U. S. Palmese: l’intervista di Radio IULM ai Manetti Bros.

I Manetti bros., nome d’arte dei fratelli Antonio e Marco, ritornano sul grande schermo con il film sportivo U.S. Palmese uscito nelle sale italiane il 20 marzo. Nella giornata di ieri 26 marzo ho avuto la possibilità di dialogare con i due registi nell’intento di approfondire alcuni aspetti del film.

Puoi ascoltare qui l’intervista:

U.S. Palmese è un film sportivo che si inserisce in una filmografia che spazia dal musical, all’horror, al più recente mix tra noir, thriller e giallo della trilogia Diabolik. Com’è stato per voi cambiare così tanto a livello di soggetto, ma soprattutto anche a livello filmico, com’è stato girare un film del genere?

Marco Manetti: Guarda, noi non ci sentiamo tanto di cambiare. Sai, quando uno fa i film, fa delle storie e sono tutte storie diverse, quindi, non è che ci preoccupiamo troppo di pensare a che genere appartenga una storia. Ogni volta noi ci facciamo guidare dalla storia che ci sta trascinando, però poi tutti i film sono nostri, perciò noi non sentiamo questo cambiamento. Vedo che dall’esterno, chi guarda i nostri film ha molto questa sensazione di un continuo cambiamento, però poi in realtà non è un nostro obiettivo, non è una cosa che facciamo apposta, ecco. Facciamo la storia che ci viene. Forse più̀ che altro abbiamo un certo senso di libertà e non ci fossilizziamo troppo nelle stesse cose, però è tutto molto involontario, quindi è difficile risponderti.

Antonio Manetti: Beh, chiaramente gli ultimi tre film su Diabolik, per chi non lo sa, è l’unico progetto in cui il soggetto non era nostro. Noi per il cinema abbiamo sempre fatto cose nostre, pensate da noi, scritte da noi, su nostre idee, quindi totalmente prodotte e scritte. Nel caso di Diabolik la storia era di altri, un fumetto che abbiamo da sempre amato come lettori, quindi volevamo riportarla. Con questo film torniamo in qualche modo –  ed è per questo che c’è invece una continuità con prima – a delle storie nostre. Questo film è ancora più nostro perché Palmi è il paese di origine di nostra madre, ma noi lo sentiamo come il nostro paese di origine, anche se poi abbiamo vissuto la maggior parte della nostra vita a Roma. Tuttavia, Palmi la sentiamo veramente nostra per tanti motivi.

Per questo è un film molto personale, ci sono cose, molte cose, che noi abbiamo vissuto, che viviamo ogni volta che andiamo a Palmi, ed è un film a cui teniamo tanto, quindi rispetto a Diabolik è sicuramente un ritorno a noi come autori, ma rispetto agli altri (film), è un film che in qualche modo parla anche della nostra terra, e quindi in qualche modo ci appartiene ancora di più.

Vorrei soffermarmi invece su un aspetto importante che è un po’ un fil rouge delle vostre opere. Per chi non lo sa, voi avete lavorato anche con tantissimi artisti all’interno del panorama musicale italiano, pertanto la musica è un elemento molto presente nei vostri film infatti molte delle canzoni per questo film sono state scritte apposta da un giovane artista emergente calabrese, Oscar Uaild. Volevo chiedervi che ruolo ha la musica in questo nuovo film per voi, che valore gli attribuite?

Marco Manetti: Guarda la musica è uno dei colori della tavolozza di un regista, quindi io credo che per noi, come per ogni regista, ha un valore fondamentale. Anche i registi che non la usano in qualche modo fanno una scelta profonda nel non sceglierla. La musica la usiamo nel tentativo di esaltare delle emozioni che il film vuole dare. In questo caso noi abbiamo cercato di fare un film che raccontasse in qualche modo il calcio a un pubblico non esperto di calcio; quindi, far diventare questo sport divertente anche a chi non lo ama.

Per questo motivo per le parti calcistiche e le scene sportive abbiamo usato una musica che tende molto ad enfatizzare i momenti drammatici che si svolgono durante una partita. Ma nel film abbiamo usato anche molta musica rap che è anche un po’ la nostra passione e in particolare nelle scene palmisane abbiamo lavorato con dei rapper di Palmi. In particolare, tra tanti, due rapper palmisani Oscar Uaild e SKAAR. Oscar Uaild ha fatto la maggior parte delle canzoni del film, tra l’altro era un membro della nostra troupe, lavorava nel film con noi, e SKAAR ha invece due canzoni, una tutta sua e una insieme ad Oscar Uaild. Insomma la musica è molto importante per raccontare le storie e soprattutto per dare il tono a questo film che è un film che vuole avere un tono, non ti dico allegro, però positivo.

Io passerei ad una scena chiave che personalmente mi ha colpito, ossia quella in cui Don Vincenzo, interpretato da Rocco Papaleo, si rivolge a Morville e pronuncia queste parole molto crude: “tu mi hai rovinato la vita”. È sicuramente una frase che colpisce lo spettatore. Qual era il vostro obiettivo quando avete scritto questa frase?

Marco: È una frase che chiaramente ha un obiettivo che fa parte del racconto di questo film. Il film racconta la storia di due personaggi, Morville, interpretato da Blaise Afonso, e Don Vincenzo, interpretato da Rocco Papaleo. Sono due personaggi opposti in maniera anche un po’ inconsueta, perché Rocco Papaleo interpreta un pensionato di un paese del sud Italia, quindi tutto fa pensare che sia la persona un po’ più in difficoltà nella vita, poiché anziano, pensionato, in un paese del sud in cui si parla sempre di problemi strutturali e problemi legati alla criminalità organizzata. Invece Blaise Afonso interpreta Morville che è un calciatore miliardario, nato a Parigi che in questo periodo sta vivendo a Milano perché gioca in una squadra di calcio in Serie A.

In realtà i due personaggi sono diversi da quello che ci si aspetta, perché Don Vincenzo è un uomo che non ha smesso di sognare, che continua a sognare nella vita e cerca di realizzare un sogno; invece questo giovane ragazzo ha perso il sogno, ha perso la fantasia, ha perso la passione, ha perso anche la voglia di vivere, e quindi in un primo momento quando Don Vincenzo si accorge che questo ragazzo non può realizzare il suo sogno, proprio perché non ha voglia di vivere, dice tu mi hai rovinato la vita. Peraltro, in realtà, senza spoilerare il film, quella frase viene detta nel momento in cui nel film c’è una svolta: da quel momento in poi, da quando Don Vincenzo dice a Morville questa frase, il film prende un’altra piega, forse anche perché questa frase in qualche modo colpisce questo ragazzo.

Antonio Manetti: In qualche modo è una frase forte perché lui ha rovinato il suo sogno. Lui essendo in pensione, non ha più niente da chiedere alla vita. Ovviamente vuole continuare a vivere, stare bene con la figlia, nel suo paese, con gli amici, però non ha più niente a cui aspirare perché a quell’età di solito si smette di sognare. Invece qui il giovane ha smesso di sognare mentre l’anziano sogna ancora e questo sogno sembra che si stia avverando. Questo finché il giovane viziato infrange questo suo sogno e Don Vincenzo soffre tanto per questa cosa e ancora di più forse perché insieme a lui chiaramente soffre tutto il paese.

Marco: Ma poi tra l’altro questa frase tu la citi in modo parziale, nel senso che rispetto al film gli dice: “Allora ti piace ancora iocari o palluni, m’arruvinasti a vita”. Perché sembrava che a questo ragazzo non piacesse più giocare a pallone. E quindi questo è tutto un film sui suoi sogni, sulle aspirazioni, sulla passione e sull’importanza di mantenerla nella vita. È la storia di un pensionato di un paese del sud che può essere un uomo più organizzato e più felice di un miliardario francese che gioca a calcio in Serie A.

Poi sembra quasi che Don Vincenzo si senta quasi schiacciato dalle aspettative che lui stesso riponeva in questo giovane ragazzo che in un primo momento sembrava non rendersi conto delle possibilità che la vita gli aveva dato.

Marco: sì, diciamo, esatto. O forse più che non rendersi conto è che quando la vita ti dà grandi possibilità, lo dico in modo più diretto possibile, finisci per montarti la testa e quando ti monti la testa rovini anche la tua stessa felicità in qualche modo.

Antonio: Ora per raccontare quel momento del film, anche se chiaramente il film è tanto altro, ma per raccontare quel momento del film, in poche scene precedenti, anche Concetta, che è la figlia di Don Vincenzo, gli dice: “ma chi ti credi di essere? Sei venuto qua per prenderti tutti questi soldi e neanche ti impegni in quello che stai a fare? Non ti rendi conto?” Lui prende le mazzate dalla figlia e in qualche modo appunto dall’allenatore che lo mette in panchina.

Marco: E da una persona a cui telefonò a Parigi, che lo rimette un pochino di fronte allo specchio di sé stesso.

Un’ultimissima domanda riguarda un po’ l’intersezione tra finzione e realtà. Il film narra questa storia finzionale, poiché insomma nessun calciatore di serie A è passato da Milano alla Palmese. Però, diciamo, se da una parte la storia è finzionale, dall’altra ci sono tante realtà, tante storie che sono reali e fanno parte un po’ della quotidianità dei calabresi. Come avete affrontato questo intreccio tra finzione e realtà?

Marco: Ma guarda, il cinema che piace a noi è quello che attraverso delle storie fantastiche racconta la realtà. Perché ci stanno dei film che attraversano delle storie molto realistiche, però poi sono freddi e finiscono per non raccontare niente di vero, o dei film che raccontano una fantasia talmente spinta nella fantasia che diventa anche poco interessante.

Invece l’idea nostra di cinema è che attraverso delle storie iperboliche, esagerate, impossibili, si riesca a raccontare in modo accattivante, in modo avvincente, anche dei pezzi di realtà e forse anche di comunicare qualcosa ai cuori di chi quella realtà la vive.

Antonio: Cerchiamo e ci viene spontaneo scrivere e pensare delle storie così e li amiamo anche da spettatori. Questa qui è ovviamente una fiaba, una favola, però è molto realistica, potrebbe accadere e questo se non si metteva in un contesto molto realistico, per quanto chiaramente da commedia…

Marco: Diciamo che più che potrebbe accadere abbiamo creato delle condizioni per cui sembra apparentemente possibile.

Antonio: Le condizioni funzionano, è molto credibile che possa accadere, sì. Nel cinema devi condensare tutto in due ore. Ora con le serie tv che sono 10 puntate, 20 puntate, puoi raccontare tanto, ma in un film è stato strano fare questa cosa. A confronto le serie tv sembrano più superficiali invece no, sono meno superficiali, perché il film in due ore devono raccontare la storia.

Ora non c’entra tanto con la domanda che hai fatto te, però c’entra sul fatto che chiaramente devi condensare, quindi c’è della realtà chiaramente condensata nel racconto cinematografico. Però è molto realistico il mondo che c’è intorno e noi siamo contenti perché ci sembra riuscito. Ciò che volevamo fare era non raccontare Palmi, e quindi un paese del sud di provincia, in una maniera finta, ma raccontarle come noi la vediamo.

Grazie mille ai Manetti Bros per il loro tempo e per essere stati qui con noi.

Marco: Noi volevamo solo invitare chi ti ascolta ad andare al cinema a vedere questo film, perché venerdì 28 saremo a Milano all’Anteo Palazzo del Cinema, dove presenteremo il film in sala e dopo alla fine ci faremo una chiacchierata col pubblico. Per noi è importante portare il verbo parmisano anche al nord, per questo per noi è molto importante portare il film a Milano, chiacchierare con i milanesi e trasformare possibilmente tutti i milanesi in tifosi della Palmese.

Anche perché sono sicura che ci sarà una curva calabrese ad aspettarvi in sala.

Marco: Quelli ci stanno seguendo ovunque in effetti, però lo vogliamo far vedere anche alle persone del Nord, così da far vedere un sud diverso anche a loro.

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