La premier Giorgia Meloni da Vespa ha dichiarato: “Il centrodestra ha perso una sola elezione regionale delle ultime dodici”, un dato poi certificato dall’agenzia di fact-checking Pagella Politica. L’ultima vittoria che può annoverare, infatti, riguarda la Liguria: il sindaco di Genova Marco Bucci è ora il nuovo presidente di regione, votato ovunque fuorché nella città che amministra dal 2017. Come direbbe Crozza, se lo conosci lo eviti, se non lo conosci lo voti. Ma allora, funziona oppure no il “campo largo” tanto agognato a sinistra? E soprattutto, esiste?
Un riassunto delle puntate precedenti
Il governo Meloni si è insediato il 22 ottobre 2022: da quella data a oggi si sono tenute nove elezioni regionali in altrettante regioni, e due elezioni nelle province autonome di Trento e Bolzano. Il numero delle elezioni sale a 12 se si considerano anche le regionali tenutesi in Sicilia il 25 settembre 2022, anche queste vinte dal centrodestra. In ordine cronologico, i partiti che sostengono il governo Meloni hanno poi vinto le elezioni regionali nel Lazio (unica regione davvero “strappata” al centrosinistra) e in Lombardia, dove si è votato il 12 e 13 febbraio 2023, in Friuli-Venezia Giulia (2 e 3 aprile 2023), nella Provincia autonoma di Trento (22 ottobre 2023), in Abruzzo (10 marzo 2024), in Basilicata (21 e 22 aprile 2024), in Piemonte (8 e 9 giugno 2024) e in Liguria (27 e 28 ottobre).
L’unica elezione regionale in cui ha perso il candidato dei partiti che sostengono il governo Meloni è stata la Sardegna, dove il 25 febbraio 2024 la candidata sostenuta da Partito Democratico, Movimento 5 Stelle e Alleanza Verdi-Sinistra, Alessandra Todde, ha superato Paolo Truzzu per meno di tremila voti.
Più particolare è il caso della Provincia autonoma di Bolzano, dove si è votato il 22 ottobre 2023: qui il presidente della provincia non è eletto direttamente dai cittadini. Il partito che ha ottenuto più seggi è stato il Südtiroler Volkspartei (SVP), che rappresenta la comunità di lingua tedesca dell’Alto Adige. Fratelli d’Italia è cresciuto nei consensi e ha stretto un accordo per governare insieme al SVP.
Il 17 e 18 novembre, invece, verranno chiamate alle urne Emilia Romagna e Umbria.
Il Post: “Elezioni regionali in Liguria, il campo largo un mezzo disastro“
Sarebbe arduo sostenere che il centrosinistra non fosse agevolato alle elezioni regionali in Liguria, dopo le vicende giudiziarie per corruzione che hanno messo in crisi la giunta di Giovanni Toti, ex amministratore regionale di Fratelli D’Italia, costringendo quest’ultimo alle dimissioni. Qualcuno parlava di un “calcio di rigore a porta vuota”. Eppure, alle votazioni del 27 e 28 ottobre di quest’anno, qualcuno in porta c’era e ha parato il colpo, riconfermando l’amministrazione regionale sotto il controllo della destra.
Il candidato proposto dal centrosinistra è un membro del PD, Andrea Orlando, un vecchio volto della politica. Quello che sembra aver debilitato la coalizione del cosiddetto “campo largo” (PD, M5S e AVS) è la scarsa affluenza alle urne dell’elettorato grillino, o meglio, “contiano”: il M5S ha ottenuto il 4,5%, a differenza di AVS, che ha preso il 6% e del PD, che ha raccolto un buon 28,4%. Il 55% degli elettori non è nemmeno andato a votare. Cosa significa?
Innocenti illusioni
Queste elezioni ci dicono due cose: da un lato che la “questione morale” non interessa più a una grossa fetta di elettori, scavalcata dalla convinzione che votare non serve più a nulla, dall’altro ci dicono che i leader di partito possono fare gli accordi che vogliono, ma poi sono i cittadini a non seguirli: la Liguria è la dimostrazione che l’elettorato del Movimento 5 Stelle è il più esigente in assoluto, tanto che sembra essere l’ago della bilancia che può determinare il successo o il fallimento stesso del campo largo.
Per intenderci, internamente al partito stanno discutendo se imporsi un massimo di due o tre mandati nelle cariche pubbliche: Orlando, il candidato scelto dal PD, aveva cinque mandati alle spalle. Non esattamente il volto del cambio di marcia o della discontinuità, visto che è stato ministro dell’ambiente nel governo Letta, ministro della giustizia nei governi Renzi e Gentiloni e ministro del lavoro nel governo Draghi.
Come se non bastasse, il fondatore del M5S Beppe Grillo aveva annunciato che non sarebbe andato a votare alle elezioni liguri (una mossa geniale), alimentando una polemica con Giuseppe Conte sul controllo del partito che sicuramente non ha fatto bene alla propria parte.
Italia Viva (si fa per dire): “È colpa di Conte“
Sebbene Matteo Renzi sia passato dal 40% del consenso del 2014 al 2% di oggi, c’è sempre un buon motivo per cui alla fine si parla di lui. Tagliato fuori dall’alleanza del centrosinistra in Liguria, ha commentato risentito: “Oggi ha perso Giuseppe Conte”. Parole a cui ha dato eco Maria Elena Boschi, compagna di partito: “Sono mancati i nostri voti a Orlando per colpa di Giuseppe Conte, che ha fatto la scelta di tenerci fuori”. Persino il vincitore del centrodestra, Marco Bucci, ha dato suggerimenti all’avversario: “Se io fossi stato in Orlando avrei fatto un mazzo così a Conte e Grillo”. Insomma, mannaggia a Conte.
Peccato che il partito di Renzi, fino a qualche tempo prima, appoggiava Bucci e la sua maggioranza di Genova, non Orlando. Ma soprattutto, peccato che l’unica volta in cui il campo largo ha funzionato è stato proprio quando il candidato lo ha scelto Giuseppe Conte: Alessandra Todde in Sardegna, una figura percepita come innovativa e competente. Il M5S ha appoggiato ben dieci volte su undici un candidato proposto dal PD, e tutte le volte hanno perso.
Bipolarismo psichiatrico
Fino a qualche mese fa, nessuno avrebbe mai immaginato che in Renzi sarebbe sbocciata una vocazione di opposizione al governo Meloni, considerate le numerose votazioni in parlamento a favore del governo attuale. Ora, invece, vorrebbe addirittura fare ingresso nel campo largo insieme a Conte e Schlein, insieme a chi, nell’ordine: ce l’ha con lui per aver fatto cadere il proprio governo nel 2021 e a chi deve rilanciare un partito spezzato dalla sua scissione del 2019, dopo averlo portato al minimo storico del consenso e della credibilità alle politiche del 2018. Naturalmente, i sondaggi ci dicono che l’ingresso di Italia Viva nell’alleanza aiuterebbe a perdere voti, non a rimpolparli. Il fatto curioso è che Renzi ha dichiarato di essere stato chiamato da Elly Schlein, senza essere mai stato smentito.
Dall’altra parte, la leader del PD non ha ancora detto parole chiare sulla volontà effettiva di coinvolgerlo. Il fatidico “campo largo”, in sostanza, non è mai stato codificato. Non ci sono regole programmate e condivise: si va serenamente a tentoni.
Perché la destra vince unita?
In effetti, divisioni e divergenze ci sono anche nel controcampo politico, formato dal blocco di centrodestra con Fratelli D’Italia, Forza Italia e Lega. La differenza sostanziale è che quando sono all’opposizione, questi partiti non parlano mai di “campo largo” né di alleanze. Basta vedere la gestione dell’opposizione di Meloni al governo Draghi. All’opposizione, ognuno di questi tira le frecce con il proprio arco e rimarca le differenze per convincere e consolidare il proprio preciso elettorato. Solo in prossimità delle elezioni si stringono in coalizione, portando al loro mulino la somma dei blocchi di consenso che hanno raccolto fino a quel momento, senza dare l’impressione di essere un partito unico in cui i voti si accavallano o si versano da un partito all’altro. All’opposizione, loro lavorano soprattutto per scolpire la propria identità.
Chissà, forse davvero il centrosinistra ha bisogno dei consigli della destra.
Immagine in evidenza: Dagospia