Tra le cose che ci distinguono dagli altri animali ce n’è una, per così dire, piuttosto ragguardevole: l’idea di vivere una sola vita non è che ci esalti un granché. Per quanto la nostra possa a volte sorprenderci, difficilmente le cose si metteranno di traverso fra noi e il nostro insaziabile bisogno di fagocitare storie, tuffarci tra le righe di un altrove, infilarci in racconti che non ci appartengono per poterci restare da comodi intrusi.
Macinare vite impossibili
Leggere libri, in effetti, non è molto distante dall’idea di aggiungere mille vite alla nostra. Un modo come un altro per raggranellare senso allo scadere del giorno, al ritmo di quella vertigine pazza che ha tutta l’aria di essere una cavalcata sui tornanti di lettere e inchiostro col solo scopo di approdare a una storia fra mille, portarsela dietro, dentro e addosso. Sì, siamo animali strani. Inseguiamo altrove.
Racconti al crepuscolo di un’estate
Di libri ce ne sono tanti, ma il gesto che facciamo è sempre lo stesso. Ne apriamo uno e insieme a lui si apre un varco. Iniziamo un romanzo e sentiamo come una carezza del mondo, e sappiamo che mai si ripeterà uguale a sé stessa. Tutto il resto scompare per qualche ora, per poi riapparire più bello e luminoso di prima, persino più giusto. Come se delle parole versate sulla carta rimettessero a posto l’ordine delle cose in un voltare di pagina, e sciogliendo grovigli di forme svelassero nuove geometrie. Possiamo camminare sui ciottoli bagnati dall’acqua di un lago, sostare fra uno scoglio e l’altro consumato dal sale, rigare i prati con i nostri percorsi, possiamo ritrovarci distesi a sagomare soffici pavimenti di sabbia arrossita dal sole. Magari siamo bloccati dentro i bordi di una città fumante, con i raggi che feriscono il cemento, o assorti e partecipi al grande respiro che palpita fra le cime dei monti. Non ha alcuna importanza. In estate, qualsiasi il luogo, soffia un vento di lettura che ci invita a salpare, qualsiasi la meta.
D’altra parte, è anche stagione di leggerezza, perciò il modo più goloso per cibarsi di storie potrebbe essere quello di prendere in mano dei racconti, soprattutto per chi non annovera la lettura nella sua dieta abituale. I tre libri che troverete qui sotto sono legati da una comune peculiarità, chiamiamola così: tutti e tre, a modo loro, sono racconti “crepuscolari”, nel senso che leggendoli si ha come l’impressione di assistere a momenti privilegiati, poco illuminati, di transizione, non finiti, destinati a sfarinare. Storie che sfumano in altre non pronunciate. Scorci sghembi e zoppicanti di paesaggio umano, appesi esattamente in mezzo tra la luce del “non più” e quella del “non ancora”.
crepùscolo s. m. [dal lat. crepuscŭlum, der. di creper «alquanto buio»]. – 1. La luminosità del cielo a oriente prima del sorgere del Sole (sinon. in questo caso di alba o aurora) e a occidente dopo il tramonto, accompagnata da cambiamenti di colore prodotti dalla diffusione e diffrazione dei raggi solari, nel loro passare attraverso gli strati bassi dell’atmosfera, dove il vapore acqueo e il pulviscolo sono più abbondanti. 2. La fase iniziale o declinante di un fatto.
da Enciclopedia Treccani
“Tre volte all’alba”, Alessandro Baricco
Vi siete mai chiesti come sarebbe stato incontrare vostra madre quando aveva diciott’anni? O magari il vostro partner a ottanta? Cosa avremmo pensato di loro? Come sarebbero stati ai nostri occhi? Ecco. “Tre volte all’alba” ci accompagna in questo movimento impossibile. Il libro abbraccia tre racconti, o meglio, tre incontri. Un uomo e una donna inciampano l’uno nella vita dell’altro per tre volte, ma ognuna è la prima, l’unica e l’ultima. Perché qui il tempo non segue le regole che conosciamo, si avvolge su sé stesso come un nastro e poi sposta i fotogrammi: quando lui è un bambino, lei è adulta. Quando lei è una ragazza, lui è un vecchio. A favor di cronaca, è bene rammentare che questa non è una storia d’amore. È la storia di due persone che continuano a salvarsi a vicenda, mentre le ultime ore della notte scivolano liquide in un giorno nuovo. Ogni racconto si fa strada nella luce dell’alba, prendendo avvio fra le mura di una hall d’albergo. Ah, siamo sotto le cento pagine.
“Tutti i figli di Dio danzano”, Haruki Murakami
Un uomo abbandonato dalla moglie parte per l’isola di Homkaidō, dove deve consegnare un pacco alla sorella di un collega. In una località di mare una ragazza stringe amicizia con uno strano pittore che ha l’abitudine di accendere falò in spiaggia. Un giovane vaga per la città pedinando un uomo a cui manca un lobo dell’orecchio, convinto che sia il padre che non ha mai conosciuto. Una donna si concede una vacanza in Thailandia e una vecchia le prevede un sogno. Un ranocchio si introduce nella casa di un impiegato di banca per salvare la città di Tokyo. Tre amici, due giovani studenti e una ragazza. Tutti innamorati. Ma di chi, veramente? Il libro raccoglie sei incontri che possono cambiare il corso di un’esistenza, suggerire nuove posture sul mondo, che promettono la cura di una ferita o la decifrazione di un mistero. Tutti fuoriusciti dalla penna ironica e mordace di Murakami, i sei racconti sembrano avvilupparsi attorno un’unica trama: lo sconvolgente terremoto di Kōbe del 1995, grande trauma collettivo conservato nella memoria, bussa alle porte già socchiuse dei personaggi. Si avvertono le prime crepe di un terremoto emotivo.
”Il Coccodrillo”, Fedor Dostoevskij
Questo è un racconto crepuscolare nel senso che la sua seconda parte non ha mai visto la luce. Un’opera incompiuta, rimasta lì, mozzata, affacciata sull’ignoto dall’anno 1865. Mettersi a leggere Dostoevskij in piena estate, con la salsedine attaccata al costume, potrebbe non essere poi un’idea così brillante, ne convengo. Ma questo non è il solito Dostoevskij. Stiamo parlando di una storia sotto le settanta pagine che non ha nulla da invidiare al fantastico. Lui stesso la definì una “monelleria scritta unicamente per ridere”, che gli ha pure procurato qualche noia per via dei suoi guizzi satirici contro i giornali e il progressismo capitalista che soffiava da Occidente. Comunque, ecco di che si tratta.
A Pietroburgo, un tedesco mette in mostra un coccodrillo per la prima volta. Un funzionario amministrativo, comicamente convinto dei propri pregi e accecato dall’amor proprio, si reca a visitare il coccodrillo insieme alla moglie. Mentre questa se ne sta a contemplare le scimmie esposte lì di fianco, qual genio del suo consorte trova il modo di stuzzicare il coccodrillo fino a farsi prendere nelle sue fauci. Una volta inghiottito, si scopre che l’uomo è ancora vivo lì dentro e non ha accusato il minimo danno. Da qui, un’improbabile cascata di assurdità: il tedesco che non vuole saperne di sventrare il coccodrillo, la moglie del funzionario che si abitua in fretta all’eccitazione di una vita vedovile, lo stesso prigioniero che non ha la minima intenzione di uscire di lì, perché nello stomaco vuoto di un coccodrillo riceve un’attenzione che fuori non aveva, e di punto in bianco si ficca in testa di diventare un profeta illuminato.
Insomma, al netto di tutte le allegorie che possiamo vederci, a centrare il segno è la spassosa vena umoristica di questo libretto, che potrà divertire la vostra estate e magari spingervi a scrivere mentalmente un finale che metta finalmente un punto a questa storia.
Buona lettura!
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