19 luglio 2024: i Deep Purple esordiscono con un nuovo album dalla copertina total white e dal titolo riassunto in una sola parola, anzi, in un solo numero: “=1“. Di seguito, la recensione dell’LP.
Gli inediti
Fra l’aprile e il luglio di quest’anno sono usciti tre singoli che fanno parte della tracklist dell’inedito album. Il primo dei tre a vedere la luce è “Portable door“, pubblicato il 30 aprile con un video ufficiale su YouTube. Il secondo, del 5 giugno, s’intitola “Pictures of you“, mentre l’ultimo, “Lazy sod“, vicinissimo alla data d’uscita del disco completo, è del 3 luglio. Sono i Deep Purple: lo storico pluricinquantenne gruppo hard rock britannico, che dal 2020 non presentava più brani originali, è tornato questo 19 luglio con nuovo materiale nel paniere.
Nuova musica nel paniere, ma con un twist negli ingredienti
Quel che c’è di diverso, oltre alla musica, sono i suoi esecutori. La band, dal suo ultimo album in studio (“Turning to crime”, 2021), ha infatti subito una parziale evoluzione. Ma partiamo dai membri che già si conoscevano, e questi sono: Ian Gillan alla voce, Roger Glover al basso elettrico, Ian Paice dal ’68 dietro la batteria e non se n’è mai staccato, e Don Airey, che sostituì il fu Jon Lord nel 2002. Ma proprio per l’occasione a questi quattro si è definitivamente aggiunta una voce, che già aveva suonato in concerti precedenti del gruppo. Nel 2022 sale anche sul palco del Forum d’Assago il chitarrista Simon McBride, prendendo il posto del leggendario Steve Morse (dopo la lunga militanza di quest’ultimo come legittimo erede di Ritchie Blackmore).
A stupire è la giovanissima età del belfastiano McBride rispetto al resto dei componenti. In questo senso, si può dire che l’inedita formazione sia ben diversificata al proprio interno. Infatti, e lo si sente solo ascoltandoli, i Deep Purple hanno cambiato musica.
Copertina e Long-Playing
“=1” è il titolo dell’album, e avrebbe un significato preciso. In un comunicato stampa che precedeva di qualche mese l’uscita del disco, si diceva infatti che lo strano numero simboleggiasse “l’idea che, in un mondo sempre più complesso come il nostro, ogni cosa si annulli in una sola e unica essenza. Ogni cosa è uguale a uno”. Un messaggio che attrae l’interesse e la cui portata aumenta grazie alle tante scritte ed equazioni che un po’ dappertutto in Europa hanno fatto capolino sui grandi schermi pubblicitari.
Ian Gillan, intervistato da Rolling Stone, parla della scelta del titolo in termini di un “appiattimento” delle dimensioni: “Questo appiattimento generale, dove le peculiarità degli altri non riescono più ad emergere, dove siamo uniformati e dipendenti da tutto, tranne che dalle cose che hanno un valore mi ha messo un po’ di tristezza, ma mi ha anche dato lo spunto da cui partono molti dei testi del disco“.
E, se è vero che tale annullamento di spessore riguarda noi in quanto esseri del reale, Gillan ci tiene a sottolineare anche l’opposto: “I Deep Purple sono un po’ un antidoto per me, perché ho spesso l’occasione di mettermi in disparte e poterli sentire suonare, ognuno con le proprie origini musicali, spesso opposte tra loro. Il titolo è un po’ il contrario di quello che per me rappresentano i Deep Purple“.
L’idea che tutto si annulli in una cosa sola dischiude non solo le proprietà dell’idea in sé, certamente di grande trasporto in un secolo quale il nostro, puntellato di grandi cambiamenti che facilmente disorientano. Ma racconta anche un altro aspetto, forse più profondo del primo: la volontà dei Deep Purple di tagliare un loro ennesimo traguardo di carriera. Alla veneranda età di quasi ottant’anni – a eccezion fatta per McBride – conservano il loro pudore di suonatori e non si lasciano intimidire dai suddetti “grandi cambiamenti”, anzi, cavalcano l’onda delle novità e ne fanno un maremoto di nuovo rock, trascinando però in salvo, a riva, anche una loro più classica salsedine rétro.
La copertina
Se siano riusciti o meno a rendere in concreto l’idea racchiusa da questo titolo, lo si evince già dalla copertina del disco. Per essa, stavolta, si è optata la scelta minimalista. Alcune parole in inchiostro nero, scritte su uno sfondo completamente privo di altri elementi, e dipinto di un riconoscibile color bianco, leggono titolo dell’album e nome del gruppo. Un concept, quello dell’album total white, già visto, ma che non muore mai del tutto. Anche in quest’ultimo caso sembra che funzioni, o che perlomeno riesca a esprimere l’immagine di un “annullamento” di tutto a un’unica identità.
Il disco
Passando invece ora al disco in sé e al suo contenuto, esso propone 13 tracks, la cui lunghezza non supera, di media, i quattro minuti. La band si era già più volte avventurata nel produrre album corposi a livello di quantità di canzoni. Ad esempio, titoli come “Bananas” o “Whoosh!” prevedevano un ricco set al loro interno di dieci/dodici brani, affatto prolissi nei tempi. Perciò, anche nel caso di “=1”, a giustificare la presenza di tante tracce è se non altro la loro durata, assai breve. A eccezion fatta per “Bleeding obvious” che si ascolta per 5 minuti e 50 di registrazione. Esso è in coda agli altri dodici, insieme capitanati da “Show me“, i quali dunque non raggiungono l’ora piena, ma la sfiorano di poco.
L’abile mano dietro il disco è quella di Bob Ezrin, indiscutibile colonna portante di una fetta di produzione rock in Occidente. Nelle parole di Gillan, Ezrin è apparso e ha rivoluzionato il sound del quintetto. “Non gli pesa dire se una cosa gli piace o meno. Noi gli rispondiamo OK, e finisce lì. Risparmi giorni e ore di riflessione e di tensione, perché qualcun altro ha già deciso“.
Il cuore pulsante di “=1”: le musiche
E si potrebbe proprio iniziare, per entrare nel vivo di questa recensione, con la lead-off track, “Show me“. Ad aprire le danze è una pièce che al proprio interno racchiude due anime. L’una più reboante, mentre l’altra più allusiva, che all’unisono restituiscono un sound che si richiama a un rock fatto di contraddizioni, raffinatamente rozzo. A sonorità nuove se ne aggiungono di vecchie, e le due metà si mescolano tra loro, stabilendo un equilibrio che non scade nel banale o nella caricatura. Già a partire da questo brano l’ascoltatore viene instradato a imboccare un sentiero già battuto, una pista che il sopracitato “Whoosh!” quattro anni fa aveva già fiutato.
Anche i tre singoli anticipati in introduzione, in maniere diverse l’uno dall’altro, lasciano traccia di un cambio di registro. L’accoppiata Airey-McBride diviene un personaggio irrinunciabile per la trama del disco, e ciò si evidenzia soprattutto in pezzi come “Old-fangled thing” e “Portable door“.
“Old-fangled thing”
“Old-fangled thing” è il brano che si può o solo amare o solo odiare. Nella filosofia del gruppo, appare essere il classico motivo upbeat, veloce, scottante che tocca le corde che vuole toccare, senza mezzi termini. Si aggancia a un tipo di sonorità che i Deep Purple avevano fatto proprio con “Speed King” (1970), ripreso poi da “Highway star“, “Burn” e altri. Fino a quest’ultimo, appunto, “Old-fangled thing“, che, nonostante manchi del guizzo canoro di quegli anni, sa comunque rindossarne splendidamente l’abito. E il cambio di passo ritmico, che diviene una falcata piena a metà del brano, dà la possibilità a tutti gli strumenti di improvvisarvi dentro, generando l’impressione di una frenetica jam session.
”Portable door”
Il 1° maggio, i Deep Purple fanno la loro unica tappa in Asia suonando al Singapore Rockfest. E qui presentano, live per la prima volta, il brano “Portable door“, quarta traccia dell’album. Rispetto agli altri dodici, esso è il vero comeback degli anni ’70 nel 2024: un suono ostico dai ride come campanacci e dalla tastiera che sbuffa come un treno in corsa. La medesima intenzione viene ripresa in continuazione da più parti del disco e si attenua solo più tardi, a un passo dal giungere al finale.
“=1” è un album che coraggiosamente affronta il decennio ’20 del 2000 senza essersi fermato per inerzia al ’70, ma che al contempo sfrutta quel po’ di buongusto che ancora rimane del secolo precedente per fortificarsi sulle sue stesse fondamenta.
Immagine in evidenza: Rolling Stone Italia