La casa di moda Yves Saint Laurent ha da poco dato vita alla Saint Laurent production: la prima casa di produzione cinematografica gestita da una casa di moda, dando prova, ancora una volta, del forte legame tra cinema e moda. Le due arti, sono protagoniste di un equilibrato rapporto che ha portato alla nascita di numerose collaborazioni, che meritano di essere approfondite, grazie all’intervento della professoressa Simonetta Buffo.
Cinema e moda: un matrimonio in continua evoluzione
Osservare i capi d’abbigliamento indossati dai personaggi dei nostri film preferiti come elementi caratterizzanti della loro personalità ci risulta spontaneo. Proviamo piacere nel riconoscere elementi di moda a noi conosciuti nelle pellicole che osserviamo.
Luca Guadagnino nel suo Challengers del 2024, conferma il sodalizio artistico con il creativo Jonathan Anderson, il quale contribuisce alla pellicola, vestendo i panni di costume director.
Il film porta in scena un triangolo amoroso dove Zendaya, Josh O’Connor e Mike Fait vestono i panni degli amanti e per farlo indossano indumenti specifici.
Tashi protagonista femminile della storia, durante una festa, in onore di una delle sue numerose vittorie sportive indossa un mini abito blu, il quale esprime perfettamente tutta l’essenza del suo personaggio.
La sensualità che trasuda dalla stoffa del capo, accompagna le movenze dell’attrice intenta a ballare con estrema leggiadria e disinvoltura, accaparrandosi la completa attenzione dei suoi amanti.
La moda assume così un forte rilievo, tanto da diventare coprotagonista. Ci si chiede quindi quale sia il suo ruolo.
La moda si pone a disposizione della storia che si vuole raccontare o ed essa a necessitare della moda per esprimersi a pieno?
Per rispondere ci affidiamo a Simonetta Buffo, esperta di semiotica e comunicazione pubblicitaria e moda, autrice di numerosi libri in merito all’analisi del settore del fashion.
“Tra case di moda e pellicole vi è un rapporto molto stretto e di lunga durata. Nell’ultimo libro scritto da Alessandro Michele, dal titolo La vita delle forme filosofia del reincarnato, troviamo riferimenti all’immaginario cinematografico e a come questi due immaginari si alimentino a vicenda e si arricchiscono. Vi sono quindi reciproci scambi, piuttosto che sciacallaggi di uno nei confronti dell’altro.”
Per porsi questa domanda è necessario prendere in considerazione l’ultima frontiera del rapporto tra queste due arti: il product placement.
Come introdotto nel precedente articolo, che si può leggere qui, il direttore creativo della maison Saint Laurent ha deciso di dare vita alla prima casa di produzione cinematografica di una casa di moda: la Saint Laurent production.
Antony Vaccarello (direttore creativo di Saint Laurent) ha deciso di promuovere diversi titoli tra cui: Emilia Perez di Jacques Audiard e The Shrouded del regista David Cronenberg presentati allo scorso Festival di Cannes, dove l’Italia è stata rappresentata dall’ultimo progetto del regista Paolo Sorrentino, dal titolo Parthenope. Il film, che prende il nome della protagonista, interpretata da Celeste Dalla Porta, vede coinvolto il direttore creativo della maison parigina, non solo come produttore, ma anche come Costume Artistic Director, in collaborazione con Carlo Poggioli.
Qual’è quindi il sottile legame tra l’intento promozionale del film e quello di inserirvici il proprio marchio, dato il coinvolgimento del brand anche nella vestizione del cast, sia all’interno del film, che per il red carpet?
“Nel caso della Saint Laurent Production non si può ridurre a una operazione di mecenatismo. La comunicazione deve assecondare i trend in atto, in quanto non vi è una comunicazione unidirezionale, su un unico canale. Jean Noel Kapferer sostiene infatti che le case di moda sono diventate delle mega marche, nel caso di Saint Laurent, bisogna considerare che è una casa di moda appartenente al gruppo Kering e tutto ciò che fa è per produrre business, è quindi assodato che un’operazione come questa abbia uno scopo di vendita, ma per farlo ora Saint Laurent attinge al mondo del cinema, con una operazione di alto livello.
E’ quindi una operazione di marketing, ma questi due universi semantici hanno molti elementi in comune, lavorano infatti da sempre a stretto contatto. Parthenope sintetizza l’universo della casa di moda Saint Laurent con lo stile registico di Sorrentino, da sempre attento agli abiti. Basti pensare alla Grande Bellezza dove Servillo interpreta un nuovo modello di dandismo. Un personaggio per cui la collaborazione con grandi griffe di moda era stata fondamentale nella costruzione di personaggi.
La nascita della casa di produzione targata Saint Laurent è una grande novità, che corrisponde a una fonte di guadagno ma che da alla maison una connotazione precisa, ossia una casa di moda magnate, attenta all’arte e ai suoi autori. Vaccarello seleziona infatti accuratamente i registi da produrre, sono autori dei propri film con una chiara personalità, capaci di portare il loro stile in scena.”
Nel caso specifico della pellicola Parthenope, l’universo registico di Sorrentino e quello creativo di Vaccarallo sembrano essere affini, raccontano quindi un immaginario comune?
“Nella pellicola di Sorrentino, Parthenope è perfettamente interpretata dallo stile della casa di moda Saint Laurent. La protagonista appare più o meno consapevole del suo potere seduttivo all’inizio della storia, ma sempre pronta ad ostentare il suo corpo e la sua bellezza, a mostrarsi senza veli in modo fresco e ingenuo, come tipico per una ragazza durante la sua giovinezza, per poi maturare e diventare una donna più adulta e così anche la seduzione passa attraverso altri capi d’abbigliamento, arrivando a l’iconico tuxedo degli anni sessanta di Yves Saint Lurent.
In questo caso la casa di moda è stata funzionale alla narrativa del film, armonizzandosi perfettamente alla storia. La donna Parthenope ha tratti comuni con la donna Saint Laurent, caratterizzata da un innovativo senso di trasgressione, a volte considerato troppo provocatorio. Tali elementi diventano elementi narrativi all’interno della pellicola di Sorrentino, riuscendo a interpretare molto bene la giovane protagonista: un connubio tra aristocrazia e mito che però decide di immergersi nel turbinio della folla, come fece Yves Saint Laurent gettandosi nel prêt-à-porter.”
Il coinvolgimento dei direttori creativi delle case di alta moda nel mondo del cinema è la nuova frontiera del mondo del costume o ciò di cui abbiamo discusso sono esempi creativi di sperimentazione?
“Quando inizia una nuova era, questo non implica la cancellazione di ciò che vi era prima. Ciò che già esisteva assume nuove forme, ma continua a esistere evolvendosi.
Non è la fine dei costumisti, che sono parte integrante del cinema, come nel caso di Edith Head nei film di Hitchcock, dimostrando che la figura del costumista è un tipo di professionalità importantissimo. Le case di moda collaborano con il mondo del cinema e collaborano in vari modi, tra cui la nuova forma di produzione di cui abbiamo discusso, ma la figura del costumista rimane molto importante. Alcuni costumisti hanno fortemente contribuito al successo di una pellicola, tanto da meritare che le loro creazioni fossero esposte in mostre, come nel caso dei costumi del film Marie Antoinette di Sofia Coppola, dimostrando quanto il costume abbia avuto una funzione decisiva nel delineare i tratti dei personaggi della storia raccontata.
Non credo dunque ci sia un cambiamento nell’importanza della figura del costumista. Le case di moda necessitano di gestire la comunicazione in modo meno massificato, accostando a una comunicazione che si basa sulla quantità una comunicazione che si basi sulla qualità. Per farlo, in termini estetici e comunicativi il cinema può essere un prezioso alleato.”
Immagine in evidenza: ConapiMagazine