Recitazione: le metodologie dei grandi maestri

Originariamente concepita come una forma di improvvisazione, la recitazione è stata riconosciuta nel corso dei secoli come una vera e propria arte, codificata attraverso un insieme di metodologie e approfondita in numerosi trattati teorici.

Come indicato nel libro Storia del teatro di Mariagabriella Cambiaghi, Aurora Egidio, Isabella Innamorati, e Annamaria Sapienza, il passaggio cruciale dall’oratoria alla recitazione avviene agli inizi del Settecento. In questo periodo la recitazione viene riconosciuta come un processo artistico autonomo e degno di studio, inaugurando un percorso di teorizzazione che si estende ai secoli successivi, producendo risultati straordinari e originali.


Emozionalismo e anti-emozionalismo

Nella ricerca metodologica sul lavoro dell’interprete emergono due approcci distinti: l’emozionalismo, fondato sul trattato L’Attore di Rémond de Sainte Albine (1747/1749), e l’anti-emozionalismo, sostenuto da L’Arte del Teatro di Antoine François Riccoboni (1750).


Per Sainte Albine, l’attore deve attingere alla propria esperienza emotiva e immedesimarsi nei sentimenti del personaggio. Questo processo richiede un allineamento profondo tra l’interiorità psicologica dell’interprete e quella del personaggio, così da generare reazioni autentiche e coinvolgenti per il pubblico.

“Piangete, se volete che io pianga”: l’attore non deve limitarsi a rappresentare un’emozione in modo esteriore, ma viverla internamente, attraverso un’intensa introspezione. Egli deve lasciarsi guidare dai sentimenti che nascono dall’adesione emotiva alle passioni e ai conflitti del personaggio, per trasmettere emozioni autentiche e profonde.

Riccoboni, al contrario, ritiene che l’adesione emotiva debba essere confinata alla fase esecutiva della performance, la quale deve poggiare su solide basi tecniche.

Secondo la sua prospettiva, l’emozione non è sufficiente per costituire un’arte: l’attore deve innanzitutto padroneggiare una serie di norme pratiche e precise che riguardano la postura del corpo, la modulazione dei gesti e l’uso della voce. Questo approccio richiede una consapevolezza tecnica insieme ad un rigoroso studio della parte e un completo controllo dell’esecuzione scenica.


Il metodo Stanislavskij

“La soluzione migliore si raggiunge se è l’immagine interiore guidata dal sentimento a suggerire quella esteriore”

Stanislavskij in “Il lavoro dell’attore sul personaggio”

Le metodologie di recitazione non possono prescindere dal contributo di Konstantin Stanislavskij, che nel Novecento, attraverso uno studio approfondito condotto a stretto contatto con il mondo teatrale, sviluppa il suo celebre metodo.

Questo approccio, ancora oggi considerato un punto di riferimento fondamentale per gli attori, ha influenzato profondamente l’evoluzione dei metodi di recitazione del XX secolo.

Stanislavskij si pone come uno dei principali sostenitori dell’immedesimazione, come espresso nel suo libro Il lavoro dell’attore sul personaggio: “L’attore deve collocarsi al posto del personaggio per poter, in base alla propria esperienza, conoscere la sua vita almeno nella sua immaginazione artistica” giungendo ad una “simbiosi dell’interiore e dell’esteriore”.

La recitazione immedesimata, in cui l’attore si identifica emotivamente con il personaggio, è l’unica per Stanislavskij ad essere autenticamente creativa.

L’immedesimazione, però, non si riduce a un semplice atto emotivo, ma si sviluppa in stretto rapporto con le circostanze del testo, intese come le situazioni immaginarie delineate dall’opera. Esse costituiscono la base essenziale per la costruzione di un’interpretazione viva e lineare.

L’atto dell’Immedesimazione è anche strettamente legato alla reviviscenza che, secondo il maestro, completa il lavoro dell’artista.

Dopo aver interiorizzato le circostanze date e ricreato le condizioni fisiche e mentali del personaggio, l’attore può procedere con la reviviscenza, definita da Stanislavskij come “il momento più importante, fondamentale della creazione”. Questo momento cruciale si basa sulla natura fisica e spirituale dell’essere umano, fondandosi sulla verità di sentimento per generare la verità delle passioni.

Grazie all’uso della memoria emotiva, l’attore può attingere al proprio insieme di esperienze personali, richiamando emozioni vissute per proiettarle con autenticità in un contesto specifico della vita del personaggio. Questo processo non solo vivifica l’interpretazione, ma la rende profondamente vera e in grado di suscitare un’intensa partecipazione emotiva nello spettatore.

“Il metodo” di Lee Strasberg

A riprendere l’eredità di Stanislavskij è Lee Strasberg, attore, regista e maestro. Strasberg approfondì il sistema di Stanislavskij grazie all’insegnamento di due suoi ex studenti, Maria Ouspenskaya e Richard Boleslawski. Dopo aver acquisito una solida conoscenza del sistema stanislavskiano, Strasberg iniziò rapidamente a insegnarlo, in particolare all’Actors Studio, dove ricopriva il ruolo di docente, e a modificarlo per creare il suo celebre Metodo.

L’aspetto fondamentale dell’eredità stanislavskijana ripreso da Strasberg è la memoria emotiva, che consente all’attore di attingere alle proprie esperienze passate per dare vita alle emozioni del personaggio. La recitazione metodica allena gli attori ad immergersi nella psiche del personaggio, talvolta per periodi prolungati, al fine di stimolare la memoria emotiva e generare un comportamento realistico anche in situazioni immaginarie.

Questa metodologia si afferma soprattutto negli Stati Uniti, trovando terreno fertile a Hollywood, dove molti attori adottano uno stile di vita immersivo, trascorrendo intere giornate, e a volte mesi, vivendo come il loro personaggio. Tuttavia, l’intensità e, in alcuni casi, la potenziale pericolosità di tale approccio hanno sollevato critiche, non solo da parte di studiosi, ma anche di colleghi nel panorama hollywoodiano.

“Mi sono appassionata molto ai ruoli, ma penso che sia onestamente un lusso che le donne non possono permettersi. “

ha affermato l’attrice premio Oscar Natalie Portman in merito al Metodo di Strasberg

Il metodo Stella Adler

Stella Adler iniziò a studiare con gli studenti di Stanislavskij: Maria Ouspenskaya e Richard Boleslawski al loro American Laboratory Theatre di New York. Attraverso questo corso, Adler si unì al Group Theatre, co-fondato da Lee Strasberg.


La donna, insoddisfatta dell’interpretazione del Sistema di Stanislavskij data da Strasberg, basata sulla memoria emotiva, si recò a Parigi per confrontarsi direttamente con il maestro. Adler tornò in America dove divenne l’unica insegnante americana ad aver studiato con Stanislavskij e iniziò a trasmettere le sue tecniche aggiornate, trasformando la formazione attoriale americana.

Adler credeva che l’eccessivo affidamento ai ricordi personali ed emotivi limitasse la portata di un attore. Per questo il suo metodo spingeva l’attore allo sviluppo di un’attenzione verso il mondo, in modo da comprenderlo e riportare questa attenzione e sensibilità sul palcoscenico.

“Per essere vero sul palco devi conoscere la natura di ciò che stai facendo, e deve essere fatto in modo sincero. Ogni cosa deve avere la sua logica.”

Stella Adler in “L’arte della recitazione”

Oltre a coltivare una sensibilità verso il mondo, Adler sottolinea l’importanza della consapevolezza del corpo: saperlo utilizzare, mantenerlo sano e sviluppare l’energia necessaria per la recitazione.


“Visione critica, autoconsapevolezza, disciplina e autocontrollo: queste sono le richieste su cui lavoreremo. Ma nessuno di questi, una volta padroneggiato, avrà alcuna importanza senza l’energia. Devi sviluppare l’energia necessaria per il palco.”

Stella adler in “L’arte della recitazione”

Il metodo dello straniamento brechtiano

Mentre Stanislavskij, Strasberg e Adler concentrano il loro lavoro sull’esplorazione della dimensione emotiva e fisica dell’attore, valorizzando la sua capacità di entrare in sintonia con le emozioni e le esperienze del personaggio, Bertolt Brecht adotta un approccio opposto per il teatro epico. Nel suo modello, la sfera emotiva viene deliberatamente messa da parte a favore di una metodologia che promuove il distacco critico.

Per Brecht, il teatro epico ha il compito di stimolare il ragionamento dello spettatore, evitando che quest’ultimo si identifichi emotivamente con il personaggio o si perda nella sua recitazione. Per raggiungere questo obiettivo, Brecht sviluppa la tecnica dello straniamento, che garantisce una distanza consapevole tra spettatore e personaggio, favorendo un atteggiamento critico nei confronti dell’opera.

Le tecniche dello straniamento includono recitare le battute in terza persona, collocare le azioni nel passato e pronunciare ad alta voce le didascalie. Attraverso queste strategie, l’attore mantiene un distacco critico dal personaggio, invitando anche lo spettatore a osservare e giudicare ciò che accade sulla scena con lo stesso spirito analitico.

Ad oggi, grazie all’opera di questi e molti altri maestri, gli attori hanno a disposizione un’ampia varietà di metodologie a cui ispirarsi per creare la loro performance, tenendo conto delle inclinazioni personali e delle necessità del personaggio.

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