“Un mondo a parte” è il nuovo film di Riccardo Milani con Antonio Albanese e Virginia Raffaele, uscito solo il 28 marzo e già secondo in classifica al Box Office.
Entriamo in un “altro mondo”
È proprio in “un mondo a parte” che Michele Cortese, maestro elementare, si ritrova dopo aver chiesto di essere assegnato provvisoriamente presso la scuola di Rupe, un piccolo paesino di Opi nell’alta Val di Sangro, nel cuore del Parco nazionale d’Abruzzo. Le riprese in realtà si sono svolte in vari comuni tra cui Pescasseroli, Villetta Barrea e Lago di Barrea, Sperone, Civitella Alfedena, Gioia dei Marsi. Per di più, accanto ai protagonisti, a comporre la maggior parte del cast sono proprio le persone del posto, il che contribuisce a dare un ulteriore senso di verosimiglianza. Torniamo a Michele, dopo 30 anni di insegnamento nelle periferie della capitale si ritrova a confrontarsi con un’unica pluriclasse (formata da studenti di prima, terza e quinta elementare) che rischia di scomparire per mancanza di iscrizioni. Ad accoglierlo la vicepreside Agnese, interpretata da Virginia Raffaele (che parla abilmente il dialetto della zona).
Ma se una scuola che chiude è la morte del paese, i due saranno costretti a mettere in atto strategie di ogni genere per evitare la chiusura e aumentare il numero di iscritti. Come? Facendosi assegnare famiglie ucraine con bambini in fuga dalla guerra e pagando una famiglia di nordafricani per trasferirsi a Rupe.
Una commedia sociale sin troppo reale
“Un mondo a parte” è un film che parla indubbiamente del bisogno di cambiare, fondersi e confondersi. Così come il personaggio interpretato da Albanese sente il bisogno di scoprire una realtà lontana dalla sua, allo stesso modo il paesino scopre di aver bisogno di integrazione per sopravvivere.
Una commedia sociale che dice molto di questi paesi, e non solo, affrontando tematiche sempre attuali: la precarietà degli insegnanti, i lunghi viaggi per raggiungere la scuola, il diritto allo studio, la carenza di servizi, la diversità in tutte le sue sfumature, la rassegnazione che “qui si mangia a morsi come la scamorza”. Rassegnazione che caratterizza soprattutto gli adulti e che troppo spesso viene trasmessa anche ai più piccoli. Lo si percepisce in molte scene del film, una su tutte quando il maestro Michele invita metaforicamente i bambini a “salvare il mondo prima di cena”. Peccato però che il loro iniziale entusiasmo si scontrerà con la disillusione e la frustrazione dei genitori.
Un bagno di realtà
Milani pone una lente di ingrandimento su territori che per molti sono considerati solo mete da weekend. L’ideologia bucolica e di “vita semplice” che molti professano (inizialmente anche lo stesso Michele) si scontra con tutte le difficoltà che invece si è costretti ad affrontare quotidianamente. Lo spettacolo della neve per i turisti si trasforma in maledizione per coloro che ogni giorno affrontano per almeno 80 km le strade di montagna. Altrettanto simbolico è possibilmente anche l’uso stesso della neve nel film: un elemento che ricopre, immobilizza, allontana.
Restare o resistere?
“Un mondo a parte” racconta la storia di chi sceglie di andare via ma anche e soprattutto quella di chi resta. Restare vuol dire cercare di costruire, in modo forse più silenzioso, un senso per sé stessi e per questi luoghi. Emerge allora la figura di Duilio, un ragazzo che vuole resistere a tutti i costi nel suo paese a coltivare la terra. Un perfetto esempio di “restanza”, che secondo l’antropologo culturale Vito Teti, esprime “il sentirsi ancorati e insieme spaesati in un luogo da proteggere e nel contempo da rigenerare radicalmente”.
In fin dei conti “un paese ci vuole”
Quello di Milani non è un film che sperimenta con il montaggio o con inediti movimenti di macchina, ma un film da grande pubblico. Nel complesso si possono ritrovare elementi appartenenti anche a film come “Benvenuti al sud” e “Come un gatto in tangenziale”, proprio per questo scontro/incontro tra realtà sociali diverse e la figura del protagonista che fa esperienza di un mondo che pensava di conoscere. Un mondo sicuramente ostile ma pieno di radici, da cui è difficile andare via e non tornare più.
Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti.
Cesare Pavese ne “La luna e i falò”
Immagine in evidenza: CIPS