Quando c’era lui era tutto più semplice. Ma sì, Sangiuliano. L’idea di spodestare l’egemonia culturale dalle grinfie della sinistra appariva come una fantasia lontana, delirante, grottesca. Ora che al Ministero Della Cultura c’è Alessandro Giuli, si vede il maldestro tentativo dei media italiani di dipingerlo come un Sangiuliano bis. Una delle ultime occasioni si è presentata all’audizione tenuta dal ministro nella sala del Mappamondo a Montecitorio.
La narrazione dei giornali
L’8 ottobre 2024 il neo-ministro della cultura Alessandro Giuli ha letto un discorso davanti alle commissioni cultura di Camera e Senato, riferendo le linee programmatiche del suo dicastero. Nell’economia di un discorso durato un’ora, i media sembrano essere stati svegli (e nemmeno poi così tanto) durante due minuti del discorso nello specifico, cioè il passaggio un po’ più complesso e potenzialmente meno chiaro seguito da un’ora di assoluta linearità. Nessuno ha riportato o commentato il discorso nella sua integrità, né si è premurato di spiegarlo a chi non avesse gli strumenti per comprenderlo, come dovrebbe fare un corpo intermedio, quale il giornalismo, nell’informazione. Anzi, si è dato eco alla pericolosa fallacia di tale sillogismo: “Se non capisco quello che dici, significa che mi stai prendendo in giro, o che sei stupido”. O, ancora: “Non hai detto niente perché l’hai detto difficile”.
Ecco alcuni titoli che lo dimostrano: “Il criptico discorso di Alessandro Giuli alla camera” (Il Post), “Il ministro Giuli alla camera parla di apocalittismo difensivo e infosfera globale” (Il Fatto Quotidiano), “Cita Hegel ma è incomprensibile” (Tg La7). Repubblica e La Stampa hanno letteralmente parlato di “supercazzola”. Ma il titolo più raggelante viene da Fanpage: “Abbiamo decifrato l’ultimo discorso di Giuli con chat GPT..”.
Ma non è che ci siamo abituati a un appiattimento del linguaggio tale da liquidare come “supercazzola” le parole di chi, per una volta, cerca di alzarle il livello del discorso politico? Non è che ci siamo ridotti talmente male che qualcuno si è fatto bastare il fatto di essere di sinistra per sentirsi autorizzato a detenere la patente di “spessore culturale”? Se così fosse, e questi articoli ne sono un indicatore preoccupante, forse meritiamo davvero che la rubino, la cosiddetta egemonia.
Che cosa ha detto realmente il ministro
L’estratto che i media italiani hanno dato in pasto all’opinione pubblica riguarda il pezzo del discorso che va dal minuto 3:20 al minuto 5:44, che fra poco vedremo. Successivamente, però, Giuli ha parlato di molte cose: l’eredità culturale dell’imprenditore Adriano Olivetti, ha toccato il tema dell’editoria, delle periferie, delle biblioteche e di accesso alla lettura, di terremoti, di come l’arte può ripensare il proprio ruolo anche attraverso l’elaborazione delle catastrofi, di come capitalizzare sul patrimonio storico monumentale nel rispetto del genius loci. Poi ha citato Gramsci e Pasolini, ma i giornali non ne hanno parlato, nemmeno per un’eventuale difesa dei loro nomi. Insomma, non si è criticato nel merito un discorso chiaramente da discutere e non si è preso nota delle promesse fatte dal ministro. Ecco uno stralcio delle famose parole “indecifrabili”:
La conoscenza è il proprio tempo appreso con il pensiero: chi si appresta a immaginare un orientamento per l’azione culturale nazionale non può che muovere dal prendere le misure da un mondo entrato nella dimensione compiuta della tecnica e delle sue accelerazioni. Il movimento delle cose è così vorticoso, improvviso, così radicale nelle sue implicazioni e applicazioni che persino il sistema dei processi cognitivi delle persone e non sono delle ultime generazioni ha cominciato a mutare con esso. Di fronte a questo cambiamento di paradigma la quarta rivoluzione epocale della storia delineante una ontologia intonata alla rivoluzione permanente dell’infosfera globale, il rischio che si corre è duplice e speculare: l’entusiasmo passivo che rimuove i pericoli della iper tecnologicizzazione e, per converso, l’apocalittismo difensivo che rimpiange un’immagine del mondo trascorsa impugnando una ideologia della crisi che si percepisce come processo alla tecnica e al futuro intese come una minaccia. Siamo dunque precipitati nell’epoca delle passioni tristi? No. Fare cultura è pensare sempre daccapo e riaffermare continuamente la dignità alla centralità dell’uomo e ricordare la lezione di umanesimo integrale che la civiltà del rinascimento ha reso universale: non l’algoritmo ma l’umano, la sua coscienza, intelligenza e cultura immagina, plasma e forma il mondo.
In sintesi
La prima frase è una citazione a Hegel per sostenere che la filosofia è figlia del suo tempo e non può avere la funzione di sbilanciarsi in previsioni sul futuro. Poi il ministro invita a prendere atto che il nostro modo di pensare è cambiato insieme alla tecnica e alla quarta rivoluzione industriale (quella dell’ Internet of Things e delle cose interrelate). Continua citando la distinzione di Umberto Eco in “apocalittici” e “integrati”. Giuli dice che in un mondo in cui l’informazione è confusa fra il fisico e il digitale non bisogna né cadere nell’entusiasmo passivo e spregiudicato, né in visioni apocalittiche e radicalmente pessimiste. Tira in ballo, infine, il concetto di “umanesimo integrale” di Jaques Maritain: la centralità dell’uomo deve essere complessiva, nell’apprezzamento di tutto ciò che c’è di buono e che può avere la forza di modificare il mondo intorno a sé.
Ministri filosofi e filosofi onesti
Uno dei pochi a prendere sul serio le parole del ministro è stato il filosofo e scrittore Andrea Colamedici, che con Maura Gangitano ha fondato il progetto Tlon (scuola di filosofia, teatro, casa editrice). Colamedici, oltre ad aver rilasciato un’intervista illuminante a Wired, ha detto la sua in una diretta su instagram. “Giuli ha sicuramente l’attitudine del ministro-filosofo e in quel discorso ha voluto evidenziare una discontinuità con il suo predecessore, ma non per questo è ammessa la disonestà intellettuale di coloro che vogliono banalizzare o schernire le sue parole, anche perché ciò offende la loro capacità di apprendimento”, ha dichiarato. In un secondo momento, Colamedici traccia un paragone ben assestato, appoggiandosi a una favola di Esopo: “Le rane chiedono un re”.
Il tronco e la serpe
Le rane, che vagavano libere nelle paludi, chiesero a Zeus un re che frenasse con la forza i loro costumi troppo dissoluti. Il padre degli dèi rise e diede loro un piccolo tronco che all’inizio spaventò quella specie fifona. Poi, superata la paura, si accorsero che il tronco era innocuo e inanimato, così lo sbeffeggiarono. Allora, Zeus lanciò nello stagno una serpe, che violenta prese le rane fra le sue fauci.
In questa storiella, Sangiuliano era il tronco, Giuli la serpe.
Immagine in evidenza: Roma Today