Anteprima di “Queer”: il nuovo film di Guadagnino al cinema Colosseo

Sabato 29 Marzo, presso il Multisala Colosseo di Milano, ha avuto luogo l’anteprima del nuovo film di Luca Guadagnino: Queer. All’evento hanno preso parte il regista e l’attore protagonista, Daniel Craig. Il lungometraggio, presentato all’ultima edizione del Festival del Cinema di Venezia, è tratto dall’omonimo romanzo di William S. Burroughs ed è distribuito da Lucky Red. L’intervista ai due è stata condotta dal giornalista Mattia Carzaniga.

William Lee (a destra) ed Eugene Allerton (a sinistra) in Queer, da La Balena Bianca

Sinossi

La pellicola si articola intorno agli anni ’50 nella “Interzona“, una sterminata suburra situata tra Città del Messico e Panama. L’americano William Lee (Daniel Craig), presunto alter ego di Burroughs e personaggio dalla condotta malavitosa, ha lasciato New Orleans ed è espatriato a Città del Messico per scampare a un possibile arresto per droga. Il protagonista trascorre intere giornate in solitudine e tra i bar della capitale messicana, alla ricerca di fugaci avventure amorose con i soggetti più disparati: ben presto, tuttavia, sviluppa un interesse amoroso per Eugene Allerton (Drew Starkey), militare della Marina in congedo. I due intessono così una relazione ambigua, in cui affetto, desiderio di possesso e follia consumatrice spesso coabitano.

Parola al regista: la trasposizione del romanzo sul grande schermo

L’opera di Burroughs ha inciso fortemente sulla sensibilità di Luca Guadagnino, il quale ha più volte affermato di averne affrontato la lettura durante la propria adolescenza. Ma in merito alla tematica del viaggio, che Queer rappresenta appieno, il regista ha faticato a rispondere: per quanto possa sembrare che realizzare questo film abbia dato conclusione al mio percorso interiore rispetto al grande romanzo di Burroughs, che mi ha influenzato e cambiato la vita, in realtà non è così.

Veniamo a Cinecittà, dove Queer è stato in gran parte girato. A tal proposito, Guadagnino ha affermato:

Non ho mai pensato che il libro fosse un’autobiografia di Burroughs, il quale è sempre stato prima di tutto un costruttore di mondi, proiettati sulla pagina dalla sua immaginazione e dalle sue capacità d’associazione. L’idea di realizzare un film che seguisse il suo percorso biografico non si è mai posta per me. Quando, poi, David Cronenberg si trovò a girare in Marocco Naked Lunch (tratto da un altro romanzo di Burroughs), per via dello scoppio della Guerra del Golfo, dovette spostare le riprese a Toronto. Quindi, è come se ci fosse stata una sorta di vocazione a portare sullo schermo lo scrittore e le sue idee di artificio e immaginifico.

Luca Guadagnino su Queer, in risposta alla domanda di Carzaniga
Luca Guadagnino sul set di Queer a Cinecittà, da Rolling Stones Italia

Daniel Craig: il lavoro sul personaggio

Il lavoro di Daniel Craig sul proprio personaggio è legato al lato sia esteriore (il suo guardaroba) che interiore: un vero e proprio percorso emotivo alla scoperta di ciò che più muove William Lee. Sulla preparazione al ruolo, l’attore ha rivelato che il suo approccio abituale sia stato leggere, tentando di assorbire quante più informazioni a comprendere il personaggio, per poi confrontarsi e riflettere con poche ma fidate persone. Tutto cadde, tuttavia, al suo arrivo sul set, poiché lì ebbe inizio il lavoro con il regista e l’intera troupe. Cerco, perciò, di non avere idee preconcette, ma di essere completamente aperto all’esperienza del viaggio, ha affermato Craig.

Nel corso dell’intervista, si è parlato anche dell’influenza che Love Is the Devil (1998) di John Maybury ha esercitato sul lavoro di Craig in Queer. Il suo ruolo nel film di Maybury, inoltre, destò subito l’attenzione di Guadagnino, il quale ha sostenuto: io non penso che il mio mestiere sia dirigere un attore, mi piace incontrare personalità che mi affascinano e che mi ispirano, per le quali provo una curiosità amorosa profonda. Daniel ha, poi, questa meravigliosa e nobile capacità di stare sul set, il suo dominio del luogo: è come andare a scuola.

Tornando all’importanza di Love Is the Devil, Daniel Craig ha risposto:

La vita è certamente ciclica, vi sono alcune cose che ritornano e si ripetono. Love Is the Devil è un film di cui sono certamente tutt’ora orgoglioso. Il legame risiede nella soddisfazione che provai allora, come anche nei confronti del lavoro di Luca, nel realizzare un film in un momento specifico della mia carriera e in quanto esso rappresenta a oggi, il che ha a che vedere con lo spingermi quanto più ai limiti possibile.

Daniel Craig, intervistato da Carzaniga

Infine, in merito al rapporto con la co-star Drew Starkey (interprete di Allerton), Daniel Craig ha confessato l’incredibile fortuna che Guadagnino avesse scelto di includerlo nel cast. Io e lui abbiamo dovuto imparare a conoscerci molto rapidamente: è un attore assolutamente maturo, affettuoso e disponibile, devoto al suo lavoro. Abbiamo avuto la capacità di sviluppare un’intesa che andasse oltre le parole, di capirci a vicenda, per poter impersonare il rapporto fra i due personaggi.

Il romanzo maledetto di Burroughs

Queer, opera seconda di Burroughs, si presentò al pubblico della propria epoca come frutto di esperienze scabrose e paradossali. Dalla sua prima realizzazione del 1952 (e fino al 1985, data di pubblicazione), tale romanzo incarnò mediante uno stile ibrido ideali vivacemente politici e una storia in cui i personaggi si lasciano progressivamente cullare dalle più sfrenate fantasie. Il racconto di Burroughs, dunque, rimasto incompleto e nascosto come il più oscuro dei segreti per circa trent’anni, fu un lavoro rivelatore e al contempo stridente. Con tecniche talvolta sperimentali (come quella del cut-up, peraltro citata da Guadagnino poco prima dell’anteprima), l’essenza esile, a tratti sfuggente, di Queer concettualizza la drammatizzazione del desiderio del protagonista a fronte della sua mancata soddisfazione.

Junky e Queer, due facce della stessa medaglia

Per comprendere la parabola di autodistruzione verso la quale William Lee si avvia, è necessario guardare al primo romanzo di Burroughs: Junky, che catapulta prepotentemente i lettori nell’esperienza della tossicodipendenza (con la quale l’autore dovette a lungo confrontarsi). La differenza rispetto a Queer risulta lampante. Spiegò Burroughs: se Junky tratta dell’assuefazione, Queer narra dell’astinenza, durante la quale il tossicomane può sentire il bisogno coatto di un pubblico, ed è chiaramente questo che Lee cerca in Allerton. Non a caso, il romanziere Oliver Harris nel 2009 ha sostenuto che considerare Junky e Queer come capitoli consecutivi della biografia del loro creatore ne metterebbe in luce, secondo prospettive differenti, l’identità edonistica e di fuorilegge. Nell’Introduzione del 1985, Burroughs scrisse:

Nel primo libro William Lee è calmo e distaccato, narra gli eventi con ironia tagliente e concreta; nel secondo, invece, è disintegrato, disperatamente bisognoso di contatto, del tutto insicuro di sé e dei propri obiettivi.

Burroughs sul rapporto tra Junky e Queer

La parabola di Queer: il vestiario di Lee…

L’anatomia del desiderio pernicioso dinanzi alla quale il film Queer pone lo spettatore è ben esemplificata dall’abbigliamento dei personaggi. Il modo con cui William Lee è gradualmente presentato ai nostri occhi, infatti, diviene simbolo della parabola discendente delle sue condizioni fisiche e psicologiche. L’aspetto curato e immacolato degli abiti del protagonista, in apertura del film e durante i primi e rapidi incontri con Allerton (secondo alcuni, simbolo dell’euforia che accompagna il consumo di cocaina), viene soppiantato da tonalità sempre più cupe. La sporcizia che comincia a contaminare Lee giunge a trapassare i tessuti, impregnandone il corpo: nelle scene finali in compagnia di Eugene, egli indossa completi perlopiù marroni e neri (un incolmabile vuoto assimilabile anche al colore dell’eroina).

William Lee ed Eugene Allerton in Queer, da Rolling Stone Italia

…E l’evanescenza di Allerton

Eugene Allerton, per converso, sovrappone inizialmente strati di vestiti che sembrerebbero volerlo proteggere dal mondo circostante e dalla sua curiosità per Lee. Poco alla volta, però, le giacche coprenti lasciano il posto a camicie traslucide che permettono di intravedere lembi di pelle, evidenziando la natura fantasmatica e inafferrabile del giovane.

William Lee ed Eugene Allerton in Queer, da Cineblog

Il Messico immaginifico di Burroughs

Guadagnino, grazie agli Studi di Cinecittà, è stato capace di ricreare un Messico pittoresco in cui ha luogo la “disincarnazione” dei personaggi (la scissione tra la loro identità personale e pubblica). Scrive Burroughs nel 1951:

Il Messico è sinistro, tetro e caotico, quel particolare caos che c’è nei sogni.

Burroughs sull’ambientazione di Queer

La Città del Messico di Queer è tutt’altro che realista: dall’arredamento suggestivo dei bar e le temperature-colore gelide delle insegne LED, fino alle tonalità avvolgenti dei vicoli e ai colori pastello delle abitazioni, l’atmosfera si rivela da subito onirica e ambigua. La narrazione empirica pare così sgretolarsi e “farsi ovunque metaforica” e il racconto, dapprima crudo e spoglio, è sopraffatto dagli atteggiamenti invasati di William Lee.

Eugene Allerton (di spalle) in Queer, da Icon Magazine

Un’opera indimenticabile

Queer è un film sinestetico, in grado di indagare l’estrema solitudine che invade l’essere umano così come la sua necessità di amare ed essere amato. Dal 17 Aprile, il nuovo lungometraggio di Luca Guadagnino arriverà nelle sale cinematografiche italiane: un’esperienza da non perdere!

Immagine in evidenza: The Streamable

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