Bigoni a Radio IULM: “Oggi parlare di guerra vuol dire Iliade”. Il suo film “Il pianto degli eroi”

Il film “Il pianto degli eroi – L’Iliade e le Troiane nel carcere di Bollate” è stato proiettato il 17 novembre. Il film diretto e ideato da Bruno Bigoni e Francesca Lolli è stato prodotto da IULMovie Lab. Per approfondire questa produzione abbiamo avuto il piacere di intervistare il regista Bigoni.

Un film-progetto di IULMovie Lab

Il 17 novembre il film di Bigoni e Lolli “Il pianto degli eroi – L’Iliade e le Troiane nel carcere di Bollate” è stato mostrato in anteprima al cinema Arlecchino di Milano durante il FilmMaker Festival 2024. Il film è stato prodotto da IULM Movie Lab, il centro di produzione visiva dell’Università, coinvolgendo gli studenti della magistrale Televisione, Cinema e New Media.

Si tratta di un film sperimentale girato all’interno del penitenziario di Bollate a Milano. I registi e gli studenti hanno collaborato assieme ai detenuti per adattare “L’Iliade” di Omero e “Le Troiane” di Euripide. Interpretato con una vena molto teatrale, Il pianto degli eroi prende in prestito la tragedia greca e i suoi personaggi per raccontare il tema della guerra in un modo e un’ambientazione inediti. Infatti, vista la centralità di questa particolare produzione, sono state inserite delle interviste agli attori/detenuti in cui spiegano il loro ruolo nel progetto, un ruolo che va ben oltre la semplice recitazione e diventa una vera e propria fusione tra personaggio e interprete.

A questo link trovate il trailer.

Scena da “Il pianto degli eroi”, da cinecittanews.it

Intervista a Bruno Bigoni

Bruno Bigoni è regista, attore, sceneggiatore e produttore sia in ambito cinematografico che teatrale. Dal 2002 è docente IULM e ha permesso la realizzazione di questo film in collaborazione con la nostra università.

Il suo film “Il pianto degli eroi” uscirà anche nelle sale più tardi?

Non è proprio un film di quel tipo, ha più una connotazione di carattere culturale. E’ un prodotto dell’università, quindi ha una valenza culturale e sociale molto forte e avrà una vita legata a questi ambiti. Non è proprio un film da sala. 

Volevo chiederle, come è stata concepita l’idea, come è nato un progetto così particolare?

L’idea nasce all’interno dell’università quando io e Francesca Lolli provammo a riflettere sul tema della guerra insieme a degli studenti della facoltà di Cinema, Tv e New Media. Pensammo che per trovare delle risposte adeguate a delle domande sul tema della guerra, cosa che ci affligge tutti, poteva avere un senso entrare in un carcere e provare a girare queste domande a chi della guerra ne fa tutti i giorni. Certo, è una guerra diversa, ma comunque è un conflitto che uno si porta dentro costantemente. Per cui abbiamo coinvolto il carcere e una cooperativa sociale che lavora all’interno e un po’ alla volta il progetto è nato nel marzo del 2023.

Siamo entrati e abbiamo lavorato con i detenuti. E’ stato tutto un procedimento di avvicinamento alla messa in scena: abbiamo proposto i due testi “L’Iliade” e “Le Troiane”, che di fatto ne è il seguito; poi insieme a loro abbiamo riscritto il testo e hanno scelto quale personaggio avrebbero interpretato. E così nel luglio del 2023 per quattro settimane abbiamo girato il film. 

Quindi gli attori sono dei carcerati, non sono professionisti?

Tutti gli uomini sono detenuti, mentre tutte le donne sono attrici che abbiamo portate da fuori. Perché è bella questa cosa di far lavorare insieme attori non professionisti e attrici professioniste.

In quanto non professionisti, hanno dovuto svolgere un corso di preparazione? 

Non hanno svolto un corso. Abbiamo lavorato insieme a loro sul testo cercando di comprendere il significato de“L’Iliade” e del perché avesse un senso essere lì insieme a noi. Insieme abbiamo riscritto il testo e i detenuti stessi hanno scelto il personaggio che avrebbero voluto interpretare. E’ un training che abbiamo fatto internamente. 

Invece, immagino che girare all’interno di un carcere abbia certe limitazioni, è stato difficile gestire le tempistiche, gli spazi molto ristretti?

Allora, sì, certo, in carcere non è come girare fuori. Ci sono delle regole molto precise e molto rigide, quindi anche, per esempio, per aprire una porta, se non c’è qualcuno che te la apre non passi. Però noi abbiamo avuto la fortuna di avere questa cooperativa che lavora nel quarto reparto del carcere di Bollate. Perciò potevamo utilizzare tutti gli spazi di quel reparto compresa la corte esterna con un piccolo parco, un campo da calcio, un orto… Abbiamo potuto muoverci anche all’esterno, esterno sempre inteso come dentro. Per cui da quel punto di vista non abbiamo patito molto. Inoltre eravamo molto sostenuti e aiutati dagli agenti di custodia. Il carcere era consapevole di quello che stavamo facendo e non ci ha mai creato problemi. 

Il film è in bianco e nero, come mai questa scelta?

Sì, il bianco e nero è una scelta diciamo stilistica. Punto primo perché il bianco e nero ha tantissime sfumature, cosa che il colore non ha. Punto secondo perché l’immagine a colore digitale è un’immagine orripilante secondo i miei gusti, io amo la pellicola e quando vedo il digitale è proprio un’immagine quasi spersonalizzata. Ma anche perché avendo girato a luglio del 2023, che è stato un luglio caldissimo con un sole cocente, la luce era abbagliante e, di fatto, all’interno del carcere quello che noi vedevamo era bianco e nero: i muri bianchi, il nero delle porte o delle sbarre. Per cui abbiamo pensato che il bianco e nero era funzionale proprio per quello che stavamo vivendo e vedendo. Però ci sono ogni tanto delle cose di colore che entrano così, come piccole sottolineature. C’è il rosso, il colore del sangue. 

L’obiettivo del film, anche leggendo la sinossi, è quello di rappresentare la situazione contemporanea di guerre e conflitti?

Certo, quella è l’idea. Ma ognuno tira le proprie conclusioni. Pensiamo che non c’è solo “L’Iliade”, ma c’è anche “Le Troiane”. Perché certo la guerra è fatta soprattutto dagli uomini (anche se ora non più), ma le prime vittime della guerra sono le donne, i vecchi, i bambini. Recuperare le troiane, ovvero le mogli, le figlie, le madri di quegli eroi caduti, che poi diventano schiave, ha un significato molto contemporaneo. La condizione della donna oggi è terribilmente a rischio, come vediamo da quello che succede intorno a noi. Quindi questo è un motivo in più per recuperare non solo la parte maschile del significato della guerra, ma anche la parte femminile, che nelle troiane è raccontata divinamente.

“Il pianto degli eroi” è stato realizzato in collaborazione con degli studenti della magistrale, quindi abbastanza alle prime armi. È stata un’esperienza diversa rispetto a una produzione classica, tradizionale? 

Questo bisogna chiederlo a loro. Io penso che per loro sia stata una grandissima esperienza al di là del professionale, perché entrare in un carcere e poter lavorare non per due giorni, ma per ben quattro mesi a un progetto di questo tipo permette a chiunque di fare una crescita umana oltre che professionale. Solleciterei che tutti gli studenti che si occupano di comunicazione debbano passare per un carcere così da rendersi conto cos’è il dentro e cos’è il fuori. 

Lei aveva già avuto a che fare con il carcere? 

Sì, vent’anni fa, sempre con la IULM. Con ventidue studenti del primo anno della specializzazione di cinema e Tv eravamo stati sempre a Bollate per girare un adattamento di Shakespeare. Più o meno la stessa cosa di questo. Anche se eravamo stati dentro molto di più, quasi un anno.

Per cui penso che dentro il carcere si possa oggi reinterpretare alcuni testi classici che sembrano ricoperti di polvere ma che in realtà nel momento in cui li riporti in luoghi estremi come questi riacquistano un’attualità, una contemporaneità straordinaria. E “L’Iliade” è uno di questi. Perché oggi parlare di guerra vuol dire parlare de “L’Iliade”

Immagine in evidenza: iulm.it

Autore

Lascia un commento