L’8 marzo ricorre la Giornata internazionale della donna. Mentre la Francia inserisce il diritto all’aborto nella propria Costituzione, l’Italia vede sei ginecologi su dieci obiettori di coscienza. L’8 marzo diventa quindi l’occasione perfetta per riflettere sul ruolo della donna in Italia, per quanto concerne il contesto lavorativo.
La legge 194
“L’aborto non è un diritto legalmente accettabile” e “anche nei casi più tragici, come quelli di stupro, non è mai giusto” sono solo alcune delle considerazioni emerse durante il convegno organizzato il 23 gennaio dalla Lega alla Camera dei deputati. La legge 194 del 1978, che dovrebbe garantire l’interruzione volontaria di gravidanza entro i primi 90 giorni di gestazione, è già fortemente depotenziata dalla grande presenza di obiettori di coscienza su tutto il territorio italiano.
Il mercato del lavoro
L’Italia è 104a su 146 Paesi per pari opportunità economiche. Il tasso di occupazione supera il 52%, e tra quello maschile e quello femminile c’è un gap vicino al 18%, anche questo un record europeo. Lo spartiacque è la maternità. La difficoltà nel conciliare impiego e maternità è tale che una donna su cinque esce dal mercato del lavoro dopo aver avuto un figlio. Il tasso di occupazione delle donne con figli è pari al 58,6%, quello degli uomini con figli all’89,3%. Le donne vengono impiegate più spesso in posizioni lavorative non-standard, come contratti a termine, part-time o lavoro in nero. La situazione potrebbe cambiare se aumentasse l’offerta dei nidi. Oggi la copertura è aumentata al 28%, solo perché sono diminuiti di molto i nuovi nati, ormai sotto i 400mila l’anno. Le donne che lavorano si scontrano con il gender pay gap, che cresce nell’arco della vita lavorativa. A parità di competenze e di mansioni, le donne vengono retribuite meno dei colleghi, soprattutto nel settore privato. In Italia la differenza retributiva tra i generi è maggiore tra gli impiegati (10,5%), con una diminuzione nel caso di operai (9,2%), dirigenti (5,2%) e quadri (4,9%), categorie dove le donne sono meno presenti. Pur essendo mediamente più istruite, l’accesso alle posizioni di leadership è ancora malvisto e ostacolato. Le amministratrici delegate in azienda sono solo il 2% e solo il 4% delle donne ricopre ruoli esecutivi. Per quanto riguarda posizioni di leadership, la percentuale è del 30%. L’autonomia economica delle donne è ostacolata dal peso del lavoro domestico e di cura, che ricade principalmente su di loro. L’ultimo capitolo di una parità retributiva non pervenuta riguarda le pensioni. Le donne sono rappresentate nelle classi di reddito pensionistico più basso, mentre il 70% dei percettori nella classe più alta sono uomini.
L’8 marzo, tutti i giorni
Ci sono ancora grandi divari che separano la posizione della donna nell’ambiente lavorativo rispetto a quella dell’uomo. Tra le ragioni del divario c’è un fattore culturale secondo cui la donna non debba lavorare per realizzarsi. Gli stereotipi attribuiti al genere femminile limitano le aspirazioni e il successo delle donne nel lavoro. È altresì presente un’organizzazione del lavoro penalizzante. Tale divario non avviene solo in azienda, ma divampa in molti contesti sociali, tra cui le università. È necessario riflettere su questi dati e sulla necessità di cambiarli per costruire una società di effettive pari opportunità, affinché l’8 marzo possa essere festeggiato tutti i giorni.
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