“Il tempo che ci vuole”, Comencini e la lettera d’amore al padre

Il 7 settembre è stato presentato fuori concorso alla 81ª Mostra del Cinema di Venezia il nuovo film di Francesca Comencini dal titolo “Il tempo che ci vuole”. Un’autobiografia della regista, incentrata sul rapporto con il padre, anch’egli regista, caratterizzato dal loro più grande punto di forza: il cinema.

La storia

Siamo negli anni Sessanta. Una bambina della borghesia romana (Anna Mangiocavallo) frequenta una scuola elementare francese, e viene accompagnata tutti i giorni dal padre (Fabrizio Gifuni), premuroso e attento ad ascoltare le fantasie e le preoccupazioni della figlia.

Francesca Comencini decide così di iniziare il suo racconto autobiografico narrando della sua infanzia, fatta di libri e corse nei corridoi di casa. Il suo film regala allo spettatore un forte senso di libertà e serenità, tratti caratterizzanti della prima fase della sua vita.

Il rapporto con il padre Luigi Comencini, noto regista italiano, autore di pellicole quali “Le avventure di Pinocchio”, è l’argomento chiave di questa storia. Essa inizia avvolta da una atmosfera tenera e intima, che incornicia l’amorevole rapporto tra i due. Il tutto si evolve poi fino all’adolescenza della giovane, ormai cresciuta e pronta a cadere nella dipendenza di cocaina, da poco comparsa nelle piazze italiane.

Il racconto prosegue con le voci di sottofondo dei telegiornali, impegnati nel dare la notizia del rapimento e poi della morte di Aldo Moro. In un’Italia sempre più impegnata in lotte politiche e sociali, il legame tra i due protagonisti si sgretola, a causa della dipendenza sempre più logorante di Francesca (in età adolescenziale interpretata da Romana Maggiora Vergano).

Set del film, da RollingStone Italia

Un film, una lettera d’amore

Il tempo che ci vuole” è la messa in scena del diario personale della regista. È una lettera d’amore per il padre e per la passione verso il cinema che lui le ha trasmesso. Questa passione si rivelerà essere l’arma vincente per sconfiggere la dipendenza dalla droga e la chiave di lettura per vedere la vita sotto un nuovo punto di vista, fatto di possibilità radiose.

Il cinema è quindi per i due protagonisti una scelta di vita e un modo di stare al mondo, dove la creatività e l’immaginazione sono le sostanze di cui essere composti.

Un’occasione per conoscere una figura di rilievo del cinema italiano

L’autrice di “Il tempo che ci vuole” ci regala un toccante scorcio personale per conoscere Luigi Comencini, non solo da un punto di vista professionale, ma anche umano. L’idea, infatti, è quella di far entrare lo spettatore nel magico mondo che il regista riuscì a costruire tramite le scenografie magiche dei suoi set, frequentati dalla protagonista durante la sua infanzia. Arriviamo a scoprire le pellicole da lui raccolte negli anni, fondamentali per costituire il patrimonio della Cineteca italiana di Milano, nata anche grazie al suo fondamentale contributo.

Fabrizio Gifuni e Romana Maggiora Vergaro in un cinema di Parigi, da 01 Distribution

Dettagli di produzione

La pellicola è prodotta da Kavac Film (Simone Gattoni, Marco Bellocchio), Les films du Worso (Sylvie Pialat, Alejandro Arenas, Benoît Quainon), IBC Movie (Beppe Caschetto), One Art (Bruno Benetti) e Rai Cinema. Il tutto sceneggiato dalla stessa Francesca Comencini, con la fotografia di Luca Bigazzi, il montaggio di Francesca Calvelli e Stefano Mariotti, e le musiche a cura di Fabio Massimo Capogrosso.

Il Festival del Cinema della laguna veneta è stato omaggiato della proiezione di questo film nell’edizione dello scorso settembre, come per il film “Familia” (di cui si può leggere qui).

È ora possibile goderne la visione nelle sale italiane. Corriamo al cinema per farci persuadere dalla bellezza di uno dei più difficili e profondi rapporti umani: quello tra padre e figlia.

Immagine in evidenza: 01 Distribution

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