Il cinema Made In Italy: i Maestri

Alcuni artisti, più di altri, sono riusciti a catturare il proprio tempo in immagini indelebili, contribuendo all’affermazione del cinema italiano sia a livello internazionale per la sua qualità che nell’immaginario collettivo nazionale come strumento di riflessione culturale sul passato, presente e futuro. È grazie a questa straordinaria abilità che figure come Roberto Rossellini, Luchino Visconti, Federico Fellini e Pier Paolo Pasolini sono state consacrate a Maestri del cinema italiano.

Roberto Rossellini e il neorealismo

Nel 1944, subito dopo la guerra, tutto era distrutto in Italia. Il cinema come ogni altra cosa. Qua e là fiorivano alcuni tentativi ma le ambizioni erano estremamente limitate.

Roberto Rossellini sul cinema nel dopoguerra

Nel 1945 esce Roma città aperta, primo film della cosiddetta “trilogia della guerra” di Roberto Rossellini, considerato l’opera fondante del Neorealismo italiano. Girato nei quartieri popolari devastati da nove mesi di occupazione nazista con pellicola scaduta, il film rappresenta un atto di resistenza tanto estetica quanto morale.

La decisione di ambientare la storia tra le strade e le rovine di una Roma ferita riflette la volontà del regista di raccontare la realtà così com’era, senza filtri o abbellimenti artistici. Rossellini sceglie di ispirarsi a episodi reali, facendo risiedere la forza narrativa nel popolo italiano che, pur avendo perso tutto, continua a lottare con dignità.

Roma città aperta impose Rossellini all’attenzione della critica e del pubblico, soprattutto stranieri, per la violenza delle immagini veicolate attraverso un tono documentaristico, inconsueto per il cinema del tempo.

Luchino Visconti e il cinema antropomorfico

Al cinema mi ha portato soprattutto l’impegno di raccontare storie di uomini vivi, di uomini nelle cose, non le cose per se stesse. Il cinema che m’interessa è un cinema antropomorfico.

Luchino Visconti

Il cinema di Luchino Visconti, pur essendo più ancorato a una visione sostanzialmente aristocratica dello spettacolo, si colloca sulla stessa linea di quello di Rossellini nella volontà di verità e di impegno sociale. Anche per Visconti, infatti, il cinema è prima di tutto uno strumento per raccontare l’uomo, dando vita ad un racconto profondamente antropomorfico.

Al centro del dramma viscontiano c’è sempre l’uomo concreto, attraverso il quale si snodano i grandi temi della cronaca e della storia, dell’impegno ideologico e politico, così come della denuncia di precise condizioni sociali e morali.

ll suo desiderio di osservare la realtà italiana con uno sguardo nuovo non si traduce in un rifiuto della tradizione, bensì in una rilettura critica dei classici. Il capolavoro La terra trema (1948) è una reinterpretazione moderna de I Malavoglia di Verga alla quale Visconti aggiunge elementi a lui più affini, come la denuncia dello sfruttamento capitalistico e la riflessione sull’azione collettiva di classe. Infatti alla visione di Verga, che considera ogni speranza vana e la disgrazia inevitabile, Visconti contrappone l’impegno collettivo come strumento per superare la tragedia.

La dolce decadenza di Federico Fellini

Con il suo cinema Fellini contribuisce a una rigenerazione del racconto nazionale.

l’autore e regista Marco Bertozzi riferendosi al cinema di Fellini

Federico Fellini, maestro nel trasporre su pellicola la complessità della società italiana, utilizza in La dolce Vita (1960) la città di Roma come simbolo e microcosmo dell’intero Paese. Il regista racconta un’Italia in pieno boom economico, dove gli eccessi del piacere e del godimento sono maschere fragili che nascondono un malessere profondo e diffuso e in cui la corruzione morale e spirituale investe ogni ambito: dalla religione al cinema, dall’aristocrazia agli intellettuali, fino ai mass media. La rappresentazione che ne emerge è articolata, ambigua e contraddittoria, proprio come la realtà che Fellini intende denunciare.

Questa rappresentazione si traduce in immagini potenti, come l’iconica scena della donna nella Fontana di Trevi, divenuta simbolo di un’intera epoca e di uno stile di vita. Il titolo stesso è entrato nel linguaggio comune, trasformandosi in espressione emblematica dei costumi italiani del tempo.

Fellini riprende e approfondisce il tema della decadenza morale del poplo italiano a lui contemporaneo in Otto e mezzo (1963), dove la crisi sociale si fa esistenziale. Qui, l’impossibilità di uscire dalla confusione del mondo moderno assume la forma di un tormento interiore, segnando il passaggio da una critica pubblica ad una più intima e personale.

Pier Paolo Pasolini: il sesso e l’amore per gli italiani

La cultura italiana del tempo mi è arrivata attraverso il cinema.

Pier Paolo Pasolini in “Primo piano. Personaggi e problemi dell’Italia d’oggi” (1968)

Pasolini si distingue, oltre che per la radicalità delle sue posizioni, per l’originale recupero del mito e della tradizione pittorica italiana, utilizzati come strumenti per comprendere più a fondo la realtà contemporanea. In questo contesto, trova un’inedita posizione la sessualità che viene esplicitamente rappresentata, sia come forza vitale che come espressione di morte.

Il primo incontro del regista con il tema della sessualità avviene nel documentario Comizi d’amore (1965), in cui Pasolini interagisce sia con persone comuni che con figure di spicco della cultura italiana, come lo scrittore Alberto Moravia e la giornalista Oriana Fallaci.
Il film si configura come un viaggio attraverso l’Italia, esplorando i concetti di sesso e amore per gli italiani, documentando i mutamenti nel costume sociale.

La sua riflessione si concentra sulle contraddizioni di una società divisa tra il desiderio di libertà e le inibizioni imposte dalla cultura dominante influenzata dalla presenza imponente della Chiesa cattolica. Pasolini sfida le convenzioni sociali e religiose affrontando, in modo inedito per l’epoca, temi come i rapporti sessuali, l’erotismo e l’omosessualità.

Il tema della sessualità ritorna in Edipo Re (1967), attraverso la rappresentazione dell’incesto, e in Teorema (1968), dove diventa una forza in grado di sovvertire le norme borghesi. Questo film, in cui il desiderio e l’erotismo diventano strumenti di distruzione e liberazione, anticipa quella che sarà la “Trilogia della vita” (1971-1974), in cui la sessualità, vissuta come libera da vincoli oppressivi, si intreccia a una riflessione più profonda sul cinema come contenitore e produttore di immaginario.

Pochi paesi al mondo possono vantare la stessa fortuna dell’Italia: quella di aver dato i natali ad artisti, di cui i citati non sono che un piccolo numero, capaci di raccontare l’anima e la storia del paese dando vita ad un patrimonio unico che vive nel tempo.

Fonte immagine in evidenza : cinemaroma.city

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