A distanza di cinquant’anni, il Corriere della Sera torna a parlare delle stragi bollate di nero dei treni Italicus e Rapido 904. Stavolta però è diverso, perché non è la carta dei giornali che ne parla, ma a questa si sostituisce la voce, anzi, le voci del podcast “Il Corriere racconta“. Dissotterrando testimonianze archiviate dal tempo e dalla caducità della memoria, “Il Corriere racconta” scoperchia quegli istanti di fiamme e fumo degli anni 1974 e 1984, di quando il fuoco prendeva i vagoni e ne piegava il metallo. Per l’occasione, Radio IULM ha portato in intervista Tommaso Pellizzari, giornalista del Corriere e responsabile del podcast.
15 novembre 2024: BookCity Milano ne “Il Corriere racconta“
“Il Corriere racconta” è un podcast del Corriere della Sera registrato in presa diretta davanti a un pubblico di spettatori-ascoltatori presso la Sala Dino Buzzati della sede RCS di Milano. Nell’ambito di BookCity, la Sala Buzzati è stata riempita in occasione de “Il Corriere racconta“, che ha dedicato un’ora al ricordo degli attacchi dinamitardi contro i treni Italicus e 904.
La serie della Fondazione Corriere della Sera è curata dal giornalista Tommaso Pellizzari e prodotta dal collega Carlo Annese, anche produttore del podcast “Giorno per Giorno” di Francesco Giambertone, del quale “Il Corriere racconta” è lo speciale.
Venerdì 15 novembre la puntata del podcast è stata intitolata “Italicus e Rapido 904: le bombe sui treni“. A condurre la registrazione dal vivo dell’episodio sono state tre voci. Quella principale di Fiorenza Sarzanini, inviata del Corriere, faceva da guida alle altre due: Valeria Perdonò e Gaspare Del Vecchio, entrambi attori, qui interpreti delle varie letture estrapolate dalle vecchie e dalle più recenti pagine del quotidiano milanese. Insieme a queste, altre tre voci sono intervenute nella narrazione: prima, la testimonianza orale di un sopravvissuto all’attacco contro l’Italicus, Mauro Russo; secondo intervento, invece, è stato quello dell’inviato ed esperto di cronaca giudiziaria Giovanni Bianconi; terzo e ultimo, lo scrittore Giuseppe Genna si è espresso in un lucido sull’identità e complessità degli attentati a sfondo politico.
3 e 4 agosto 1974: cinquant’anni dalla prima bomba
Di quella sera ricordo stessimo tornando a casa, io con la mia famiglia. C’erano mio padre, mia madre, mia sorella, mio fratello e c’ero anche io. Eravamo a Firenze, dopo una piccola vacanza stavamo tornando verso la stazione, a prendere il treno. Addirittura, ricordo che avevamo posticipato la partenza perché era una bellissima serata, calda: avremmo preso il treno dopo, che arrivava da Roma. Mi ricordo che, quando arrivò il treno a Firenze, avevano aggiunto dei nuovi vagoni perché in agosto erano sempre pieni i treni. E su questi vagoni vuoti si era subito accalcata tutta la gente. Io e mio fratello, che eravamo piccoletti, ci eravamo intrufolati per primi e avevamo preso il primo scompartimento, che era vicino al bagno, ricordo. Ed era praticamente il vagone attiguo a quello dove avevano messo la bomba.
Mauro Russo, in introduzione alla serata, mentre racconta le ore precedenti allo scoppio della bomba sull’Italicus
Nella notte tra il 3 e il 4 agosto 1974, il treno Espresso 1486 (“Italicus”) viaggiava da Roma Tiburtina verso Monaco di Baviera. In quelle due date d’agosto, stava trasportando 342 persone.
All’una e trenta, in un vagone una bomba esplose, nel punto e nel momento in cui l’Italicus stava attraversando la Grande galleria appenninica nei pressi di San Benedetto Val di Sambro, in provincia di Bologna. Per forza di inerzia, in seguito allo scoppio, il treno si trascinò fino alla stazione più prossima. Iniziò così la fuga rapida dei passeggeri avvolti dalle fiamme.
I giorni successivi al disastro, il caso iniziò ad arricchirsi di dettagli, di cause e contava sempre più morti. Insieme ai familiari di Mauro Russo, unico sopravvissuto della famiglia insieme alla sorella Marisa, quella notte dodici persone persero la vita. Tra questi, anche Silver Sirotti, il capostazione, che aiutò molti dei passeggeri a salvarsi, prima di poter salvare se stesso.
Nel 1975, Silver Sirotti venne insignito della medaglia d’oro al valor civile e alla memoria. Una targa, nella stazione Centrale di Bologna, lo ricorda.
23 dicembre 1984: la “strage di Natale”
A distanza di dieci anni dall’agosto 1974, un’altra bomba esplode nella stessa galleria dell’Appennino, ma il treno è un altro. Questa volta è il Rapido 904, che si trova in corsa da Napoli diretto a Milano in una fredda settimana di dicembre. Era la “vigilia” della Vigilia di Natale quando successe.
Alle 19:15, il Rapido 904 viaggiava nella galleria che collega fra loro le stazioni di Vernio e San Benedetto Val di Sambro. A quell’ora esatta, la terza e la quarta carrozza del convoglio furono sventrate da una potente esplosione. Il bilancio delle vittime risultò subito gravissimo.
La traccia neofascista nell’attentato all’Italicus
Ad oggi, i processi sulla strage dell’Italicus si sono conclusi in nulla, nonostante la matrice dell’attentato fosse chiara fin dall’inizio. Anche perché pochi mesi prima, era il 28 maggio 1974, un’altra bomba era esplosa a Brescia, in Piazza della Loggia, facendo 8 morti e 104 feriti. E si era subito pensato a una mano simile.
Fiorenza Sarzanini, sulla matrice politica dell’attentato contro l’Italicus
Seppur la matrice fosse chiara, i colpevoli non vennero allo scoperto. Furono notati parallelismi tra la strage del treno Italicus e gli attentati che fino a quel momento avevano mosso l’opinione pubblica verso una sola direzione, un solo colore. Gianni Migliorino rincarò la dose, in un lungo articolo a pagina 3, all’indomani dell’Italicus: “Li abbiamo visti in faccia una volta sola i protagonisti del terrorismo ferroviario“, recita Gaspare del Vecchio nei panni di Migliorino. “Dalle bombe dell’agosto 1969, messe contemporaneamente su nove treni, agli attentati ai convogli dei sindacalisti che andavano a Reggio Calabria, fino alla tremenda strage di ieri notte. Solo una volta è capitato che fossero presi ed è accaduto per un errore loro. Un incidente nell’innesco della bomba che stavano collocando nella toilette del direttissimo Torino–Roma, il 7 aprile dell’anno scorso. Subito venne fuori che erano inequivocabilmente neri“. Un gesto che sarebbe servito a “risvegliare l’opinione pubblica un po’ troppo sonnacchiosa“, aveva spiegato uno degli attentatori. Questi erano Giancarlo Rognoni, Nico Azzi, Mauro Marzorati, Francesco De Minni, militanti di Ordine Nuovo, uno dei movimenti politici di estrema destra.
Quel che Gianni Migliorino stava raccontando nel suo articolo era un riferimento all’episodio a cui anche Italo Calvino, nella prima pagina del Corriere, aveva accennato: “L’incidente sul lavoro toccato a uno di questi intrepidi dinamitardi da “water closet” ferroviario“.
“Io so“: il celebre “J’accuse” di Pasolini nell’intervento di Giuseppe Genna
Io so. Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato “golpe” (è che è in realtà una serie di golpe, istituitasi a sistema di protezione del potere). (…) Io so, ma non ho le prove, non ho nemmeno indizi.
Pier Paolo Pasolini nell’incipit al suo articolo sul Corriere della Sera del 14 novembre 1974
Pasolini scrive quest’articolo nel momento stesso in cui le Brigate Rosse iniziavano la loro sequela di omicidi e sequestri in Italia. Nelle parole dello scrittore Giuseppe Genna, “che cos’è il golpismo di cui parla Pasolini? Forse una condizione patologica costante della nostra Nazione“. Il 1974 è infatti riconosciuto come l’anno della fine dei golpe: in Portogallo (la rivoluzione dei Garofani a cui accenna Genna) e il regime dei colonnelli in Grecia.
Perché non si sono trovati colpevoli alle stragi?
Nel caso dell’Italicus, dice Giovanni Bianconi, i processi giuridici avevano riconosciuto, ma non dichiarato, la colpevolezza degli imputati e delle istituzioni che proteggevano questi ultimi. Tra queste, figurò il nome di un colonnello dei carabinieri di Arezzo, “la città di Licio Gelli, il capo della loggia massonica P2” ha specificato Bianconi. Il colonnello si sarebbe limitato a fornire alibi falsi ad alcuni militanti neofascisti sospettati. Inoltre, risultò che gli attentati non sarebbero nati da un semplice proposito neofascista, ma sarebbero stati istigati dalla P2, che funse anche da finanziatrice della destra extraparlamentare toscana.
Nel 1984 si aprì una stagione nuova per l’Italia. Il terrorismo rosso delle Brigate, che aveva trovato vertice estremo nel rapimento e nell’omicidio di Aldo Moro, era stato debellato. “Il boom economico era alle porte“, ha detto Sarzanini, “e soprattutto da Palermo era arrivata una notizia, per molti versi, sconcertante“. L’avvenimento a cui si è fatto riferimento aveva visto il pentimento e la confessione di Tommaso Buscetta, detto don Masino, “boss dei due mondi”. Ne parlò l’articolo dell’inviato del Corriere a Palermo, Adriano Bellivo, che occupò l’intera prima pagina del giornale del 30 settembre 1984.
Buscetta, in tremila pagine di verbale ha raccontato gli ultimi quindici anni di delitti siciliani. Qualcosa come 121 omicidi, con una sequenza impressionante di cadaveri eccellenti: dal generale Della Chiesa, al capo della mobile Boris Giuliano, ai magistrati Costa, Terranova, Scaglione, fino alle uccisioni degli ufficiali dei carabinieri Russo, Basile, D’Aleo.
Adriano Bellivo, nell’articolo sul Corriere del 1984
Tra i 366 nomi che figurarono nella confessione di Buscetta (e che diedero vita alla maxi retata della notte di San Michele) comparve anche quello di Giuseppe Calò, detto Pippo, l’inviato a Roma delle cosche vincenti della mafia palermitana. L’arresto di Pippo Calò, nella notte del 29 settembre, sarà la scintilla che farà esplodere, il 23 dicembre, la miccia sotto il treno Rapido 904. Dunque, alla “strage di Natale” avrebbero collaborato più mani: quelle dei terroristi neri, della mafia siciliana e delle famiglie camorriste Zaza, Nuvoletti e Bardellino, con le quali Calò aveva stretto accordi. Ma i verdetti contrastanti, anche in questo caso come nel precedente, non mancarono, afferma Giovanni Bianconi. Condanne, assoluzioni, rinvii, ed ergastoli solo per Calò e Guido Cercola, braccio destro del “cassiere di Cosa nostra“.
L’attentato al Rapido 904, nelle parole di Bianconi, “può essere considerato il primo atto della strategia della tensione mafiosa targata Cosa nostra“. Il giornalista ha indicato due moventi: il primo, nacque dalla volontà di “punire lo Stato“, che in un unico blitz aveva messo sotto processo una grande fetta della mafia palermitana. Secondariamente, l’attentato fu usato come diversivo per distogliere l’attenzione della magistratura dalla criminalità siciliana. Questo tentativo si concretizzò negli anni successivi con l’omicidio dei giudici Falcone e Borsellino, e di “cittadini qualunque e del tutto inconsapevoli di essere vittime di un gioco molto più grande di loro, com’era accaduto con le stragi neofasciste di vent’anni prima“.
L’intervista a Tommaso Pellizzari: tra podcasting, evoluzione della prima pagina e memoria del passato
Tommaso Pellizzari è giornalista presso il Corriere della Sera e vice capo redattore del quotidiano. Scrive di politica, di sport e di società; è stato autore di diversi libri e saggi incentrati sulla passione calcistica e le relazioni tra politiche e società. Con Radio IULM, Tommaso Pellizzari discute l’evoluzione generazionale del Corriere della Sera, che rispecchia anche quello della società tutta. In ultimo, analizza la realtà degli eventi accaduti tra gli anni ’70 e ’80 e il lascito di questi alle generazioni successive, che devono perpetrarne la memoria per non esserne in primis dimentichi.
Da quali materiali parte la realizzazione di una puntata del podcast? È stato difficile recuperare certi dettagli delle vicende?
Difficile no, perché il Corriere della Sera ha un centro di documentazione enorme che conserva tutta la raccolta di articoli del Corriere. L’idea di questo progetto è raccontare un fatto di cui ricade un anniversario attraverso gli articoli del Corriere della Sera, quindi la realizzazione è semplice. Mi basta alzare il telefono e chiedere ai colleghi dell’archivio del centro di documentazione di mandarmi tutto quello che c’è sul determinato fatto. In questo caso, sono state le pagine di giornale dei giorni immediatamente successivi alle due stragi dell’Italicus e del treno 904. Da lì, io o gli autori degli altri live leggiamo tutti gli articoli che ci sembrano utili a ricostruire il fatto. Prendiamo delle piccole parti, senza andare mai oltre il minuto e mezzo di lunghezza, e le trasformiamo in racconto. Immaginiamo poi che ci sia una voce narrante, in questo caso era Fiorenza Sarzanini, che cuce questo racconto. Infine, infiliamo una terza tipologia di audio: gli interventi esterni registrati, che sono testimonianze in audio. Ma, in questo caso, siccome si trattava di una testimonianza molto forte, quella di Mauro Russo, abbiamo scelto anche di farlo vedere, oltre che ascoltare, ai presenti in sala.
Risulta forse più efficace la resa “visiva” del podcast rispetto a quella costituita dal solo audio?
Sono due cose diverse. Il supporto delle immagini, con i ritagli di giornale e le fotografie dell’epoca, serve solo per il pubblico in sala. Ma il racconto è pensato per l’audio, quindi l’idea è che un episodio venga ascoltato. Però, dal momento che il podcast è quella cosa che si ascolta mentre si fa qualcos’altro, la sua fruizione è certo diversa per chi sta seduto in una sala. Non si può chiedere alle persone di stare sedute al buio in una sala ad ascoltare 55 minuti di parlato consecutivi. Al contrario, il supporto anche visivo muove il racconto. E, soprattutto, trovo molto interessante vedere l’evoluzione grafica del quotidiano. È curioso vedere, ad esempio, che a metà degli anni ’80, che noi percepiamo come anni già vicini a noi e come ingresso nella modernità, le pagine del Corriere della Sera ancora ospitavano intere corrispondenze di settanta righe in prima pagina. Questo adesso, se guardi la prima pagina di oggi, non esiste, ci sono solo partenze di cinque righe. Una volta invece il grande evento prendeva tutta la prima pagina. Per esempio, mostrati a schermo durante il live c’erano anche articoli del 2011 e del 2024, con le foto a colori, con la grafica completamente cambiata. Quindi, è un modo per raccontare come il giornale è cambiato negli anni. Poi c’erano anche tante foto in bianco e nero del fatto dell’epoca. Questo viene descritto nello stesso momento in cui gli attori leggono la corrispondenza di un inviato che a sua volta descriveva le condizioni dei vagoni saltati per aria. Vedere la foto, rispetto al podcast, a chi è presente in sala offre un aiuto in più.
Se prima veniva dedicato tanto spazio a fatti di tale portata, dunque adesso i periodici ne riservano loro sempre meno?
Diciamo che è proprio cambiato il modo di fare la prima pagina. Non è più quella di una volta, che conteneva pochi articoli molto lunghi. Adesso la prima pagina è molto più “vetrina”. Soprattutto, è cambiato il formato del giornale: fino a qualche anno fa, gli articoli avevano un formato a lenzuolo, molto grande, con meno pagine. Ora è un formato tabloid, quindi gli articoli sono più corti, ci sono più pagine e quindi nella prima pagina c’è meno spazio. Nel frattempo, il mondo è cambiato e la lunghezza degli articoli si è ridotta perché i tempi di lettura si sono ridotti. Se le abitudini dei lettori cambiano, è necessario che anche il giornale cambi. Persino il podcast cerchiamo di tenerlo dentro un certo orario, i 55 minuti, che è il limite di attenzione data all’ascolto.
Concludiamo parlando del contenuto del podcast. Perché tornare a insistere su vicende come quelle che interessarono l’Italicus e il Rapido 904 diventa più che mai fondamentale?
Innanzitutto noi ne parliamo perché ci sono degli anniversari, questa è l’occasione. Ma ne parliamo per svariate ragioni: primo, perché bisogna sempre sapere da cosa e da dove si viene; secondo, perché siamo in un periodo storico in cui, di questi fatti, se ne sta perdendo la memoria. Si sta anche riscrivendo la memoria. È quindi bene ricordare come sono andate le cose, con nomi e cognomi, ma soprattutto con attribuzioni precise di responsabilità, che invece per mille ragioni si tendono a nascondere o a cancellare. Questo affievolirsi della memoria, che è già un processo fisiologico a sé, è ulteriormente rafforzato dal bombardamento di informazioni costante a cui sono tutti sottoposti. Siccome la capacità di memoria che il cervello può sopportare è limitata, l’ingresso continuo di informazioni comporta che ne escano altre. Dunque, restituire una giusta prospettiva alle cose e ricordare quello che successe davvero diventano fondamentali: è la pietruzza che noi mettiamo e che speriamo qualcuno poi voglia raccogliere.
La puntata de “Il Corriere racconta“
La puntata de “Il Corriere racconta” del 15 novembre è riascoltabile (e rivedibile) integralmente sulla pagina YouTube della Fondazione Corriere della Sera.
Immagine in evidenza di Giulia Radice (Ph)