Sarah Everard, la sua storia è anche la nostra

Era una semplice ragazza, lavorava come direttrice marketing in un’agenzia londinese, e il 3 marzo decise di uscire per andare a trovare un suo amico. Sarah Everard nel suo ritorno a casa, però, incontrò il suo destino, un destino maligno che paradossalmente era incarnato nella figura della giustizia, un poliziotto. Quell’incontro ha posto fine alla sua vita, e l’unica colpa di Sarah è essere nata donna.

L’ennesimo femminicidio

Il 3 marzo, alle ore 21, Sarah Everard stava camminando verso casa, di ritorno da una serata a casa di un amico. Telefona al suo ragazzo, con cui parla 15 minuti. L’ultima volta che è stata avvistata fu alle 21.28 di quella sera, dalla telecamera di un citofono lungo la strada. Da quel momento non ci sono più tracce, la ragazza è scomparsa. Il giorno successivo il suo ragazzo denuncia la sua scomparsa, lancia appelli per ritrovarla, utilizza tutti i mezzi a sua disposizione. Ma nulla, non ci sono più notizie su di lei.

Dopo qualche giorno, la crudele verità viene a galla. Il corpo di Sarah Everard viene ritrovato in una zona boscosa nei pressi della città di Ashford, nel Kent. L’impronta dei denti ha confermato l’identità del corpo. Il colpevole, non solo è un uomo che ha abusato del suo potere immaginario, datogli dagli ideali misogini con cui è cresciuto, ma è un poliziotto. Un uomo che dovrebbe perseguire la giustizia, ha invece inseguito una ragazza innocente, e le ha tolto la vita.

Questo crimine ha sgomentato prima di tutto le forze dell’ordine britanniche, rimaste sconvolte dall’idea che un collega sia stato l’artefice di tale tragedia. Ma non solo, questo evento ha tormentato anche le anime dei cittadini, che stavolta si sono fatti sentire. L’ennesimo femminicidio causato da un uomo, che faceva anche parte delle forze dell’ordine, ha causato un effetto ‘‘George Floyd’‘. Uno sconcerto generale nei confronti della milionesima ingiustizia avvenuta per mano della polizia.

L’impossibilità di difendersi da chi dovrebbe effettivamente difenderci, ha generato un’ondata di proteste. Queste hanno avuto come epicentro il parco di Clapham Common, e si sono ripercosse non solo nel Regno Unito, ma anche in altre parti del mondo. É un caso divenuto virale, perché le donne di tutto il mondo non ce la fanno più a sentire casi di questo genere. Siamo stanche, deluse, arrabbiate.

É comunque colpa nostra

Questa tragedia ha abbattuto una diga che ha fatto fuoriuscire un’ondata di testimonianze, accuse, racconti di altre donne che hanno vissuto episodi simili. Molestie e violenze in spazi pubblici, mentre andavano a lavoro, o tornavano a casa dalla palestra, o prendevano un taxi e in migliaia di altri contesti. L’episodio ha scatenato un tornado di lamentele da parte di ragazze che ogni giorno escono con la paura di poter vivere ciò che ha vissuto Sarah.

É una paura che un uomo non potrà mai capire, e questo è frustrante. Nessun uomo ha mai impugnato la chiave di casa tra le dita per poterla usare come difesa. O ha sentito il suo cuore battere sempre più forte perché camminando ha visto una sagoma maschile alle sue spalle. Nessun uomo dopo aver lasciato casa della sua ragazza deve scriverle e rassicurarla di essere arrivato a casa sano e salvo. Non ha mai attraversato la strada per evitare qualcuno che sta camminando nel suo stesso marciapiede. Non si è mai sentito urlare addosso frasi sporche, o a sfondo sessuale, per poi provare un senso di insicurezza e di paura per la propria incolumità.

Nei media quando si parla di Everard si dice che ha fatto ”tutto ciò che poteva” per evitare un episodio simile. Era vestita in modo trasandato, non era truccata, aveva delle scarpe che le permettevano di correre, è rimasta persino al telefono con il suo ragazzo per evitare fastidi da parte di altri uomini, ha percorso strade principali e ben illuminate. Ma questo non le è bastato per salvarsi.

Non c’è contesto, vestito, rossetto, scarpe, marciapiede, taxi, autobus, locale, parco in cui non possa riaccadere un episodio come quello di Sarah. Noi ragazze non ci sentiamo salve da nessuna parte. E il peso della nostra sicurezza viene fatto ricadere sulle donne stesse, piuttosto che sugli uomini, che sono la fonte di gran parte della violenza che esse subiscono.

La voce delle vittime

Tutte le donne in qualche modo si rivedono nella storia di Sarah Everard. In Italia sono quasi il 90% le donne che, almeno una volta nella loro vita, hanno subito una qualche tipologia di molestia a sfondo sessuale. Nel Regno Unito la percentuale è del 97%. Numeri assurdi da sentire. Ciò che ci salva è sapere che non siamo sole, la solidarietà tra di noi è la nostra migliore arma.

Siamo stanche di sentire discorsi moralisti da parte di persone di genere maschile che ci dicono “Non tutti gli uomini sono così..”. Non ci interessa. Noi non vogliamo più rischiare la nostra vita per colpa di un uomo. Nemmeno noi donne vorremmo essere tutte così, vittime di un patriarcato che ha sempre privilegiato il ruolo maschile, sottostimando l’indipendenza femminile, riducendo le nostre anime a corpi. Corpi che poi vengono abusati ingiustamente, fino ad essere ridotti a pezzi.

Oltre alla solidarietà, ciò che può salvarci è l’appoggio e la nostra voce. L’appoggio ad associazioni che proteggono le donne che hanno subito violenza, o di persone vicine che si rendono conto di cosa stiamo passando in caso di molestie o abusi. E la voce di noi donne, vittime di idee sbagliate, che abbiamo questa costante paura di poter essere utilizzate per uno scopo deplorevole, misogino e tragico. Solo parlando, discutendo, urlando si possono cambiare le cose.

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