Il 25 novembre Radio IULM ha organizzato una diretta speciale per la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Per l’occasione, le redattrici e i redattori del Blog hanno deciso di stilare un manifesto che descrivi la violenza in tutte le sue forme, non solo quella fisica.
Violenza è anche…
Violenza è anche disinformazione. La violenza della disinformazione. “Se sei ubriaca, sei in parte responsabile dello stupro“, lo pensa il 15% di 58 milioni. “Il femminicidio oggi è frutto di una grave immaturità narcisista del maschio“: ma mentre lui è dipinto come un bimbo immaturo e Narciso, che deve ancora crescere e imparare a conquistarsi il proprio ruolo nel mondo, lei è la vittima che resta uccisa. “Diamo alle donne i mezzi per combattere la violenza“. Ma, ahinoi, la metropolitana o il biglietto del tram non basteranno a farlo.
Violenza non è solo gesti estremi, ma anche piccoli soprusi quotidiani, mancanza di rispetto, relazioni di potere squilibrate. Violenza è ogni parola, azione, silenzio, omissione che nega la libertà e l’autodeterminazione di una donna.
Violenza è anche giustizia negata e assenza di supporto istituzionale; è sentirsi ignorata da chi afferma di volerti proteggere; è ottenere il coraggio di denunciare un’ingiustizia senza ricevere niente in cambio, violenza è anche negligenza.
Violenza è anche il silenzio che circonda chi subisce abusi, l’indifferenza di chi distoglie lo sguardo, il giudizio di chi incolpa la vittima invece che il colpevole. È nelle parole non dette, nei commenti urlati per strada, nei pregiudizi radicati, nelle battute che minimizzano.
Violenza è anche un semplice: “Perché ti trucchi? A me piaci così“. Chiedere costantemente: “Dove sei, con chi sei?“. Lasciar fare tutto a me, perché io sono donna, è il mio lavoro. Violenza è anche ossessione, negazione di libertà.
Violenza è anche vivere con paure quotidiane, quelle invisibili che segnano alcuni momenti della vita di una donna. È la costante ansia di uscire di casa la sera, con la consapevolezza che, mentre le strade si svuotano, la sensazione di insicurezza cresce. È il timore di non poter camminare liberamente senza dover fare attenzione a chi ti osserva, a chi potrebbe avvicinarsi troppo, a chi potrebbe approfittarsi della tua vulnerabilità.
Violenza è anche il mio umore che dipende dal tuo, perché quando lui sta bene, la nostra relazione funziona, ma se lui sta male, devo stare male anche io.
Violenza è anche sminuire ogni progetto, ogni emozione, ogni traguardo. Violenza è farci sentire piccole e impotenti. La violenza il più delle volte è una nebbia sottile che si nasconde bene, benissimo nelle relazioni, per poi annebbiare tutto in un solo attimo.
Violenza è anche dire: “Ti capisco” quando non capisci niente.
Violenza è anche l’essere accettata in base al proprio aspetto fisico e non all’intelligenza, è la vergogna di sentirsi costantemente carne da macello in un oceano di sguardi perversi e tocchi non richiesti. È il quotidiano sentirsi in colpa per non avere opposto resistenza a causa delle proprie paranoie.
Violenza è anche l’essere confinata nella sfera domestica perché “è il ruolo della donna“, è il venire derisa perché si vuole ribaltare la bilancia delle convenzioni sociali optando per sport considerati “da maschi“.
Violenza è sentirsi imprigionata in una relazione che dovrebbe farti sentire libera. È sentirsi piccola piccola e inutile, incapace di poterti difendere perché sovrastata dalla persona che ti ama.
Violenza è anche indifferenza: l’indifferenza di lasciar correre parole e battute poiché di “natura goliardica“, senza correggere atteggiamenti che, in parte, contribuiscono a creare le fondamenta di un sistema problematico, da cui la donna ha diritto di uscire.
Violenza è anche rinfacciare: “Senza di me non saresti arrivata dove sei ora” e “A me devi tutto“. Sono queste le argomentazioni preferite di quegli uomini che pensano di avere sempre il coltello dalla parte del manico, nelle discussioni. Perché “una donna non è niente senza un uomo“. Non deve essere così: amare significa anche supportare l’uno gli obiettivi dell’altro genuinamente. Se tutto questo serve solo ad affilare lame d’orgoglio, scagliandole alla prima occasione per ferire e provocare sensi di colpa, non è amore. È altro.
Violenza è anche quando a un colloquio è più importante sapere se pianifichi di avere figli rispetto ai tuoi pregi in ambito lavorativo, quando capo e collega fanno battute fuori luogo, quando sei l’ultima a venire a conoscenza di dati professionali perché “tanto cosa puoi capirne tu“.
Violenza è anche l’impossibilità di vestirsi come si desidera, senza il terrore che qualcuno possa fraintendere il tuo aspetto e trasformarlo in un pretesto per un’aggressione fisica o verbale.
La violenza è anche quella psicologica, che non lascia segni evidenti ma devasta l’animo, è il controllo ossessivo che ti fa sentire sempre sotto sorveglianza, la manipolazione che ti fa dubitare di te stessa e delle tue scelte.
Violenza è anche non potersi sentire sicure mai: camminare di sera con le chiavi impugnate tra le dita, guardarsi sempre alle spalle, non poter ascoltare la musica con entrambe le cuffiette, coprirsi le scollature, condividere la posizione quando si è in giro da sole; violenza è anche paura.
Violenza è anche isolarsi dal mondo. Isolarsi solo perché chi ti è accanto dovrebbe essere abbastanza, perché non dovresti sentire il bisogno di uscire con amici o di andare ogni tanto a ballare senza il tuo fidanzato o la tua fidanzata. A che scopo se ormai sei in una relazione con qualcuno? Semplicemente perché la vita di una donna non deve girare completamente intorno al partner: se aveva una vita prima di incontrarlo, ce l’avrà anche dopo e non deve essere soppressa.
Violenza è anche credere che il problema non ci sia perché non lo vediamo, credere che sia lontano, che non ci appartenga, che giri alla larga dai luoghi e dalle persone fra cui procedono le nostre vite “giuste“, “emancipate“, traboccanti di cultura e di bellezza. Violenza è anche credere che lo spettro sia distante, da noi e dalle figure che osserviamo con indiscussa ammirazione.
Violenza è anche ingannare sé stessi, nell’illusione che basti declinare al femminile pronomi e desinenze, che talvolta sia sufficiente anche violentare la lingua pur di raggiungere una parità di facciata, senza nemmeno sfiorare l’idea che magari non è la forma, né il linguaggio, non è la veste della realtà a creare il problema, ma ciò che sotto si nasconde e che noi non abbiamo deciso, ma che passivamente abbiamo ereditato e mai risolto.
Violenza è anche illudersi che il problema sia unicamente giuridico, che la colpa sia solo della legge o del politico di turno, che a risolverlo basti far votare le donne, retribuirle per il loro lavoro in maniera equa o far ricoprire loro cariche di potere e ruoli apicali. Ne abbiamo, di donne leader, ne abbiamo avute nel mondo, ma il problema rimane.
Violenza è anche avere la presunzione di vedere chiaramente dove la violenza c’è e dove non c’è, stabilire che una persona sia violenta o mansueta, che qualcuno sia maschilista o femminista: violenza è la presunzione di dividere i buoni dai cattivi senza vedere le schegge invisibili e primitive di un passato a cui nessun corpo è ancora immune, residui e rimasugli culturali che quando non provocano azioni, quantomeno producono pensieri, in tutti noi, piuttosto discutibili. Violenza, quindi, è anche scaricare un peccato originale su ogni donna o su ogni uomo di oggi, senza cogliere la complessità sfumata che tutti ci coinvolge e ragionare di conseguenza.
Violenza è anche lasciare sempre meno spazio al conflitto alfabetizzato, alla discussione dialettica, al confronto, e poi non marginalizzare e condannare soltanto la violenza stessa, che è la forma più primitiva del conflitto.
Violenza è anche non voler tornare sulla scena del delitto, nascondendo a sé stessi le macchie culturali che dobbiamo aiutare a scolorare, in un lavoro che partendo da noi stessi si eserciti all’interno di un’intimità profonda e collettiva, riflessione necessaria a smentire un vecchio inganno da cui i nostri padri sono stati sedotti per secoli. Tutto questo, chiaramente non è facile, perché come scrive Mark Twain: “È più facile ingannare qualcuno, che convincerlo di essere stato ingannato“.
Violenza è anche una società che intima alla donna di vestirsi e comportarsi in un certo modo per non risultare troppo provocatoria.
Violenza è anche il sempre presente timore di non sentirsi all’altezza perché si è, prima di un essere umano, semplicemente donne.
A cura degli articolisti del blog
Immagine in evidenza di Aurora Turani
1 Commento
Alessandra
Non sentirsi costantemente all’altezza. Chi decide i parametri? Perché devono esistere questi parametri che tracciano divisioni e confini tra ciò che è accettabile e ciò che è deplorevole? Io sono io e deve bastare. Grazie per il vostro lavoro di gruppo.