Alessandro Baricco lancia un romanzo nel mondo dopo otto anni. Per alcuni si tratta di leggere “Abel“ di Baricco, per molti altri il Baricco di “Abel“. Per pochissimi, solo “Abel“. Che cosa abbiamo fra le mani?
Dire cosa non è
Dire cosa non è, forse, può aiutarci a mettere i piedi sulla strada giusta per iniziare a capirci qualcosa del western metafisico di Baricco. Non è un romanzo: non abbastanza, non solo. Abel Crow è il pistolero più veloce del West, il nostro protagonista. Si racconta in prima persona per 146 pagine, con un montaggio che sembra dettato da un giovane vecchio appena svegliatosi da un coma. Abel Crow ha un talento che lo eleva sopra a tutti: sparare. Un gesto, un movimento, una vibrazione. Prendete un qualsiasi film di Sergio Leone, dite a Baricco di riempirne gli spazi bianchi con la sua voce, di scriverci sopra, e quel che otterrete è “Abel“: una raccolta di episodi che aprono il tempo, giusto l’attimo per poter dare nomi alle cose. I capitoli brevissimi compongono un intreccio sfalsato, dove non ha davvero importanza cosa è successo prima o dopo, perché l’inchiostro è convogliato a raccontarti quel momento irripetibile. Episodi che a immaginarli sarebbero isole galleggianti nell’oceano, che si slanciano sconnesse nella comune ambizione di scolpire in rilievo gli spostamenti nascosti dell’agire umano. Il montaggio poco funzionale alla storia, i concetti poco credibili in bocca a un semplice cowboy… nulla è nato per essere davvero un libro, figuriamoci un romanzo. E in effetti la storia diventa cornice scricchiolante, ma la luce scivola sui dettagli del quadro che è una bellezza. Gettare vernice colorata sulle sfumature di sabbia sollevata (che altrimenti non potremmo vedere, contemplare o nominare) è proprio quello che fa. In questo libro ogni cosa parla di sé stessa. E lo fa niente male. Ma perché farlo col western?
Perché il western
Il western ti permette di giocare da solo. Tu, gettato nel mondo dei lupi con un talento nel corpo. Sopravvivere. L’operazione di Baricco è tutto fuorché scontata: prende un genere (poco frequentato in letteratura), lo spreme, lo svuota e lo mette fuori fuoco. Ne fa un distillato, da miscelare a ciò che interessa a lui, ossia le geometrie del mondo e lo spartito che esse suonano. Il western ti permette di creare un “non-luogo”, remoto nel tempo e ai confini dello spazio e un minuto prima della civiltà, dove il mondo gira esattamente come il nostro, solo più chiaro nei gesti. Il duello. La sfida. La pioggia. Le notti insonni. Il calore di un letto. Il sole che ti brucia la pelle e ferisce la terra. Il mistero di una madre. Baricco scoperchia il western, rendendolo pressoché irriconoscibile.
Un’altra ragione è che questo genere, se sei bravo, ti permette di imperlare la carne di luce. Per Abel Crow sparare è un rito inevitabile e necessario, sente di essere nato per quello. E dopo quest’atto liturgico, sulle dita di polvere da sparo sente quello strano soffio di sporco mescolato al sacro. La carne si trasforma in luce. Nel western americano il duello è con l’altro diverso da sé, in quello all’italiana stagna fra pari: Baricco lo stringe a un duello con sé stesso. Filosofia. Giocata sul filo teso che vede il determinismo a un’estremità e il libero arbitro all’altra.
Le istruzioni per l’uso
Le istruzioni per l’uso di una lettura possono essere utili quanto totalmente prive di senso. L’esperienza è esattamente quella di un drink. Conta il sapore? Sì e no. Una buona parte la fanno la musica in sottofondo, l’ambiente, le luci, il prezzo, la preparazione che c’è dietro raccontata da chi te lo serve. Di fronte ad “Abel“ suggerirei di rinunciare a tutto questo. Certo, ogni piccolo elemento che si aggiunge prima e dopo modifica tutto, compresa l’intervista memorabile di Baricco rilasciata a Che Tempo Che Fa. I suoi libri precedenti non possono che influenzare il giudizio dei suoi affezionati, e portarli a dire che “non aggiunge niente a quello che l’autore ha già scritto“. Anche tralasciando il fatto che è impossibile non rintracciare in Abel Crow una svolta posturale dell’ultimo Baricco rispetto alla vita e al suo talento nella fondina, è a noi lettori che, forse, dovrebbe aggiungere qualcosa. E ammesso che non lasci niente di nuovo, inviterei chiunque a buttare giù sulla pagina in quel modo l’ambiguità di una madre, l’intimità di due uomini vicini alla morte, l’ebrezza di un incontro e di un semplice dialogo. Se il talento di uno scrittore si misura con la sua capacità di elencare i micro-gesti sconosciuti, come un’alba che posa la sua luce dal fiore più vicino a quello più lontano, Baricco è uno che dà i nomi alle cose divinamente. La sua è una musica alla portata di ogni orecchio. Suonarla è un’altra cosa. Provateci.
Immagine in evidenza: LuciaLibri