Julian Assange, giornalista e fondatore di Wikileaks, si trova in un carcere di massima sicurezza da più di due anni per aver diffuso dei documenti top secret del governo americano.
Il mondo ne chiede la liberazione attraverso l’hashtag #FreeAssange.
Wikileaks: cos’è e cosa ha provocato
Wikileaks nasce nel 2006 con l’obiettivo di rendere pubblici alcuni documenti di Stato di interesse pubblico.
Il mondo viene a conoscenza di Wikileaks quando, il 5 aprile 2010, pubblica dei documenti segreti riguardanti la guerra in Iraq: gli Iraq War Logs.
Ad attirare particolarmente l’attenzione è il video Collateral Murder, il quale mostra dei soldati americani su un aereo, intenti a trivellare di colpi dei civili, ridendo e prendendoli in giro.
In seguito, vengono pubblicati documenti riguardanti la sanguinosa guerra in Afghanistan, le torture celate nel carcere di Guantanamo, lo spionaggio globale esercitato da CIA e NSA e migliaia di documenti top secret.
Le prime accuse e l’inizio della persecuzione
Il governo americano, chiaramente, non è rimasto a guardare.
Attacchi hacker, spionaggio, intimidazioni, denunce e una forte campagna di diffamazione mediatica, davanti alle quali Wikileaks, tuttavia, non si è mai arresa.
I problemi sono iniziati il 18 novembre del 2010, quando la Svezia rilasciò un mandato di cattura internazionale per il giornalista, accusato di stupro e molestie, probabilmente con l’obiettivo finale di estradarlo negli USA, dove, ad attenderlo, c’erano l’ergastolo o la pena di morte.
Assange a questo punto si rifugiò nell’ambasciata ecuadoriana, ottenendo asilo politico.
Rimase chiuso in una piccola stanza per ben sette anni, circondato da agenti pronti ad arrestarlo non appena avesse messo un piede fuori dalla porta.
Questo fino all’aprile 2019, quando l’asilo venne revocato e venne arrestato e trascinato di peso fuori dall’ambasciata.
L’uomo che uscì da quell’edificio urlando “UK must resist!” non assomigliava per niente a quello che vi era entrato.
Magro, barba e capelli incolti, occhi spiritati. Sembrava quasi un’eremita.
Quello è stato l’ultimo giorno che Assange ha passato fuori di prigione.
La prigionia e la possibile estradizione
In questi due anni e mezzo nella prigione di Belmarsh, la situazione è precipitata. Atti si autolesionismo, piani suicida, torture psicologiche insopportabili.
Gli sono stati diagnosticati una malattia polmonare, una profonda depressione e persino la sindrome di Asperger.
Fino allo scorso dicembre, l’estradizione era stata vietata per l’alto rischio di suicidio.
Ora, però, il rischio è stato dichiarato nullo e gli USA stanno sollecitando l’invio del carcerato. Alla pronuncia della sentenza il colpo è stato tale che Assange ha avuto un ictus.
#FreeAssange e gli appelli internazionali
Migliaia di attivisti, colleghi e familiari hanno chiesto a gran voce l’appoggio dell’opinione pubblica diffondendo sulla rete l’hashtag #FreeAssange.
Per favore, continuate ad alzare la voce con i vostri politici fino a quando sarà l’unica
cosa che sentiranno.
La sua vita è nelle vostre mani.
Ha dichiarato la madre in una lettera aperta.
L’estradizione sarebbe una per lui una sentenza di morte e per noi qualcosa di simile. I nostri figli rimarrebbero senza padre e io rimarrei senza l’uomo che amo per sempre. Deve essere liberato adesso.
Ha dichiarato invece la compagna Stella Moris.
La condanna di Assange significherebbe non solo una condanna a un giornalista che ha diffuso dei documenti di pubblico interesse, denunciando abusi e crimini del potere, ma significherebbe la condanna alla libertà di espressione che la democrazia dovrebbe garantire alla stampa.
L’appoggio dell’opinione pubblica è indispensabile per far si che un uomo innocente possa rivedere i suoi bambini, e per rendere giustizia a quel giornalismo scomodo in grado di cambiare il mondo.