Elvis, Priscilla, Oppenheimer, I fratelli Menendez. Oggi parliamo di cinema e biopic, provando a ragionare sulle motivazioni che si celano dietro il successo del genere.
Cos’è il biopic
Innanzitutto il biopic è un genere cinematografico che comprende quei film che rievocano la vita di personaggi realmente vissuti, rielaborandola in modo più o meno romanzato. Nella sua forma più propria, il genere è infatti legato al significato complessivo della vita di un personaggio, o a una parte importante di essa.
La sua origine risale al cinema muto, quando veniva usato per attrarre il pubblico borghese che si interessava a soggetti “prestigiosi”: basti pensare al film Giulio Cesare del 1913 di Enrico Guazzoni.
Negli ultimi decenni del Novecento è proseguita un’importante produzione che va dal versante sportivo, a quello politico, a quello musicale e cinematografico.
Perché continua a piacerci?
La lista dei biopic usciti nel corso dell’ultimo anno è sempre più lunga, quelli sopra citati sono solo alcuni fra quelli più acclamati.
Ma se il genere risale almeno alla fine dell’800, cos’è che continua ad attrarci?
Molti spesso ritengono che esso sia un genere che sguazza nel cliché, come scrive l’autrice Clara Miranda Scherfigg, analizzando il successo dei biopic. Secondo lei infatti il genere “tende ad applicare stilemi narrativi simili a personaggi e contesti molto distanti tra loro”. Cita poi un articolo di Andrew Chan a proposito del film Center stage:
Il biopic è il più disdegnato dei generi cinematografici, sistematicamente accusato non solo di fare il tira e molla con la verità, ma anche di essere una noia mortale.
Eppure è il genere più usato del 2023. Ciò che i registi infatti possono fare tramite il biopic è giocare sulla dimensione collettiva della narrazione epica, sulla portata pedagogica di figure storiche, spesso usate come fonte di intrattenimento.
Ad attrarci infatti sono le tecniche cinematografiche che stanno dietro il biopic e che rendono la narrazione della vita di un determinato personaggio più incalzante: la biografia a ritroso, il racconto in ripetuti flashback, la personalità irriverente che si rivela con la maggior età e quelle caratteristiche del personaggio con le quali lo spettatore possa confrontare la propria esperienza di vita.
Il nostro tracciato biografico, scrive sempre la Scherfigg, per come lo ricordiamo o raccontiamo a noi stessi e gli altri, “è una linea solo apparentemente retta, in realtà è piena di increspature, nodi, traumi, eventi memorabili”.
È facile infatti limitarsi alla conoscenza di vita e morte di una figura realmente esistita: ciò che il pubblico vuole sapere è piuttosto la sua crescita, quei momenti che lo hanno reso noto a tutti. Nel romanzo Biography of X di Catherine Lacey, l’autrice scrive: “Ora so che una persona supera e resiste sempre i limiti di una storia che la riguarda, la sua soggettività fuoriesce dai bordi e si disperde. La gente è troppo complicata per starsene tranquilla all’interno di una narrazione sul proprio conto”.
La tendenza del biopic
Se analizziamo infatti le uscite di quest’anno, moltissimi film ritraggono la vita di figure talvolta controverse e che in passato hanno sicuramente scosso l’opinione pubblica. Forse ad intrigarci sono proprio questi aspetti. Ad aprile, ad esempio, uno dei film più attesi è stato Back to Black, regia di Sam Taylor-Johnson, sulla vita della nota cantante inglese Amy Winehouse. Per quanto tutti negli anni 2000 fossero ammaliati dalla bravura della giovane ragazza, ad oggi è difficile non ricordare anche la sua dipendenza dalle droghe, causa della sua prematura morte.
Forse il pubblico è accorso nelle sale per conoscere meglio questo lato di Amy: perché, nonostante il successo raggiunto, cadde nell’abuso di stupefacenti? Tramite il suo biopic riusciamo a immedesimarci nel personaggio e a renderci conto di quanto, dietro la fama, spesso si nasconda anche tanta solitudine e insicurezza.
Eppure, in questo caso, il film ha fatto arrabbiare molti, specialmente i fan. La causa è stata principalmente il coinvolgimento nel progetto degli eredi di Winehouse, in particolare del padre Mitch, accusato di essere stato uno dei motivi per i quali la cantante abbia affrontato disordini alimentari e caduta nella dipendenza da sostanze. In più, evidenzia il The Hollywood Reporter, il film è curatissimo nei dettagli ma respinge i sentimenti: “Un biopic non dovrebbe essere (solo) attenzione ai dettagli esteriori – necessari se si sta raccontando la vita di un’artista la cui storia è stata così ben documentata, nel bene e nel male- ma un tentativo di afferrarne l’essenza“.
Fra verità e apparenza
Ugualmente è accaduto con i biopic su Elvis e Priscilla: uno il “king del rock”, l’altra sua moglie. Cosa ci affascina della loro storia? Sicuramente la carriera del cantante, che per anni ha dominato la scena facendo scatenare i giovani degli anni ’50, affascinati da quel suo ancheggiare a ritmo di musica. Ma altrettanto sicuramente anche l’abuso di alcol e stupefacenti che, in entrambi i film, non passa inosservato.
Forse però l’aspetto che più ci attrae della loro vicenda, fondamentale nel film Priscilla di Sofia Coppola, è la differenza d’età dei due, che li ha sempre sottoposti all’attenta osservazione del pubblico. Perché un uomo come Elvis, all’epoca 24enne, nel bel mezzo del suo successo, si innamorò di una ragazzina di appena 14 anni? Ed ecco così che il biopic tenta di rispondere nuovamente alle nostre domande: sarà stato amore vero o una trovata per farsi notare? No, i due si sono incontrati, si sono amati e poi il tempo e le conseguenze delle loro azioni li hanno divisi, o almeno così ci vogliono far intendere Baz Luhrmann (regista di Elvis) e la Coppola.
Questione di prospettiva
I biopic ci mostrano talvolta una vita diversa da come ce la immaginiamo.
Nell’ultimo mese a richiamare l’attenzione del pubblico è stata la nuova serie di Gareth Edward: Monsters. Il titolo di per sé creò fin da subito hype, d’altronde riassume con una singola parola quello che è stato uno dei casi di cronaca nera più controversi della Beverly Hills degli anni ’90. La serie infatti ruota attorno la storia di Lyle ed Erik Menendez, condannati all’ergastolo nel 1990 per aver ucciso i loro genitori.
È interessante come la serie sia riuscita a influenzare l’opinione del pubblico che per oltre 30 anni li ha accreditati come crudeli assassini. Se da una parte li mostra come bugiardi patologici, dall’altra fornisce un punto di vista diverso da cui emergono abusi mentali e fisici che quei giovani ragazzi hanno subito sin da bambini. Questo fa sì che si crei nello spettatore un sentimento di empatia nei loro confronti, che giustifica in qualche modo le loro azioni.
Infatti per molti, tra cui lo stesso Erik Menendez, il regista della serie, Ryan Murphy, ha reso troppo glamour un caso che ovviamente non ha nulla di affascinante. In ogni caso Murphy dà allo spettatore la libertà di scelta, di decidere da che parte stare.
Secondo una recensione di Gabriele Prosperi, la serie è allo stesso tempo attraente e disturbata: il vero fascino non risiede infatti solo nell’orrore di crimini, ma nel modo in cui vengono estetizzate violenza e devianza, rendendole visivamente attraenti. Il regista qui ha cercato di evidenziare la sensualità dei personaggi , in modo da affascinare lo spettatore: le inquadrature ritraggono principalmente corpi, muscoli, sguardi che in un gioco di luci e primi piani esaltano la sensualità fisica dei protagonisti.
Un altro motivo per il quale questa serie-biopic sta facendo discutere è la viralità che è riuscita ad ottenere, soprattutto tramite note celebrities. A partire da Kim Kardashian, volata a San Diego per incontrare i detenuti del penitenziario Richard J. Donovan, tra cui anche Lyle ed Erik, con i quali ha discusso di riforma della giustizio e del sistema carcerario. E ancora la modella Emily Ratajkowsky, che sulle sue storie Instagram ha messo in parallelo il caso dei Menéndez con quello del produttore Sean Diddy Combs, accusato di violenza sessuale. Dice infatti: “Penso sia necessario aprire un dibattito sulle violenze sugli uomini“.
Spettatori di vita
Il biopic non è solo curiosità, il biopic è anche ispirazione e sogno (spesso per il suo carattere romanzato). Diversamente da un documentario, esso ci permette di osservare storie di vita da una prospettiva diversa, facendoci emozionare nel mentre.
Almeno tutti, una volta nella propria vita, devono aver visto La ricerca della felicità di Gabriele Muccino. A smuovere i nostri animi non è stata solo l’incredibile interpretazione di Will Smith, ma la toccante storia del vero protagonista. Chris Gardner vive in intensa povertà con un figlio a carico e senza una casa dove poterlo crescere, finché un giorno riesce a diventare un imprenditore milionario. Questo emozionante biopic insegna a non arrendersi alle sfide più dure che la vita ci pone davanti. Solo credendo realmente in ciò che vendeva, anche quando tutti gli sbattevano le porte in faccia, Chris è riuscito “a raggiungere la felicità”.
Prossime uscite
Prossimamente uscirà il biopic sulla vita di Bob Dylan A complete unknown, interpretato dal celebre Timothée Chalamet, amato dalle nuove generazioni. Il film ritrae un giovane di soli 19 anni che con una chitarra, talento e tanta voglia di mettersi in gioco arriva a New York dal Minnesota ed esordisce come cantante country, ottenendo poi fama mondiale. Un ragazzo come tanti, con tanti sogni per la testa e la paura di non riuscire a realizzarli.
La sua storia potrebbe essere fonte d’ispirazione per tutti quei giovani alla ricerca del proprio posto nel mondo, bloccati dal timore di non riuscirci. Esso potrebbe quindi essere l’ennesimo biopic che confermerà questo genere come la tendenza del momento.
In conclusione il biopic ci piace perché, in una realtà molto spesso fatta di sole apparenze, ci viene data la possibilità e forse anche il privilegio di poter conoscere più approfonditamente la vita di qualcun altro, che stimiamo o disprezziamo, e che ci possa mostrare, anche solo per qualche ora, la vera realtà.
Immagine in evidenza: Venerato Maestro Oppure, Cine Club, Art Photo Limited e Wikipedia