Élite contro popolo, popolo contro élite

Quando le democrazie non funzionano, qualcuno inizia a convincersi che in fondo la soluzione non sia la democrazia. La vittoria di Trump in USA, le proteste in Francia contro un presidente che ha perso la fiducia popolare e non vuole andare a casa, il caso Stellantis in Italia con le fabbriche che chiudono e gli azionisti che si spartiscono 23 miliardi di euro in quattro anni. La Banca Popolare di Milano in Piazza Montecitorio che offre privilegi ai deputati. Lo sventato attentato contro Giorgia Meloni ad opera di un’organizzazione neonazista. Qual è la figura comune dietro questo intreccio caotico di eventi così diversi e lontani fra loro? Ormai è chiaro da un po’, non è più una guerra fra destra e sinistra: è l’élite contro il popolo, è popolo contro élite. Una vaga percezione allargata del tradimento dei “buoni”.

Proviamo allora a individuare alcune macro-fasi di questa dialettica fra popolo ed élite, che viene da lontano e si inarca su sé stessa fino a capovolgersi, rimodularsi, autoalimentarsi. Lo faremo attraverso gli eventi sopracitati, quelli più vicini a noi.

1. Premessa

Lo scontro fra élite e popolo che oggi vediamo intensificarsi non è certo un tema nuovo, anzi, attraversa tutta la nostra storia. Addirittura prima della nascita dello stato di diritto, un’insospettabile documento del 1215 riconosceva per la prima volta in forma scritta i diritti dei feudatari, della Chiesa, delle città inglesi e degli “uomini liberi” nei confronti del sovrano d’Inghilterra, limitandone i poteri e gli abusi: era la Magna Charta Libertatum. Certo, sebbene i suoi effetti giovassero anche al popolo, era un’istanza avanzata dai nobili, quindi era più uno scontro fra due élite, votata anche al mantenimento dei loro privilegi.

Prima che il “diritto” vincesse una volta per tutte sul “privilegio” con il tramonto dell’anciénne regime e la Rivoluzione Francese, il popolo si scagliava contro l’élite di turno solo in casi estremi e davvero insostenibili, ma che restavano eccezionali all’interno di una società gerarchica consolidata dove l’egemonia del potente era accettata come un’ovvia normalità.

L’idea di élite, insieme al privilegio, è cominciata a starci stretta giuridicamente dal 1789 e dai decenni successivi con la nascita dello stato di diritto, definitivamente dopo la seconda guerra mondiale e irrimediabilmente a partire dagli anni ’70 con l’avvio della cosiddetta “rivoluzione digitale”, una torsione collettiva in cui il mondo cominciò a cambiare sé stesso cambiando i suoi strumenti, versando ogni cosa in uno spazio immateriale condiviso, dove le regole principali fossero l’incessante movimento e la rinuncia a mediazioni esterne, il ripudio della fissità, delle barriere, delle gerarchie, dei nascondimenti, tutte ossessioni che avevano portato l’umanità agli orrori del Novecento, che mai più dovevano ripetersi.

Come scrive A. Baricco in “The Game”, chiederci da cosa stavamo scappando è più brillante che domandarci come il web ci abbia cambiati: la rivoluzione delle cose interrelate non è la causa, ma la conseguenza di una rivoluzione mentale. Per intenderci, è molto improbabile che oggi qualcuno di noi possa decidere di andare in guerra perché un’élite di pochi ce lo ha ordinato buttando lì qualche spiegazione sbiadita e non particolarmente convincente. E nel mondo occidentale, oggi, un orrore della portata di Auschwitz verrebbe scoperto in due minuti.

2. Privilegi & Malcontento (élite contro popolo)

La dialettica popolo/élite si presenta particolarmente interessante nel nostro tempo perché si svolge all’interno di un assetto democratico consolidato, almeno formalmente, in cui quasi nessuno mette più in dubbio che la legge debba essere uguale per tutti e che non debbano esistere cittadini di serie A e di serie B. Perciò, quando i privilegi vengono scoperti danno più fastidio, soprattutto se i questi riguardano chi si fa paladino di facciata dell’etica democratica.

Per fare un esempio senza uscire dai nostri confini, recentemente Report ha scoperto che una filiale della Banca Popolare di Milano offre ai deputati il privilegio di prestare soldi a un tasso bassissimo di credito. Se per i cittadini normali il tasso di interesse sui depositi è di 0,20 %, per gli onorevoli è 5,6%. Se per i primi il tasso di interesse sui prestiti è di 7/8%, per i secondi è di 0,5%. Ancora, se per i primi le spese di gestione del conto ammontano a 104 euro all’anno, per i secondi è inesistente.

Il bello è che non solo alcuni partiti hanno aperto il conto in quella filiale, come la Lega, Fratelli D’Italia, ma anche Alleanza Verdi Sinistra e il PD, che lì ha aperto il conto dove finiscono le donazioni del 2×1000, la parte più corposa del bilancio del partito di Elly Schlein. Se nessuno fiata, è perché sono tutti in coda.

Un’altra vicenda recente di cui avrete sentito parlare è il caso Stellantis. Ebbene, tra il 2021 e il 2023 il quarto produttore mondiale di automobili ha incamerato profitti per quasi 50 miliardi di euro e dispone di una liquidità mai vista prima. Ma ora, con la crisi del settore automobilistico, il blocco della produzione dell’elettrico e le dimissioni di Tavares, sono a rischio 12 mila posti di lavoro, di cui 90 sono già stati persi. Si facevano paladini della transizione ecologica senza segnalare la consapevole inapplicabilità delle direttive europee a riguardo, come ha spiegato il professore di Costruzione di macchine presso il Politecnico di Torino, Giancarlo Genta, ai microfoni di Radio IULM.

Queste sono solo due schegge che ci dicono come la democrazia sia una macchina talmente complessa che sentirsi presi in giro, danneggiati o in qualche modo sfavoriti da un’élite è un fenomeno frequente. Tutto ciò, a lungo andare, produce una frustrazione sociale che può gettare le basi per una rivalsa politica di segno antidemocratico.

3. Malcontento & Rivalsa (popolo contro élite)

Oggi più che mai la politica vive di umori, che di solito sono malumori. Il cittadino “arrabbiato” e disilluso, che sente palare di democrazia dalla mattina alla sera, ma di cui le condizioni non vedono un miglioramento, pian piano si convince che il pluralismo e la delega rappresentativa siano inutili complicazioni. Questo, nel peggiore dei casi, può condurlo a imboccare due strade: o si disaffeziona totalmente alla cosa pubblica, all’insegna di un’indifferente chiusura nel privato, oppure si rifugia nelle figure che esprimono una vicinanza maggiore al popolo e un pragmatismo spesso antidemocratico, che dispensa soluzioni facili in netto contrasto con le élite di turno.

Quando vuoi spazzare via un’élite, gli strumenti di comunicazione che adotti non sono un dettaglio. Il giornalista Daniele Manca, presentando il Master in giornalismo all’università IULM, ha spiegato come Donald Trump abbia partecipato soltanto in una trasmissione televisiva durante la campagna elettorale (il dibattito con Kamala Harris) e poi sia andato in giro per blog, streaming, podcast, twitter: una via altra rispetto ai media tradizionali. Il podcast di Joe Rogan ha raccolto 70 milioni di americani all’ascolto. Vi siete chiesti come mai sui media europei Kamala Harris era data per favorita? C’è uno scollamento fra il popolo e la narrazione sul popolo da parte dell’informazione, magari percepita a sua volta come un’élite avversa.

Le derive antidemocratiche si sono manifestate recentemente anche in Europa: saranno diventati tutti nazisti o si sono semplicemente sentiti traditi da chi si fa chiamare “democratico”? Il fatto che Elly Schlein, dopo la vittoria di Trump, sia andata a trovare Mario Draghi, cioè il simbolo dell’élite per molti, è estremamente emblematico.

Il problema è che quando vincono quelli sbagliati, la democrazia tende a smettere di essere democratica per salvare sé stessa. La risposta, spesso, è censoria.

4. Rivalsa & risposta censoria (élite contro popolo)

In Francia, in questi giorni il parlamento ha sfiduciato il primo ministro Barnier incaricato dal Presidente delle Repubblica Macron dopo le elezioni anticipate di luglio 2024 (da lui stesso indette), che avevano visto un grande risultato di Le Pen (Ressemblement Nationaille) e Mélenchon (La France Insoumise). Secondo i sondaggi, ora il 60% dei francesi sarebbe per le dimissioni di Macron, che però non vuole lasciare il posto a quelli che ha chiamato “estremisti antirepubblicani di destra e di sinistra”, sebbene abbiano il consenso e il voto popolare. In Romania, domenica 8 dicembre era previsto il ballottaggio tra la candidata filo-europea Elena Lasconi e quello di estrema destra Calin Georgescu arrivato sorprendentemente in testa al primo turno. Ma il primo turno è stato di recente annullato dalla Corte Costituzionale per presunte influenze russe, come abbiamo illustrato in un precedente articolo.

5. Smascheramento (popolo contro nuova élite)

Talvolta accade che invece di essere fermati all’entrata o, in alternativa, prima di essere cacciati, le forze che raggiungono il potere a dispetto delle élite cui sono avverse, in poco tempo perdano il loro slancio iniziale, e se ammorbidiscono la loro postura per prudenza, iniziano a venire percepiti come venduti o sedotti dall’élite. La parabola del Movimento 5 Stelle in Italia per alcuni è indicativa, anche alla luce del recente conflitto fra Conte e Grillo: chi sostiene Grillo rimpiange il movimento dei due mandati e del “Vaffa Day“, e vede nel nuovo partito un appiattimento conformista; chi sostiene il primo ritiene che lo stesso fondatore sia diventato élite, da quando fece entrare il movimento nel governo tecnico di Draghi fino ad ora che si arroga il diritto di decidere al posto degli iscritti e pretende l’eliminazione del partito. Per la serie: “Io TI ho creato, io VI distruggo”.

La stessa premier Meloni, accusata da molti di non aver reciso il legame col fascismo, era diventata il bersaglio di un’organizzazione neonazista che le rimproverava di essere una “traditrice, era fascista finché non ha preso il potere”.

La gente, senza perdere un certo aplomb, si è recata a prendere il potere, con un’assenza di timore reverenziale che da tempo non si vedeva. Lo ha fatto, per lo più, votando. Cosa? Il contrario di quello che suggerivano le élites o fosse odiato dalle élites

A. Baricco, La Repubblica del 10 gennaio 2018

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