Delon e il Vuoto: intervista al professor Moccagatta

Il 18 agosto 2024, lo stesso volto che per decenni ha riempito i grandi schermi del cinema ha lasciato dietro di sé un vuoto incolmabile. Parliamo di Alain Delon, non solo attore, ma divo di un cinema ormai lontano, “l’ultimo esponente” di una grande stagione. Una figura emblematica, i cui occhi azzurri sono forse l’unica cosa davvero certa. Un personaggio “camaleontico“, come lo definisce Rocco Moccagatta, docente di Storia del Cinema presso la facoltà di Comunicazione in IULM, con il quale abbiamo discusso del mito di Delon.

L’incontro fatale con il cinema

Il cinema è venuto a cercarmi, salvandomi da cose che avrebbero potuto uccidermi.

Alain Delon in un’intervista con Olivier Père nel 2012 al Festival di Locarno

La giovinezza di Alain Delon non è stata facile. Cresciuto lontano dai genitori e arruolatosi giovanissimo nella marina militare, il ragazzo non sembrava essere destinato a diventare una star del cinema. Anzi, come lui stesso ha ammesso, non fu lui a rincorrere il cinema, ma fu questo a trovarlo. La sua carriera ebbe inizio a Cannes, quando fu notato mentre accompagnava la sua fidanzata dell’epoca, Brigitte Auber. Subito dopo venne inserito in alcuni film minori come figura di cornice, senza immaginare che quei piccoli ruoli sarebbero stati l’inizio di una carriera straordinaria. 

Ripensando al suo esordio, Delon riflette sull’ironia di essere stato scelto principalmente per la sua bellezza. Il suo aspetto, a suo dire, non rifletteva affatto il suo stato interiore da persona che fino ad allora aveva conosciuto soltanto la perdita.

Un divo paneuropeo 

Secondo il professor Moccagatta, Alain Delon è il prodotto di un’idea di cinema centrato sull’internazionalità. Pur iniziando la sua carriera nel cinema francese, Alain divenne ben presto un attore paneuropeo, collaborando con registi di diverse nazionalità. Un esempio emblematico di “internazionalità” è Luchino Visconti, che con “Rocco e i suoi fratelli” consolidò la figura dell’interprete come un divo non solo italiano, ma anche e soprattutto europeo. 

Significativa fu anche l’esperienza dell’attore francese negli Stati Uniti, fatto che rafforzò il legame tra l’artista e l’Europa. Delon, infatti, pur ammirando il cinema americano, ha spesso dichiarato di non essere mai stato completamente soddisfatto dall’America, prendendo una certa distanza dalla realtà del Paese.

Il cinema in cui l’interprete si inserisce, dunque, è caratterizzato da un linguaggio che trascende i confini geografici, imponente e universale: caratteristiche che lui stesso ha ereditato e che ne hanno definito la figura. 

Negli anni ’70 e ’80, però, come sottolinea il professor Moccagatta, la carriera di Delon perse parte della sua dimensione internazionale. L’attore si trasformò in un divo ancor più “francese”, immergendosi con assiduità nel cinema noir, e in particolare nel polar, il noir francese per eccellenza.

Negli anni ’80, Alain Delon diventò il volto di un cinema più poliziesco e criminale, interpretando ruoli da poliziotto o da malavitoso. Sebbene ci siano alcune eccezioni, come i suoi lavori con Jean-Luc Godard, questa fase segnò un ritorno del suo cinema alle radici francesi, legandolo sempre più al genere e alla tradizione cinematografica del suo paese.

Un attore “ingombrante”

È stato un materiale di scena straordinario, plasmato con grande maestria, in particolare da Visconti

Rocco Moccagatta, a proposito della figura attoriale di Delon

Tra le collaborazioni più significative dell’attore spiccano i nomi di grandi registi che lui riconosce essere parte di un gruppo che condivide tre grandi doti: una straordinaria capacità di messa in scena, una magistrale direzione degli attori e una visione innovativa della ripresa. Un gruppo limitato di cineasti che, ammette Delon stesso, appartengono a una tradizione di cinema che oggi non esiste più.

Alain Delon aveva un profondo rispetto per i suoi registi, riflette il professor Moccagatta, i quali a loro volta dimostravano grande maestria nel lavorare con un attore che possiamo definire “ingombrante”. Delon, infatti, amava prendere decisioni e dire la sua, talvolta arrivando a sovrapporsi alla figura del cineasta stesso.

Tra i registi che hanno avuto un ruolo determinante nella carriera di Alain Delon vi è Luchino Visconti, che contribuì a consolidare l’immagine del divo paneuropeo con capolavori come il sopracitato “Rocco e i suoi fratelli“, e “Il Gattopardo“. Una figura a cui contribuirono sicuramente anche Michelangelo Antonioni, con “L’eclisse“, e Valerio Zurlini, con “La prima notte di quiete”. 

Non meno importante è stato il sodalizio con Jean-Pierre Melville, che con “Le Samouraï” ha consacrato l’immagine di Delon come attore di culto. 

Una scelta simbolica e cruciale nella sua carriera è stata invece quella di René Clément, che gli affidò il ruolo di Tom Ripley in “Plein soleil“, il primo adattamento cinematografico del romanzo “The talented Mr. Ripley” (1955) di Patricia Highsmith.

Delon, Mr. Ripley e il rapporto con il vuoto 

La figura di Tom Ripley, afferma Rocco Moccagatta, può servire da chiave per analizzare il mito di Delon. Entrambi gli uomini condividono una bellezza straordinaria, che tuttavia non riesce a colmare il vuoto interiore che li accompagna. Un vuoto radicato in un’infanzia segnata dalla mancanza, e che li spinge a mutare ponendoli come esseri camaleontici. 

Al vuoto si accompagna una malinconia onnipresente che l’attore cercava di addolcire condividendola con i suoi personaggi, trasferendo su di essi un peso che ha sempre portato con sé, nei suoi film ma anche nella vita privata.

Questa malinconia è divenuta un tratto distintivo della sua opera cinematografica, conferendo a ogni interpretazione una profondità emotiva che ha segnato la sua carriera.

Delon aveva questa straordinaria bellezza, che spesso si piegava a una vena malinconica. Questo è ciò che affascinava Visconti, ed è ciò che lo ha reso l’interprete ideale

Rocco Moccagatta

Nei suoi film, Delon incarna spesso l’antieroe, un uomo votato alla sconfitta e alla tragedia, temi che sembrano adattarsi perfettamente al suo sguardo e alla sua fisicità.

Un viso così particolare come quello di Alain, riflette il professor Moccagatta, lo costringeva inevitabilmente a interpretare ruoli che, pur con esiti variabili, erano sempre incentrati sulla sconfitta, sulla rovina e sulla tragedia. Non solo la sua, ma anche quella di chi gli stava accanto, a partire dalle donne che incrociavano la sua vita, sul set e nel privato.

Interpreto personaggi tragici perché questo tema della perdita ha da sempre risuonato in me: la mia vita è stata tragica finché non ho iniziato a recitare e probabilmente l’ho portato sul grande schermo

Alain Delon, alla domanda circa il finale tragico che accomuna i personaggi da lui interpretati in un’intervista con Olivier Père al Festival di Locarno (2012).

Il nuovo Delon

Il vuoto lasciato dalla figura di Alain Delon, spesso definito “l’ultimo dei grandi” segna il cinema contemporaneo.

Delon ha lasciato un vuoto che probabilmente non è mai stato veramente colmato da nessuno, sicuramente non dai divi americani della New Hollywood che sono venuti dopo di lui

Rocco Moccagatta

Anche se nessuno può prendere il suo posto, Moccagatta prosegue, la sua lezione vive ancora in alcuni tratti degli attori moderni, come nella malinconica piega del sorriso di Timothée Chalamet.

Quello lasciato dall’attore è però un vuoto che difficilmente verrà mai colmato pienamente, riflettendo in questo modo emblematico la sua vita.

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