Qui si fa l’Europa: Viaggio in Europa

Le complicanze ad oriente, gli avvicendamenti politici nazionali e comunitari: Qui si fa l’Europa torna anche nel nuovo anno!

Care poche Persone, bentornate al Vostro aggiornamento mensile sull’Europa. Nei trentuno giorni che ci separano dall’ultima puntata, sono successe molte cose. Prima di affrontarle, però, mi voglio prendere un minuto.

In questo mese, ci ha lasciato il Presidente del Parlamento Europeo, David Sassoli. Il cordoglio unanime di amici e avversari politici testimonia la grandezza di questo uomo, che fu grande giornalista, prima che grande politico. Sassoli è stato un faro per chi crede in un’Europa migliore, una speranza per molti.

Non mi sento all’altezza di parlarne, voglio essere onesto con Voi. Le parole, in questi giorni, sono state sprecate, abusate, da chi non ne aveva diritto. Come non ne ho io, oggi. Leggete l’omelia del cardinale Matteo Zuppi, leggete quello che il Presidente ha scritto e fatto. Siamo tutti un po’ più poveri.

Il medium mi impone una certa freddezza, il formato da me scelto celerità. Siamo costretti a passare ai fatti del mese. Vi auguro una Buona Lettura, un abbraccio virtuale.

Nota. Questa rubrica viene scritta e consegnata prima del 25 gennaio. Questo implica che non vi sono riferimenti all’elezione del nuovo Presidente della Repubblica.

Qualcosa di nuovo sul fronte orientale

Nella puntataIl confine, e altre storie” di due mesi fa, ho cercato di affrontare l’insidiosa questione del “fronte orientale”. Ho citato la Bielorussia, l’UE, la Russia, il gas e un sacco di cose che, se siete tra i miei tre familiari che leggono la rubrica, avete sentito per tutte le feste natalizie. La situazione si è evoluta.

Il 10 gennaio, mentre io affrontavo l’arduo esame di Forme del Teatro contemporaneo, anche la vicesegretaria USA, Wendy Sherman, e il viceministro degli Esteri russo, Sergei Ryabkov, hanno avuto il loro da fare. Si sono, infatti, incontrati a Ginevra, per parlare della zona orientale dell’Ucraina, dove, da circa due mesi, la Russia sta ammassando truppe. L’Ucraina (che non ha partecipato ai colloqui) non è, tuttavia, l’unico tema.

Wendy Sherman e Sergeij Ryabkov a Ginevra (Ansa)

La compagine russa chiede che l’Ucraina non entri nella NATO (nota: la NATO è un’alleanza militare occidentale; gli USA hanno un ruolo da leader informali; l’ingresso dell’Ucraina è un’espansione verso est dell’influenza americana) e il ritiro delle truppe atlantiche da tutti i paesi ex-sovietici. Dall’altra parte della barricata, gli USA vogliono il ritiro delle truppe russe (nota: durante la scrittura di questo episodio, l’invasione russa è stata ritenuta gradualmente sempre più possibile).

La situazione è ancora più ingarbugliata, quando ci si ricorda delle divisioni interna alla NATO.

Il presidente degli Stati Uniti d’America, Joe Biden, ha recentemente dichiarato che un’invasione russa porterebbe a “litigi” sulle misure da adottare con gli alleati europei. Una frase che, per molti, ribadisce l’ovvio e che, allo stesso tempo, ha scatenato polemiche. In particolar modo, è stato fatto notare che citare le problematiche interne al fronte occidentale doni del materiale propagandistico a Putin.

Il presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron, ha, invece, dichiarato la necessità di costruire un sistema di sicurezza “tra noi europei, e dopo condividerlo con i nostri alleati all’interno della cornice della NATO“. Questo ha intorbidito un po’ di più le acque, tanto che alcuni funzionari francesi hanno dovuto ribadire la “fedeltà” alla NATO.

Le parole del presidente di turno del Consiglio dell’Unione Europea vanno, però, analizzate e comprese. L’Unione non ha politiche comuni in molti ambiti. Tra questi, quello della politica estera rappresenta il più annoso, senza dubbio. Al momento, non esiste una figura che possa sedersi a un tavolo internazionale e dire di rappresentare (davvero) l’UE. Ciò comporta uno schiacciamento della suddetta, costretta nel ruolo di comprimario, sia dagli alleati occidentali, che dai non-alleati orientali. L’europeismo non è alternativo all’atlantismo, ma non deve neanche essere subalterno. Se mi permettete l’uso di una metafora, attualmente gli USA sono invitati alla festa, l’UE è il suo +1. Forse, e dico forse perché è una mia opinione personale, sarebbe il caso di farsi invitare, o autoinvitarsi, alle feste.

Tornando a noi, è necessario ribadire che il timore di molti è che si ripeta quando accaduto nel recente passato: la NATO, l’UE e gli USA che adottano soluzioni molto blande nei confronti dell’aggressività russa. Dopo l’annessione della Crimea, ad esempio, l’Unione impiegò circa un anno per adottare sanzioni rilevanti. Per quell’intero anno, e per il periodo successivo, il governo tedesco difese senza esitazioni il progetto Nord Stream 2, il nuovo gasdotto ideato per portare il gas naturale russo in Europa (nota: l’Europa è estremamente indipendente dal gas russo; il NS2 potrebbe aumentarne la dipendenza).

La situazione, che ci riguarda da vicino, è assai complessa, come sottolinea Anne Applebaum su The Atlantic.

Una parola sull’energia

Se siete autonomi, lo saprete. Se non lo siete, provate a chiedere ai vostri genitori. Le bollette di gas e luce, in questo mese, sono aumentate (nota: se volete approfondire qui e qui, le motivazioni sono diverse).

In questo mese, non si è parlato di energia solo per quello.

La Commissione Europea, difatti, vuole inserire nucleare e gas naturale nella tassonomia prevista dal Green Deal europeo. Le proteste di governi (nota: la Germania, su tutti) e organizzazioni ambientaliste non sono mancate, soprattutto per la scelta sul nucleare, fortemente sostenuta dalla Francia. Molti osservatori hanno rilevato un legame tra questa posizione e il fatto che il paese governato da Macron, dipendente per due terzi dall’energia dell’atomo, abbia vissuto alcune “disavventure” con le sue centrali. L’EDF (Électricité de France) ha annunciato che, causa alcune riparazioni, l’output del 2022 sarà inferiore del 10%, rispetto alle previsioni. Le Figarò ha scritto di notevoli problemi alle centrali.

Metsola nuova presidente dell’Europarlamento

Il 18 gennaio, l’eurodeputata maltese del Partito Popolare Europeo Roberta Matsola è stata eletta presidente del Parlamento Europeo con 458 voti. Dietro di lei, la candidata dei Verdi Kuhnke, con 101 voti, e della Sinistra Europea Rego, con 57 voti.

Plenaria del PE (Philippe Buissin © European Union 2022)

Per la prima volta, le tre principali istituzioni europee sono presiedute da donne: oltre la suddetta Metsola, ci sono Christine Lagarde a capo della BCE e Ursula von der Leyen alla Commissione Europea.

L’elezione, oltre a testimoniare la forza del PPE, ha aperto a numerose critiche, da più parti. Metsola, la più giovane mai eletta presidente, è nota per le sue posizioni fortemente antiabortiste. La popolare, infatti, proviene da Malta, e ha sempre sostenuto le posizioni conservatrici del suo paese (nota: a Malta, l’aborto è sempre vietato, anche in casi di stupro). In molti, hanno descritto come “un passo indietro” questa nomina, soprattutto se confrontata con la prima presidente del PE, Simone Veil, nota protagonista delle battaglia per la depenalizzazione dell’aborto (nota: la legge del 1975 che raggiunge l’obbiettivo è conosciuta con il suo nome). I socialisti e i liberali, per via di queste posizioni, hanno messo in discussione la sua candidatura: non trovando un candidato unitario, le discussioni sono state pura conversazione.

Su questo, Roberta Metsola ha dichiarato che le sue “posizioni sull’aborto saranno quelle del Parlamento europeo, che ora rappresento“, aggiungendo che le promuoverà “all’interno e all’esterno di questa Camera“.

Un altro punto critico, e criticato, lo si ritrova in chi ha votato Metsola: fra di loro, si trovano anche i partiti di ECR (Partito dei Conservatori e dei Riformisti europei, a cui appartiene Fratelli d’Italia) e la Lega (ID). Questi partiti, che occupano gli scranni più a destra del parlamento, sono noti per un certo tipo di posizioni sull’immigrazione (nota: chiare le dichiarazioni del leghista Zanni). Un tema sul quale la neoeletta è stata spesso evasiva.

D’elezioni e di politica interna, o anche d’Europa

Un volo in Ungheria,

Il 3 aprile 2022 si vota in Ungheria. Viktor Orbán è al governo da dodici anni, e non ha mai rischiato di perdere il potere come in questo periodo. I partiti d’opposizione, che sono addirittura sei, si sono accordati sul sostegno a Péter Márki-Zay, un liberale ed europeista di centrodestra. Si teme per la correttezza dell’elezioni, visto che l’ormai semi-autoritario presidente ha già iniziato ha muovere le acque.

(Jure Makovec, via Getty Images) 

Per tornare in Francia,

Abbiamo parlato delle elezioni francesi già a dicembre, ma vi avevo promesso che non le avrei lasciate da parte. Come già si diceva, Macron dovrebbe arrivare con tranquillità al ballottaggio. Il suo rivale potrebbe essere a destra, dove Marine Le Pen e Valérie Pécresse (mia favorita, nella lotta interna delle destre) sono avanti su Éric Zemmour. La novità del mese è che quest’ultimo è stato condannato per incitamento all’odio razziale. Come potete immaginare, ha preso questa condanna come un “premio” per le sue “grandi lotte” contro i “poteri forti”.

Per approfondire il fronte della sinistra, ormai fuori dai giochi, segnalo, come prima cosa, questa lettura di Le Figaro sulla marcia elettorale di Jean-Luc Mélenchon. Si ipotizza un nuovo 2017 (nota: dato al 9% nei sondaggi, finì al 19,6% al primo turno).

Jean-Luc Mélenchon a Nantes, il 16 gennaio 2022. (Jeremias Gonzalez/AP/SIPA)

Come seconda cosa, invece, ritorno a sottolineare quanto sia affollato anche il settore di sinistra. Ai già tanti candidati (tutti lontani dai primi posti) potrebbe aggiungersi anche l’ex ministra Christiane Taubira. Sarebbe, forse, quella con più possibilità di ottenere un solido numero di preferenze. Libération, storicamente vicino alla sinistra, è arrivato a chiedersichi poteva prevedere che non sarebbe bastata una sola mano per contare tutti i candidati?“.

Per far fronte a questa situazione, dal 27 al 30 gennaio si svolgeranno online le “primarie popolari“, che nascono da un’iniziati dei cittadini. Al momento, gli elettori iscritti sono circa 230 mila (nota: più dei partecipanti alle primarie verdi e di destra) e potranno scegliere tra sette candidati: Taubira, Hidalgo, Mélenchon, Jadot, Agueb-Porterie, Larrouturou, e Marchandise. Il sistema di voto è a giudizio preferenziale: non verrà chiesto di scegliere una persona, ma di dare un parere (nota: vi sono cinque diversi pareri, da “molto buono” a “insufficiente”) a ciascuna delle sette. Vincerà chi otterrà la media migliore.

Nonostante quasi la totalità degli elettori voglia un candidato unico per le sinistre, solo Taubira ha promesso di rispettare l’esito delle primarie: si candiderà se, e solo se, sarà la preferita. Mélenchon ha dichiarato che non sono un suo problema; Hidalgo, dopo essere stato molto favorevole, è poco convinta; Jadot non ha intenzione di ascoltare il risultato, avendo già vinto quelle dei Verdi e non volendo sostenere chi sta più a sinistra. Il favorito, attualmente, è Mélenchon.

Passando dai Paesi Bassi.

Nei Paesi Bassi, il nuovo governo avrà la stessa maggioranza e lo stesso Primo Ministro, Mark Rutte, del precedente. Niente di nuovo? In realtà, è tutto nuovo: il paese potrebbe seguire una nuova linea, composta da investimenti nel sociale e nella transizione ecologica che potrebbero condurre al superamento del 60% debito/PIL. Un cambio di rotta notevole, per il partito che solo due anni fa voleva guidare i paesi “frugali”.

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