Se in questi giorni qualcuno mi chiedesse quale film andare a vedere al cinema, gli risponderei: vai, infilati in una sala buia e guardateli tutti. Ahimè, una volta con un solo biglietto si poteva fare davvero!
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Niente paura, il cinema non è ancora morto. Persino dopo il capolinea di “Barbie” e “Oppenheimer“, altri treni sono partiti in corsa, sfrecciando su binari disparati e stranamente affollati. Diamoci soltanto un numero: secondo i dati relativi all’affluenza nelle sale italiane per il 2023, si registra un incremento del 59%, e il 2024, iniziato col botto, si prefigura come un anno di svolta più che promettente. Film che un anno e mezzo fa non avrebbero portato un’anima viva in sala, stanno oggi riscuotendo (se non il successo) una discreta visibilità. Ma questo fenomeno meriterebbe uno spazio di indagine a sé stante. Ci basti sapere, invece, che stiamo assistendo a una delle stagioni più rigogliose del cinema internazionale degli ultimi anni. Qualcuno di voi non ci crederà. Comprensibile. Beh, a chi non basterà una prova, ne avrà ben cinque! Percorriamo insieme una multisala a binari. Saliremo a bordo di un treno che non vi permetterà di scendere, ma di osservare rapidamente dal finestrino le suggestioni di cinque piccoli capolavori proiettati in questi giorni. Cinque modi di fare cinema, cinque ragioni per scendere e trovare conferma. Si parte.
SALA 1: “Anatomia di una caduta” di Justine Triet
Una coppia di scrittori si trasferisce in Francia. Il figlio cieco trova il corpo del padre sul letto di neve ai piedi della casa, caduto dalla finestra. Sarà stata la moglie? Poco importa. Prendi la realtà, sfila via i fatti: il resto è storytelling, come direbbe Baricco. Questo thriller è costruito sulle corde tese di un processo giudiziario, in cui appare evidente più che mai come narrazioni e interpretazioni, nel distorcere realtà e fatti, ne generino altrettanta. Un fatto, senza una sua narrazione, non esiste. Altro che verità. Quanto sono belli i processi al cinema!
SALA 2: “Perfect Days” di Wim Wenders
Ci trasportiamo in Giappone, a Tokyo per essere precisi. Non vi capiterà un’altra volta di vedere così tanti bagni pubblici tutti in una volta, così diversi poi. Il nostro protagonista li vede tutti i giorni, ci lavora. Qui si ferma il tempo, ma si fa più intenso. Abbiate la pazienza di entrare nel ritmo di questo piccolo uomo e di rivivere affianco a lui sempre la stessa giornata, dove ogni incontro è un evento. La dignità di questo cavaliere addetto alle pulizie vi darà qualche scossone. Un furgoncino blu, tante musicassette e una macchina fotografica. Assaporare la vita nella semplicità delle piccole cose? Sì, ma attenti a non precluderci letture più sfaccettate… l’ingranaggio potrebbe incepparsi.
SALA 3: “Povere Creature” di Yorgos Lanthimos
Lo schermo di questa sala ci abbaglia con pennellate impressioniste e sguardi deformati. Anche se non si direbbe, questo “mondo-Frankestein” è il nostro, soltanto in una veste spudoratamente allestita per ridere di noi in modo grottesco. Diciamo subito che questo film è un esperimento. La protagonista stessa è un paradossale esperimento gettato nel mondo. In questa danza sulla sabbia il punto è uno solo: il sesso come strumento di conoscenza. Noi ci riponiamo domande che lei si pone per la prima volta. Ciò che vediamo e sentiamo nei viaggi di Bella Baxter soddisfa la nostra esigenza di ritrovare il reale attraverso le apparenze, brillantemente raffigurate sullo schermo. Lasciatevi spiazzare! O indignatevi, se preferite.
SALA 4: “Past Lives” di Celine Song
New York, anni 2000. Seduta al bancone di un bar vediamo una giovane donna dai lineamenti asiatici. Al centro fra i due uomini che la accompagnano, ride e scherza soltanto con l’uomo alla sua destra, anche lui asiatico. L’americano a sinistra li osserva e tenta sporadiche interazioni. Quello è suo marito. Chiarito questo punto, non ci resta che riavvolgere il nastro e guardare incantati le immagini che saltano da un momento all’altro della storia. Ogni sequenza è svuotata di parole inutili e riempita di raffinata poesia. È la storia delle occasioni perdute. Un’elegante riflessione sulle aspettative che le persone del passato hanno ancora di te. Non so se questo film parla anche di voi, ma concedetegli almeno il riguardo di farlo parlare.
SALA 5: “La zona d’interesse” di Jonathan Glazer
Siamo all’ultima tappa del nostro piccolo viaggio. Polonia, anni ‘40. I film sulla Shoah di solito raccolgono l’esperienza tragica delle vittime. Ora, se giriamo la mappa con cautela, dall’altro lato del muro di Auschwitz troviamo una villetta con giardino, che ospita la serena famiglia di Rudolf Hoss, direttore del campo di concentramento. Non vediamo nulla, al massimo sentiamo qualche grido. Un paradiso a due passi dall’orrore, così lontano e così vicino. La normalità agghiacciante si specchia poi nell’attualità, dove le teche di Auschwitz vengono pulite per il giorno di visita successivo. Siamo al di là del muro, rintanati in un microcosmo corazzato.
Capolinea.
Immagine in evidenza: Mymovies