Bootay: Untold, è un film che rappresenta il debutto alla regia di Johnny Calà, il film mette in scena le vite di ex promesse del calcio, mettendo in luce le loro storie e passioni. Tra i protagonisti spiccano Sergio Pellissier, Damiano Tommasi e Alberto Malesani.
La passione senza riflettori
Bootay: Untold svela il volto meno raccontato del calcio, lontano dai riflettori e dai grandi palcoscenici, ma radicato nella passione pura per lo sport. Il documentario esplora le storie di chi, pur senza raggiungere il successo ai massimi livelli, continua a giocare con dedizione, affrontando sacrifici e difficoltà. Il regista Johnny Calà lo descrive come un’alternativa ai classici documentari sportivi, offrendo uno sguardo autentico e sincero su un mondo spesso ignorato, dove il calcio non è solo carriera, ma identità, appartenenza e resistenza.
Un progetto di passione e solidarietà
Un team giovane e appassionato, spinto dall’amore per il calcio, il cinema e il desiderio di raccontare storie, ha realizzato il film in completa autoproduzione. Il progetto è nato senza sponsor né finanziamenti e non è mai stato pensato per uno sfruttamento commerciale. Nessuno ha ricevuto un ritorno economico e il team ha devoluto tutti gli incassi delle proiezioni in beneficenza. Le donazioni hanno sostenuto cause che il gruppo già seguiva privatamente.
Un calcio autentico: il racconto del regista Johnny Calà
Da dove nasce il titolo Bootay: Untold e che significato ha?
Il titolo Bootay: Untold nasce dal nome della squadra di calcio a sette che è al centro del racconto, Bootay FC, fondata da Jacopo Brama e impegnata nel prestigioso Torneo del Nievo a Verona. Questo storico evento ha ospitato giocatori di Serie A, e figure note a livello locale, diventando un punto d’incontro tra generazioni. L’idea del film è nata dalla mia esperienza in questo contesto e dall’incontro con ragazzi cresciuti nei vivai di club come Chievo e Hellas Verona, alcuni dei quali hanno giocato in società di rilievo, in Italia e all’estero. Tuttavia, per infortuni, problemi personali o vicende giudiziarie, molti non sono diventati professionisti e oggi militano nei dilettanti, con stipendi dignitosi. Untold rappresenta proprio questo: raccontare le storie di chi non è diventato un grande campione ma ha trovato nel calcio una passione irrinunciabile.
Per loro il calcio non è solo una carriera mancata, ma un elemento vitale, un luogo dove sentirsi realizzati, indipendentemente da soldi o notorietà
Hai trovato difficoltà nel far aprire i protagonisti davanti alle telecamere?
I protagonisti si sono dimostrati entusiasti nel raccontare le loro storie, spesso ignorate rispetto al calcio professionistico. Per metterli a loro agio, ho dichiarato che l’intento primo era raccontare uno spaccato di verità, senza forzature. Le interviste sono state impostate come una chiacchierata tra amici, creando un’atmosfera che permettesse loro di aprirsi.
Quale storia ti ha colpito maggiormente?
La storia di Kevin Inzerauto è stata particolarmente toccante. Ha affrontato perdite devastanti, ma nonostante il dolore, Kevin ha mostrato grande resilienza, ha trasformato la sofferenza in una spinta per dare il meglio di sé, onorando la memoria della sua famiglia.
Spesso il dolore genera rabbia e oscurità, ma Kevin ha scelto di usarlo per costruire qualcosa di significativo
Che ruolo narrativo ha lo sfondo della città di Verona?
Verona è essenziale per la narrazione, è più di una semplice cornice. Il Torneo del Nievo funge da metafora universale, ma allo stesso tempo rappresenta un punto di riferimento per i giovani della città. C’era la volontà di raccontare una “Verona che resiste”, dimostrando che nonostante i cambiamenti della società, esistono ancora spazi di appartenenza e tradizione per le nuove generazioni.
Quanto è stato complicato portare avanti il progetto in autoproduzione?
Portare avanti il progetto in autoproduzione è stato estremamente complicato, mancavano mezzi, budget e tempo. L’idea è nata quasi per caso, ma la storia era troppo importante per essere lasciata nel cassetto, meritava di essere raccontata. Nonostante le difficoltà, abbiamo avuto la fortuna di trovare una squadra di giovani appassionati che ci hanno aiutati senza chiedere nulla in cambio. Tra di loro, è giusto nominare Samuele Bazzani, con il suo aiuto alla regia.
Che emozioni hai provato alla prima proiezione pubblica del film?
La prima proiezione è stata un’esperienza indimenticabile. La vendita dei biglietti ha superato le nostre aspettative, in poche ore erano esauriti. Abbiamo iniziato il film nel piccolo, ma quando abbiamo visto la fila lunghissima degli spettatori, ci siamo resi conto di quanto fosse grande quello che avevamo costruito.
Osservare il pubblico ridere ed emozionarsi è stato qualcosa di indescrivibile, non lo dimenticheremo mai.
Quale messaggio vuoi trasmettere al pubblico attraverso queste storie?
Il film affronta le difficoltà del calcio giovanile in Italia, evidenziando la mancanza di supporto e la scarsa qualità degli allenatori a causa di un sistema che non valorizza i giovani. Vogliamo denunciare queste problematiche, ma anche celebrare quei ragazzi che, pur non arrivando in Serie A, vivono il calcio con passione, senza cercare la gloria, ma trovando nell’amore per lo sport un senso di realizzazione. Il Torneo del Nievo rappresenta questa visione sana del calcio, lontana dalle pressioni professionistiche.
Non perderti il film!
Immagine in evidenza: Sebastiano Munafò