentare una sensazione di ansia e disagio continua. Il tutto culmina nel finale, che stupisce e sconvolge.
Il gioco della fortuna
All’apparenza è tutto un gioco. Seguiamo impotenti l’ascesa e la disfatta di personaggi che non sembrano veramente in grado di controllare le proprie azioni. I fratelli Safdie creano dei ritratti fisici e psicologici di protagonisti sornioni, eccessivi e a tratti antipatici. Con i quali, però, sembra impossibile non entrare in empatia.
É impossibile restare indifferenti di fronte alle folli azioni che muovono Howard Ratner, gioielliere ebreo affetto da ludopatia, che continua costantemente a scommettere su partire di basket, addossandosi debiti a non finire. Gioca costantemente con la fortuna, credendo fermamente di poterla controllare a proprio piacimento. Ma dopo i rinomati quindici minuti di celebrità sembra quasi che la caduta non sia solo inevitabile, ma quantomai dolorosa.
Il continuo uso della camera a mano non fa che aumentare quel senso di frenesia che permane in ogni scena e in ogni inquadratura, lasciando lo spettatore col fiato sospeso. Si è incapaci, soprattutto, di prevedere la prossima, disperata, mossa dei personaggi.
Da Sandler a Scorsese
Benny e Josh Safdie stanno dominando il cinema indipendente americano, ottenendo in breve tempo riconoscimenti di critica e di pubblico. L’ultima vittoria della coppia risale a gennaio, agli Independent Film Award, che premia la loro splendida ultima fatica, Uncut Gems, prodotto e distribuito da Netflix. Si tratti di un progetto faticoso e appassionante, per il quale i registi hanno lavorato assiduamente per più di dieci anni. La pellicola regala inoltre un’interpretazione impeccabile da parte di un attore dalla filmografia discutibile, ma che in Uncut Gems brilla: Adam Sandler.
I Safdie Brothers non desideravano altro attore all’infuori di lui per interpretare il già citato Howard Ratner, eccentrico gioielliere ebreo. Per Sandler non è stato difficile accettare, vedendo le indubbie abilità registiche dei due fratelli. Ma non è l’unico ad aver creduto in loro.
Caposaldo del cinema d’autore contemporaneo, Martin Scorsese, regista ammirato e a tratti venerato dagli stessi Safdie Brothers, è uno dei produttori esecutivi di Uncut Gems. Mancava forse questo tassello per colmare una carriera già proiettata verso il successo di due registi che hanno dedicato la loro vita all’amore per il cinema, e che ora sono pronti a trasmetterlo con i loro film.