Continua la rassegna dei film occidentali che hanno raccontato il gioco d’azzardo, ciascuno sotto una luce diversa. Analizziamo altre tre (più una) pellicole cinematografiche delle quali la Fortuna, il rischio e il gioco hanno tessuto le trame.
“Casinò” (Martin Scorsese, 1995)
In questa rassegna, il titolo “Casinò” non può certo mancare. Diversamente, sarebbe come elencare gli animali che popolano le savane e non includere i leoni.
In “Casinò”, per la regia di Martin Scorsese, ogni cosa è un azzardo, che motiva una perdita o una vincita. Tutto nel film si riduce a un patto, a un compromesso, a un’alleanza tra due o più soggetti. Prima viene quella tra Sam Rothstein (Robert De Niro) e Nicky Santoro (Joe Pesci), poi quella del matrimonio, tra Rothstein e la seducente Ginger McKenna (Sharon Stone). Con queste poche ma eloquenti sillabe, Rothstein proporrà a Ginger un matrimonio che non potrà rifiutare: “Vuoi correre il rischio?”.
Il film di Scorsese non manca di nulla. C’è l’amicizia e il sentimento di fiducia che ne scaturisce, ma c’è anche il tradimento e l’odio e la paura. Per l’intera durata di quasi tre ore, il film si presenta allo spettatore come una specie di giostra, che gira e gira, spostando l’attenzione da un personaggio all’altro, da una situazione all’altra. In un senso quasi claustrofobico, la macchina da presa ha “paura” di stare troppo tempo fissa su un unico sguardo, su un unico attore. E quindi questa si sposta in continuazione. C’è la caduta e la rivalsa dell’eroe che, sul finale, ritrova l’equilibrio iniziale, la giostra smette di girare.
È un film in cui il gioco d’azzardo, l’incapacità di fermarsi, di frenare i propri istinti di vanità e di violenza, sono funzionali al progredire della storia. L’importante è, sempre e comunque, continuare a muoversi, come pesci in una vasca, per restare a galla.
“L’anno scorso a Marienbad” (Alain Resnais, 1961)
In un’atmosfera rarefatta, sospesa e priva di riferimenti ambientali se non un labirintico palazzo brulicante di ospiti presenti-assenti, è collocata la pellicola di Alain Resnais, “L’anno scorso a Marienbad“.
In questo film il tema del gioco entra distrattamente nella narrazione e, più di preciso, con il gioco dei fiammiferi: i bastoncini vengono ordinati a mo’ di piramide, stesi sul tavolo in file di uno, di tre, poi di cinque e, alla base, di sette. I due giocatori a turni raccolgono i fiammiferi, così che, alla fine, ne rimarrà solo uno, che toccherà al perdente. Il vincitore, però, è sempre “M” (Sacha Pitoëff), “l’altro uomo”, diverso da “X”, che al contrario patisce continuamente la sconfitta.
Il gioco, di cui nessuno dei partecipanti coglie le regole – se mai ci fossero – è allegoria del film stesso: la ricerca delirante di un senso, di un senno e di uno scopo nei fiammiferi riflette il tentativo inane di ricordare un incontro che si è già verificato o forse no. L’unica regola è: non ci sono regole. Non c’è ragione e non c’è schema prevedibile nei corridoi della mente.
“Il sacrificio del cervo sacro” (Yorgos Lanthimos, 2017)
Ci stacchiamo (ma non più di tanto, in verità) dal cinema d’Occidente con il film “Il sacrificio del cervo sacro” di Yorgos Lanthimos. Al pari della pellicola di Francesco Rosi (analizzata qui), questa di Lanthimos affronta in punta di piedi il gioco d’azzardo, abbozzandone appena i contorni. Piuttosto, è ancora una volta il tema del “rischio” a emergere, attraverso i personaggi della storia. Anche se, in quest’ultimo caso, si tratterebbe di un rischio perfettamente calcolabile, quasi “anestetizzato”.
A tal proposito, una delle sequenze pre-finale del film (tra quelle che più minacciano l’ethos dello spettatore) esemplifica il concetto di “assuefazione al rischio”. Essa è infatti l’apice della follia, dell’alienazione più totale e totalizzante.
Se vogliamo, qui si dà forma a un sadismo esasperato, che evolve in una dipendenza perversa, cinica, impersonale, la quale, dopo una certa soglia, assuefà il corpo e la mente dei protagonisti alla percezione del pericolo. Pertanto, il rischio non è più fiutato né temuto: il padre chirurgo imbraccia il fucile e punta. Intorno a lui, uno per ciascun angolo della stanza quadrata, sono disposti i tre membri della sua famiglia. Sono tutti e tre legati, bendati e ammutoliti. Il padre chirurgo, anche lui bendato, dopo una giravolta sul posto, si ferma e spara tre volte. Le prime due vanno a vuoto, la terza fredda. Il bambino, la preda abbattuta, soffoca nel sangue e muore – adesso davvero cieco e muto – per un colpo esploso di canna.
Menzione d’onore: “Pari e dispari” (Sergio Corbucci, 1978)
Chiudiamo su una nota comica. L’epopea dei buddy film all’italiana con protagonisti Bud Spencer e Terence Hill tocca l’anno 1978 con un film che interessa a questa rassegna, sia per toni che per temi. Alla regia c’è la mano di Sergio Corbucci, grande interprete del genere spaghetti western, con esempi in “Django”, “Navajo Joe” e “Il grande silenzio” (gli ultimi due musicati da Ennio Morricone).
Con Spencer e Hill (e gli Oliver Onions ad accompagnare), Corbucci esplora la chimica del duo comico, ne fa litigare le personalità attraverso situazioni ridicole e risvolti sconclusionati, e ne mette in burla i valori. Il gioco d’azzardo, qui, è solo decorativo. Il focus del dramma risiede infatti nelle botte, nelle steccate sulle mani e negli spintoni che i personaggi si danno sui tavoli da roulette.
I film menzionati nelle due parti di rassegna sono solo alcuni, e non certo tutti, tra quelli che hanno tematizzato il gioco d’azzardo. Il rischio non calcolato, l’avidità della vincita e del denaro, la paura, al contrario, dell’insuccesso (o, in certi casi, persino della morte), hanno guidato le azioni di molti protagonisti, di storie spesso senza lieto fine. Quali altri titoli vengono in mente quando si parla di “giocare d’azzardo”?
Immagine in evidenza: Film al Cinema