La riforma sul tax credit per cui Sangiuliano non verrà ricordato

Opinione di molti è che il caso Boccia-Sangiuliano abbia marginalizzato il dibattito sulla recente riforma in materia di tax credit per il cinema, provvedimento che ha tutta l’aria di voler affossare un settore già abbastanza in ginocchio nel nostro Paese. Può darsi. In effetti, un ministro andrebbe giudicato nel merito dell’esercizio delle sue funzioni. Allora entriamoci, nel merito.

Sussulto a scoppio ritardato

Nanni Moretti sale sul palco di Venezia 2024 e affonda il colpo: “Ai colleghi produttori e registi vorrei dire che forse dovremmo essere più reattivi nei confronti della nuova, pessima legge sul cinema”. A dire il vero diversi lavoratori e associazioni di categoria erano scesi in piazza il 4 giugno protestando contro la legge a pochi passi dal Ministero della Cultura, ma solo ora, in coda ai lustri di Venezia, si sollevano le voci più critiche e si accendono davvero i riflettori. In queste ultime settimane Gabriele Muccino, Tinto Bras, Stefano Fresi e Neri Marcorè hanno dato eco alle parole di Moretti. Sindacati e associazioni dell’industria cinematografica si sono riuniti per chiedere correzioni alla riforma che rischia di azzoppare molte produzioni indipendenti, cercando un dialogo con il neo ministro Alessandro Giuli. Ma cosa cambia concretamente per il cinema e per noi spettatori? Vediamo.

1. Stretta sui finanziamenti

C’è da dire che la riforma era attesa da oltre un anno e ha lasciato col fiato sospeso le industrie del cinema, soprattutto le PMI. Molte produzioni, nell’incertezza del budget a disposizione, si sono improvvisamente arrestate. Il provvedimento è quindi arrivato tardi, ma è stato anche giudicato insoddisfacente dai lavoratori del settore. Che cos’è il tax credit? Un credito d’imposta pensato per sostenere le imprese nella produzione di film e serie tv, nato dalla riforma Franceschini del 2016, quando venne creato il Fondo per lo sviluppo degli investimenti nel cinema e nell’audiovisivo. Ad oggi, ai produttori spetterebbe un credito pari al 40% del costo eleggibile di produzione (per quelli non indipendenti è pari al 25%). Intanto, Sangiuliano ha ridotto il fondo in questione. Si è passati infatti dai 746 milioni del 2023 ai 696 milioni del 2024, con uno scarto di 50 milioni. Ma non è questo il punto, purtroppo.

2. Colpo di frusta alle piccole imprese

Gli scaglioni di finanziamento sono tre: sopra i 3 milioni e mezzo, sotto i tre milioni e mezzo, e sotto un milione e mezzo (quest’ultimo per le opere prime e seconde, i documentari e i cortometraggi). Esiste poi un finanziamento ad hoc di 52 milioni per film girati su grandi personaggi nostrani, interpretati da attori italiani. Il testo prevede che per poter accedere al finanziamento del tax credit il requisito è il possesso del 40% di capitali privati alla presentazione della domanda. Si richiede poi un investimento minimo in promozione che va dai novanta mila ai trecento mila euro, oltre a un numero minimo di proiezioni in un certo numero di sale entro quattro settimane dall’uscita con almeno una proiezione nella fascia serale.

Quello che contestano le rappresentanze del cinema è che per le produzioni indipendenti questi requisiti sono insostenibili. Facendo qualche calcolo, bisognerebbe avere almeno 600mila euro da anticipare per un’opera prima, e le piccole case di produzione indipendenti, non trovando la disponibilità delle grandi società di distribuzione, rimarrebbero escluse. E non finisce qui.

3. Modello italiota

Altro criterio ai limiti della sostenibilità per l’accesso al finanziamento riguarda la distribuzione: i contratti devono essere sottoscritti con le prime venti società in termini di fatturato di distribuzione italiana. Peccato che la maggior parte di esse siano multinazionali straniere. Uno degli aspetti che ha criticato il regista Gabriele Muccino riguarda poi i limiti all’accesso al tax credit per tutto ciò che nel budget è indicato come “sopra la linea”, cioè i costi degli autori, registi e attori. In un’intervista a “La Stampa” ha spiegato: “In pratica con quel tetto lì, se dovessi fare un film in Italia con attori americani, i produttori potrebbero scaricare in Italia ben poco del loro compenso, il che comporterebbe andare a girare il film altrove in Europa, con tutti i vantaggi che c’erano in Italia”. E pensare che Muccino e Moretti non sono fra i registi che si troveranno davvero in difficoltà.

La mossa Sangiuliano

Perché tutto questo? L’obiettivo di Sangiuliano parte in realtà da premesse ragionevoli, ovvero da un riordino dei costi. Inutile nascondere che in molti casi le produzioni italiane ricevevano generosi contributi pubblici, generando però incassi molto più bassi rispetto alle aspettative. Gli automatismi della legge Franceschini, in effetti, necessitavano di sostanziali correttivi, visto che una minoranza delle produzioni ha spesso adottato la strategia del “prendi i soldi e scappa”. Il problema è che per punire i “furbetti” è stato penalizzato l’intero settore. Secondo quanto riferito dal Ministero della Cultura, delle 459 opere tra il 2022 e 2023, non sono usciti in sala 145 film del 2022 e circa 200 del 2023. Per l’ex ministro, in Italia si sono prodotti troppi film con sostegno pubblico che poi non sono stati mai distribuiti o quasi. Inoltre, Sangiuliano sostiene che “a questo fiume di denaro pubblico non sempre ha corrisposto la qualità”.

In sostanza, invece di mettere le mani sul vero problema del cinema italiano, cioè il sistema di distribuzione, si è preferito togliere i soldi, tirando una riga in partenza fra chi può fare film e chi no. Come se i costi di produzione fossero automaticamente una garanzia della qualità cinematografica, fra l’altro. Se al Ministero importasse davvero la qualità, sono proprio le piccole realtà indipendenti che cercherebbe di agevolare, lo stretto corridoio in cui i giovani cineasti (il futuro del nostro cinema, per intenderci) cercano di farsi strada, fra le reti di un sistema già abbastanza elitario. Bene, a questi ultimi rivolgiamo il nostro appello. Avete paura che il vostro piccolo film indipendente non venga distribuito? Il Paese vi dà una risposta semplice e diretta: non avventuratevi nemmeno. Oppure fingete di produrre un kolossal celebrativo su Berlusconi; in quel caso vi danno 52 milioni.

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