Il mese di aprile è stato segnato da alcune elezioni importanti, ovvero quelle in Ungheria, Slovenia e Francia. Le direzioni prese da questi paesi sono significative per il futuro dell’Europa. Questo, gli approfondimenti su alcune mosse delle istituzioni europee e il punto su altri fatti è Qui si fa l’Europa!
Viktor Orbán ha vinto di nuovo
Il partito Fidesz di Viktor Orbán ha vinto le elezioni parlamentari dell’Ungheria: è una riconferma per il primo ministro uscente, che governa in modo autoritario e illiberale il paese dal maggio 2010. Queste elezioni sono state le prime ad essere (quasi) combattute dopo anni: l’opposizione si era unita e si aspettava – come molti osservatori – un risultato meno netto. Péter Márki-Zay, che si è definito “cattolico” e “conservatore”, era stato definito “l’anti-Orbán” e, secondo tanti, avrebbe potuto vincere il confronto elettorale.
In realtà, non sembravano essere presenti le condizioni per un avvicendamento. Orbán controlla i media, cosa che gli ha permesso di fare una campagna elettorale particolarmente “permeante“. Inoltre, ha applicato il “gerrymandering“, ovvero il modificare – in modo estremamente strumentale – i collegi elettorali, affinché avvantaggino uno schieramento.
Nel discorso di vittoria, il primo ministro ha detto di aver vinto contro una serie di avversari, tra cui la “sinistra“, i “burocrati di Bruxelles“, George Soros e il presidente Volodymyr Zelensky. Da queste parole è chiara la posizione che Orbán assume, o lascia intendere di assumere, nei confronti dell’Europa e della guerra in Ucraina.
Via al meccanismo UE che sospende i fondi all’Ungheria
Legata, anche se non direttamente, alla rielezione di Viktor Orbán è la decisione della Commissione europea di avviare il meccanismo di condizionalità contro l’Ungheria. Il meccanismo, approvato nel 2020 e legittimato due mesi fa dalla CURIA, lega l’erogazione dei fondi europei al rispetto dello Stato di Diritto. Nello specifico, prevede che i fondi del cosiddetto bilancio pluriennale dell’UE siano ridotti a tutti quei paesi in cui è tangibile il rischio dello sperpero di fondi e dell’uso di questi per limitare le libertà.
La presidente Ursula von der Leyen ha dichiarato che la “nostra conclusione” è il dover “passare alla fase successiva“, tanto che “il commissario Hahn ha informato Budapest” dell’invio della “lettera di notifica formale“. Spetterà, ora, al Consiglio dell’Unione Europea, “ratificare” la riduzione dei fondi in seguito a una votazione a maggioranza qualificata, cosa che rende più possibile un voto a favore.
Nel mirino nel meccanismo è finita anche la Polonia. Va detto che la guerra ha addolcito i rapporti tra il paese e l’Unione, allineati (anche se per motivi diversi, nel più dei casi) sulle sanzioni contro la Russia.
In Slovenia ha vinto l’Europa
Il mese di aprile è stato un mese di elezioni importanti. Tra queste, non posso non citare quelle slovene. Il partito liberal-progressista Movimento Libertà di Robert Golob ha vinto (34,5%) sul populista, ultraconservatore e anti-immigrazione Partito democratico di Janez Janša (23,7%). Una vittoria a sorpresa, vista la giovanissima età del partito dell’imprenditore nelle rinnovabili.
Golob potrà contrare su 40 seggi e sull’appoggio del Partito socialdemocratico, a cui si aggiungeranno forse altri partiti di centrosinistra. Si andrà, così, a creare un governo in antitesi con il precedente, presieduto da un trasformista che si era andato a collocare nel populismo illiberale filo-orbániano. La notizia è sicuramente benevola per l’Unione Europea che, per prassi, attenderà la formazione ufficiale del governo per congratularsi con Golob.
Emmanuel Macron è stato rieletto
Emmanuel Macron è stato rieletto Presidente della Repubblica francese. Dopo aver centrato l’accesso al ballottaggio come candidato più votato, ha sopravanzato con il 58,55% la sfidante, Marine Le Pen. Da segnalare l’astensione record (28,01%), mai così alta dal 1969.
Nel suo discorso, tenutosi ai piedi della Tour Eiffel, ha ringraziato i cittadini per la rinnovata fiducia e promesso di fare della “Francia una grande nazione ecologica“. Continua dicendo che sarà “il presidente di tutti“, annunciando l’inizio di “una nuova era“, che non sarà il “proseguimento dei cinque anni che si chiudono“. “Nessuno sarà lasciato indietro” è l’imperativo. “Viva la Repubblica, viva la Francia” è la conclusione.
La vittoria, netta ma non trionfante, è un buon segno per l’Unione Europea. Un segno sicuramente migliore dell’esito opposto, per lo meno. Macron ha sempre tenuto a sottolineare il suo europeismo, ma, in passato, ha assunto posizioni più “nazionalistiche” di quanto piaccia ammettere. Sarà importante che, nei prossimi 5 anni, Macron “prenda coraggio”, a tinte blu più che blue, e agevoli le richieste di più Europa. Potrebbe, infatti, essere una delle ultime chiamate per l’UE, e per la Francia.
Queste elezioni, infatti, ci forniscono anche certe informazioni sul paese d’Oltralpe. Questo ha affrontato tre crisi molto segnanti (gilet gialli, pandemia e effetti della guerra), da cui è uscito provato e pieno di spaccature. L’estrema destra non è mai stata così forte, i partiti “tradizionali” mai così in crisi e quella radicale mai così “unica soluzione” a sinistra. Il sentimento non è facile da interpretare. Tra cinque anni, tra l’altro, Macron non si potrà ricandidare.
Il “terzo turno” delle Presidenziali
In questi giorni avrete, forse, sentito parlare di “terzo turno” delle Presidenziali francesi: è una definizione giornalistica e popolare con cui si indicano le elezioni legislative (12/19 giugno).
La nuova configurazione emersa dalle Presidenziali (polo di estrema destra, di centro e di sinistra radicale) fa temere il rischio di una “coabitazione” che “sarebbe un problema per l’approvazione di alcune misure” ad alcune fonti UE. In caso di esito negativo per LaREM, la Francia si troverebbe con Macron al Consiglio europeo e con ministri di tendenze opposte al Consiglio dell’Ue. Il rischio è la paralisi.
Sembra, però, complicato che queste preoccupazioni abbiano risvolti nella realtà. Secondo molte previsioni e secondo molti scenari, Macron avrà la maggioranza assoluta. Vero che due mesi sono molto lunghi, vero che la possibilità di esito contrario c’è. Rimane, però, forse una sopravvalutazione il rischio che si sta descrivendo oggi: la nomina del governo è comunque prerogativa del Presidente della Repubblica. Macron potrebbe, quindi, dettare in ogni caso la linea europea. Il che, ripeto, potrebbe essere davvero “una splendida notizia per tutta l’Europa” (Mario Draghi).
In Digital Services Act We Trust
Partiamo da lontano. Probabilmente saprete che Elon Musk ha comprato Twitter. Come probabilmente saprete che Elon Musk ha un’idea tutta sua di “libertà di parola”, nel senso che la confonde con disinformazione e hate speech. Questo [nota: come fa notare qui e qui David Carretta] rischia di mettere a dura prova il Digital Services Act (DSA). Che cos’è il DSA?
Il DSA è un disegno di legge (DL) che mira a dare una maggiore responsabilità alle grandi aziende tecnologiche sui contenuti che ospitano. Cerca, insomma, di “combattere” la disinformazione, gli odiatori e i contenuti illegali o nocivi. L’accordo sul DL, raggiunto dopo ore di negoziati e, prima ancora, mesi di ragionamenti, è stato definito “storico” da Ursula von der Leyen. Afferma la presidente che, da adesso, ciò “che è illegale offline sarà illegale anche online“.
Il DSA, che aggiorna una direttiva di vent’anni fa e si aggiunge al Digital Markets Act (DMA), si concentra anche sulla trasparenza. Viene richiesto alle Big Tech di essere limpide nella gestione di dati e algoritmi.
Ogni legge necessita anche di un controllo sull’applicazione e, in questo caso, si prevede un controllo annuo: in caso di infrazioni ripetute, le sanzioni potranno arrivare a un massimo del 6% del fatturato/anno. Dopo una battaglia che dura dal 2019 [nota: importante il ruolo di Thierry Breton], alle aziende sono state imposte tasse e sono stati imposti paletti più europei. È un “nuovo standard, che non ha precedenti” (Commissione Europea).
L’invasione russa continua
Al solito: Q.s.f. l’Europa non è un live blog.
Le notizie a ridosso dell’uscita non sono presenti perché o non approfondite in tempo o troppo recenti.
È iniziata la seconda fase dell’aggressione. La Russia, non in grado di conquistare l’intera Ucraina, ha iniziato a ripiegare per concentrarsi sul Donbas, zona orientale dell’Ucraina.
Questa zona è, e sarà, un terreno di scontro più complicato per il popolo invaso. Gli invasori, che controllano Luhansk e Doneck [nota: queste, scritte in russo per marcare la differenza, non corrispondono esattamente alle regioni geografiche di Luhans’k e Donec’k, che sono entrambe parte del Donbas], e mirano alla conquista di Mariupol. La città, che sembra destinata a cadere, permetterebbe ai russi di unire la già annessa Crimea alle due Repubbliche autoproclamate. Consiglio la lettura del resoconto della vicedirettrice di Il Post Elena Zacchetti.
Sono passati più di due mesi dall’inizio dell’invasione russa in Ucraina. L’Europa, l’occidente si è mostrato, fino all’ultimo episodio, molto unito nello schierarsi al fianco del paese invaso.
Fino all’ultimo episodio.
La Germania fa qualche passo indietro
La Germania, nella figura del suo Cancelliere Olaf Scholz, sta facendo qualche passo indietro. Per essere più precisi, sta tenendo ferme le sue opposizioni alle sanzioni e alla fornitura di armi. Rischia, quindi, di rompersi il fronte unito dell’Europa.
Significativo il commento di Tino Chrupalla, che afferma: “Il cancelliere Scholz si impone contro i guerrafondai uniti di Fdp, Verdi e Cdu-Csu“. Aggiunge anche “nessuna consegna di armi pesanti, nessun embargo, nessuna partecipazione della Nato alla guerra. La ragione prevale?“. Un sostegno quantomeno curioso, visto che arriva dal leader dell’estrema destra filo-putiniana di AfD.
Verso il sesto pacchetto di sanzioni
Nel momento in cui scrivo, la Commissione si accinge a proporre all’Unione Europea un sesto pacchetto di sanzioni contro la Russia. Secondo David Carretta (Il Foglio), tra le misure dovrebbero esserci restrizioni sulle importazioni di petrolio. Sembra improbabile, comunque sia, un embargo totale e non graduale. Finora si è lavorato su alcune opzioni: un’uscita sul modello del carbone (graduale); una limitazione per il greggio trasportato via mare e via terra; un tetto per il prezzo del petrolio russo (che sembra di difficile applicazione). Pare che questo pacchetto potrebbe colpire anche Sberbank, una delle due banche ancora non escluse dal sistema internazionale.
Bisogna tenere da conto il monito lanciato da Janet Yellen, segretario al Tesoro, che ha fornito un assist agli scettici dichiarando che un blocco totale “avrebbe un impatto dannoso sull’Europa” e sul mondo.