Alfonso Cuarón: una masterclass al cinema Godard

Sabato 12 aprile il regista e sceneggiatore messicano Alfonso Cuarón è stato protagonista di una masterclass al Cinema Godard della Fondazione Prada di Milano. Durante l’incontro moderato da Paolo Moretti, il curatore del cinema, Cuarón ha discusso (interamente in italiano!) della sua carriera dagli esordi fino ai suoi progetti più recenti.

“Ladri di biciclette” e la nuova ondata

Nato a Città del Messico nel 1961, Alfonso Cuarón si appassiona al cinema sin da piccolo. Racconta di quando a soli 8 anni andò a vedere con suo cugino “Ladri di Biciclette” (1948) di Vittorio De Sica pensando si trattasse di un film per adulti, di un thriller su dei rapinatori. E invece si ritrovò davanti a un mondo completamente diverso. Così è partita in Cuarón una curiosità di conoscere questo tipo di cinema europeo. Iniziò a vedere molti film italiani e francesi tra cui alcuni di Godard e Antonioni che, ammette, lo annoiavano. Nonostante fosse troppo piccolo per comprenderli, era attratto da questo linguaggio cinematografico così particolare che agli occhi di un bambino sembrava “sbagliato”.

Da adolescente frequentava diversi cinema e club dove conobbe Emmanuel Lubezki, detto Chivo. Così inizia un sodalizio che continua tutt’oggi con Lubezki, che è il direttore della fotografia di gran parte dei film di Cuarón. I due poi andarono alla stessa università, il Centro Universitario de Estudios Cinematográficos di Città del Messico.

Emmanuel Lubezki (sinistra) e Alfonso Cuaron (destra) durante le riprese di “Y Tu Mama También” (2001), da ft

“Solo con tu pareja” e l’arrivo a Hollywood

Il primo vero e proprio progetto cinematografico di Cuarón è stato “Solo con tu pareja” (1991), una commedia romantica messicana con Lubezki al suo fianco per la fotografia. All’epoca erano pochi i film messicani che venivano fatti uscire dal paese, ma Cuarón voleva che il suo film fosse visto in tutto il mondo e andò controcorrente. Nonostante tutti i problemi tecnici e produttivi che ebbero con questo debutto, fu una grandissima occasione che gli aprì le porte di Hollywood.

Arrivato nella città delle stelle, venne assunto per dirigere un episodio di “Fallen Angels” (1993), una serie neo-noir con altri episodi diretti da nomi quali Tom Hanks e Tom Cruise. Cuarón si sentiva un po’ il “brutto anatroccolo” in mezzo a queste star, ma riuscì a tener testa grazie soprattutto all’incoraggiamento degli attori Alan Rickman e Laura Dern. La serie ebbe un grande successo e Alfonso Cuarón diventò a tutti gli effetti un autore di Hollywood.

“Solo con tu Pareja” (1991), da IMDb

“A Little Princess” e le sceneggiature

A questo punto ricevette un consiglio che cambiò le sue sorti non proprio in meglio: “a Hollywood se sei un regista, non dire di essere scrittore”. Così iniziò a ricevere tantissime sceneggiature scritte da altri, sceneggiature che erano, a detta sua, spazzatura. Nessuna lo convinceva. Questo finché un giorno Chivo gliene fece leggere una dal titolo“A Little Princess”, un adattamento del libro per bambini di Frances Hodgson Burnette. Cuarón se ne innamorò e insieme a Lubezki iniziarono a lavorarci. Decisero di fare il film interamente dal punto di vista della protagonista, con anche la telecamera sempre all’altezza dello sguardo della bambina. Una sfida dal punto di vista della fotografia, ma come detto da Cuarón:

Nell’arte la limitazione è fondamentale. Perché è una scelta unica, una strada unica.

Alfonso Cuaron durante la masterclass
“A Little Princess” (1995) , da scenebygreen

“Great Expectations” e il ritorno in Messico con “Y Tu Mama También”

Alfonso Cuarón andò in giro per l’Europa a presentare “A Little Princess” (1995), portandolo persino a Sarajevo durante la guerra civile in Jugoslavia. Intanto però iniziava a sentire la necessità, economica per lo più, di fare un nuovo film. Leggeva sceneggiature su sceneggiature, ma niente, non gliene piaceva una. Poi arrivò la proposta di“Great Expectations” (1998), una grande produzione con Ethan HawkeGwyneth PaltrowRobert De Niro. Accettò, ma non lo sentiva suo. Con i giorni che passava alla lavorazione, sempre accompagnato dalla fotografia di Lubezki, continuava a pensare “la prossima volta fidati del tuo istinto”, istinto che gli aveva detto non essere un buon film. Infatti la critica fu mediocre e anche il box office scarso.

Se dopo “A Little Princess” tutte le porte sembravano essersi aperte, ora si erano chiuse. Se prima le sceneggiature che leggeva erano brutte, adesso erano bruttissime. In tutto questo tempo sprecato a leggere brutte sceneggiature, si ricordò di una cosa: di essere anche uno scrittore. In seguito a questa brutta esperienza a Hollywood torna in Messico e si mette a scrivere “Y Tu Mama También” con suo fratello Carlos Cuarón. Fu come una reazione a tutta questa esperienza industriale hollywoodiana. Sempre con Emmanuel Lubezki a suo fianco, fecero un film senza regole ritrovando il piacere nel fare cinema e scoprendo tutti i giorni nuove possibilità cinematografiche. Così nel 2001 questo road movie viene presentato al Festival di Venezia con un ampio consenso da parte della critica. Cuarón arriva a aggiudicarsi una candidatura agli Oscar per la Miglior Sceneggiatura.

“Y Tu Mama También” (2001), da exibart

L’esperienza di Harry Potter

In seguito a questo successo, Cuarón disse al suo agente che non voleva leggere mai più una sceneggiatura, ma di inviargli solo dei brevi riassunti dei lavori. Arrivò un film che non sembrava proprio la conseguenza naturale di “Y Tu Mama También” , le cui tematiche affrontavano senza censure il sesso. Si trattava di “Harry Potter e il prigioniero di Azkaban” (2004), terzo capitolo della saga di J.K. Rowling. Inizialmente Alfonso non prende sul serio questa proposta, ma poi parlando con Guillermo del Toro, suo grande amico e compatriota messicano, si rende conto dell’enorme opportunità. Si affrettò a leggere i libri, che all’epoca erano ancora solo tre, e scoprì un universo davvero interessante. Così cominciò il suo percorso all’interno del mondo di Harry Potter.

Il terzo film è molto diverso dai due precedenti diretti da Chris Columbus e segna quasi una svolta. Nei primi due capitoli i protagonisti sono ancora bambini, invece nel terzo c’è la loro transizione all’adolescenza. Cuarón perciò propose alla Warner Bros di cambiare molti particolari così che questo cambiamento fosse riflesso in tutto, in primis nei costumi. Si pensi anche solo il modo in cui i personaggi portano le uniformi: un adolescente non porta l’uniforme come i suoi genitori gli impongono, la personalizza per far riflette la sua identità attraverso il modo di vestire. Poi cambiarono le scenografie, il direttore della fotografia (niente Lubezki questa volta) e introdussero molti nuovi personaggi tra cui quelli interpretati da David Thewlis e Gary Oldman.

“Harry Potter and the Prisoner of Azkaban” (2004), da X

Le guerre in “Children of Men”

Nel 2001 Cuarón aveva scritto una sua sceneggiatura, un adattamento del romanzo distopico “Children of Men”. Con nessuna casa disposta a prenderlo a carico, il progetto viene messo da parte. Solo dopo Harry Potter, con gli studios che gli lasciano carta bianca, riuscirà a realizzarlo nel 2006. Ne esce fuori un film molto personale e che rimane tutt’oggi attuale nonostante si svolga nel futuro. Ma questo non perché sia un film profetico, ma perché parla di un argomento che accadeva al tempo e accade tutt’ora, ovvero di guerra. Come in “Y Tu Mama También” in cui il personaggio e il contesto in cui si trova sono equilibrati, hanno la stessa rilevanza, così anche in “Children of Men” quello che accade nel backgroud sono scene che sono accadute, accadono e accadranno. Porta nel nostro mondo occidentale (il film si svolge in Inghilterra) tutte quelle guerre che sembrano lontane a noi, ma che in realtà sono all’ordine del giorno a Gaza, in certi paesi africani…

Cuarón fece vedere al protagonista Clive Owen “La battaglia di Algeri” (1966), per fargli capire che il film che avrebbero girato non era solo fantascienza, ma si avvicinava anche al genere documentaristico. Un tipo di preparazione che il regista aveva già adoperato con i giovani interpreti di Harry Potter a cui aveva dato il compito, proprio come fossero degli studenti, di guardare “I 400 colpi” (1959) di Francois Truffaut.

“Children of Men” (2006), da thecinessenstials

Gli spazi di “Gravity”

In seguito scrisse con suo figlio Jonas Cuarón “Gravity”, un film interamente ambientato nello spazio con solo due personaggi interpretati da Sandra Bullock e George Clooney. Alfonso e Chivo sottovalutarono gli aspetti tecnici per realizzare questo film. L’idea iniziale era di girare tutto in quattro o cinque settimane con un cavo e uno sfondo nero, ma la realizzazione risultò di gran lunga più complicata e la produzione durò ben quattro anni e mezzo. Warner Bros comprò il film senza sapere che né il regista né gli specialisti degli effetti speciali avessero la ben che minima idea di come realizzare questo film che si svolge a gravità zero. Iniziò un viaggio alla scoperta di nuovi macchinari e tecnologie il cui funzionamento era incerto.

Alla fine riuscirono nell’impresa tra: LED trasformati per avere la giusta frequenza della luce, bracci robotici pre-programmati, CGI per le tute e una struttura strettissima in cui Sandra Bullock era costretta a recitare circondata da tecnologia e senza interazioni umane. Tutto un intricato lavoro di sincronizzazione tra luci, velocità, macchinari e movimenti del corpo. Sarà grazie a questa odissea spaziale che Alfonso Cuarón si aggiudicherà il suo primo Oscar per la Miglior Regia.

“Gravity” (2013), da MUBI

“Roma” con Netflix e la serie “Disclaimer”

Alfonso Cuarón realizza il suo ottavo film nel 2018, “Roma”. Un film semi-autobiografico ambientato a Città del Messico che segue le vicende di una famiglia messicana e la loro domestica. Il film ha due particolarità che spiccano: è in bianco e nero ed è una produzione Netflix. Sin dalla sua uscita è stato globalmente acclamato vincendo svariati premi (tra cui di nuova l’Oscar per la regia), una novità per un prodotto di una piattaforma streaming con una distribuzione nei cinema limitata. “Roma” è una dimostrazione di come il cinema stia cambiando e si stia svincolando dai confini che lo rilegano alla sala.

Il regista torna con “Disclaimer” nel 2024, una miniserie prodotta da Apple TV. Più che una serie si tratta di un film lungo, come piace definirlo da Cuarón. Il regista dopo aver letto l’omonimo romanzo di Renée Knight aveva già il film in testa, ma non sapendo come farlo rientrare in una durata convenzionale ha optato per il formato televisivo. Dunque sviluppa questa mini-serie da intendere più come quattro film o un solo film in un formato lungo. Così il regista messicano si ri-afferma un visionario, dando anche ai prodotti televisivi un approccio autoriale. Perché questo è Alfonso Cuarón, un autore che vede al di fuori dai canoni tradizionali del cinema e non ha paura di cambiare e sperimentare.

Alfonso Cuarón dietro le quinte di “Roma”, da The Hollywood Reporter

Immagine in evidenza: Il Post

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