L’inciampo silenzioso di Martin Scorsese

Da “Quei bravi ragazzi” a “Quei ragazzi completamente fessi” è un attimo. Con “The killers of the flower moon”, si riconferma la fase calante di Scorsese, anche se non ce ne siamo accorti o pecchiamo di eccessiva indulgenza.

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La trama

Reduce da Cannes 76, “The Killers of the flower moon” è approdato nelle sale italiane giovedì 19 ottobre 2023, portando con sé aspettative altissime. Il film prende le mosse da un vero caso di cronaca nera: l’uccisione seriale di nativi americani Osage, divenuti improvvisamente ricchi dopo aver scoperto giacimenti petroliferi sotto i loro piedi. Siamo negli anni ’20, in Oklahoma, dove l’oro nero diventa facile preda della fame insaziabile dei “lupi bianchi” come Ernest Burkhart (Leonardo DiCaprio) e William Hale (Robert De Niro). Un matrimonio darà inizio a un alternarsi di sporche menzogne, turpi raggiri e spargimenti di sangue.

Retroscena

In una recente intervista rilasciata a Wall Street Journal, il regista ha rivelato alcune tensioni tra i due attori protagonisti durante la lavorazione della pellicola, dovute spesso alla pedante loquacità di DiCaprio. Pare che questi affrontassero lo studio del personaggio in maniera molto diversa. Scorsese ha addirittura dichiarato che a un certo punto DiCaprio sarebbe diventato “insopportabile” e gli avrebbe chiesto “dove fosse il cuore della storia”. Non lo aveva capito nemmeno lui.

Scorsese inciampa, noi ci caschiamo

Non ci sono dubbi: “The Killers of the flower moon” sarà un grande film. Questo è ciò che la maggior parte di noi ha pensato. Perché? La storia sembra intrigante, gli attori sono spaventosamente bravi e la mano di Scorsese è una garanzia. Se poi ci aggiungiamo il fatto che il teaser trailer funziona in modo impeccabile, abbiamo quasi la certezza che sarà un capolavoro. Come dimenticare la tensione costruita sulla domanda che apre e chiude il trailer? “Riesci a trovare i lupi in questa immagine”? Peccato che questa suggestione della paranoia e del sospetto si esaurisca nei primi 25 minuti del film.

Idioti evergreen” al centro della scena

Nel contesto storico di colonialismo ammorbante che il regista vorrebbe raccontare, si presuppongono invasi e invasori. Il buongusto, invece, vuole che in questo film ci siano anche gli “invasati”, rispondenti ai nomi di Leonardo DiCaprio e Robert De Niro. Il primo elemento problematico consiste nello spiccato overacting di questi due attori. Non c’è inquadratura in cui il protagonista di “The Revenant” cambi espressione o sciolga quel broncio mandibolare. Azzerata la finezza interpretativa, reperibile soltanto in una fascinosa Lily Gladstone (Molly), che invece lavora “in sottrazione”, non resta spessore nemmeno nella scrittura dei personaggi. Ogni loro mossa demenziale e macchiettistica è preannunciata fin dall’inizio. Un’ironia maldestra, ingenuamente offensiva, pervade i due personaggi, togliendo credibilità a quei fatti che si pretende vengano presi sul serio.

Leonardo DiCaprio nell’ultimo film di Scorsese, da Best Movie

Un lavoro didascalico, già ammantato della nomea di “capolavoro”

Magari il problema fosse solo l’inconsistenza di Ernest Burkhart, liquidata fin troppo comodamente come “maschera dell’inetto”. Non è nemmeno la saturazione precoce del personaggio William Hale e il suo appiattimento nella reiterazione eccessiva di dialoghi a rappresentare il fallimento della pellicola. Bastava che il personaggio di De Niro parlasse di meno, per renderlo più interessante. Il punto cruciale è la cattiva gestione del tempo filmico, impiegato per lo più nella descrizione di operazioni e intrighi da gangster, che da sempre appassionano il regista. Posto, per assurdo, che il suo interesse fosse quello, il film appare comunque fuori fuoco alla luce del prologo e dell’epilogo.

Prologo, epilogo

Il prologo va verso un’analisi antropologica e sociologica di un’untuosa colonizzazione economico-culturale (sarebbe stato più interessante proseguire), per poi imboccare un’altra strada. L’epilogo condanna, tramite un siparietto posticcio, la spettacolarizzazione cronachistica di una tragedia come quella appena narrata, raccontata però da Scorsese negli stessi modi che denuncia e che tanto lo elettrizzano. L’impressione è che ci sia stata grande confusione d’intenti a monte, più che una mancata corrispondenza fra obiettivi e realizzazione.

Ragioni dell’arte e ragioni del mercato

Martin Scorsese non è in una botte di ferro come Allen o Tarantino, che godono di un’innata propensione dialogica e di scrittura. Il suo è un talento cinematografico allo stato puro, più delicato da gestire. È un tipo di regista a cui i paletti produttivi spesso fanno bene. È un autore di opere totali, che ora sembra zoppicare in un tentativo di ritrovare le impronte del passato che lo hanno reso più celebre. Ma se Scorsese crede davvero di avere ancora qualcosa da dire, si ricordi che oltre ai gangster movie, ha dato alla luce pellicole come “Re per una notte” (1982), “The Aviator” (2004) e “L’ultima tentazione di Cristo” (1988), interpretazioni brillanti della nostra storia, gemme estremamente pregiate e seducenti. Chi l’avrebbe mai detto che Christopher Nolan, quest’anno, avrebbe dato prova migliore rispetto a quella di un maestro superiore a lui? Nessuno, e in pochi lo ammetteranno, obnubilati dal pregiudizio o guidati da uno scarso senso di onestà intellettuale.

Immagine in evidenza: Apple TV

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