Wong Kar-wai – amore e nostalgia tra le strade di Hong Kong

Al suo arrivo a Hong Kong, a soli cinque anni, Wong Kar-wai si ritrova ad affrontare un mondo sconosciuto. Avendo vissuto tutta la sua infanzia a Shanghai, la metropoli, con il suo curioso dialetto così differente da quello della città d’origine, lo disorienta. L’impossibilità di comunicare con chi gli sta intorno, al di fuori della sua famiglia, lo porta spesso a rifugiarsi nei cinema della città. Insieme alla madre, trascorre le giornate in un luogo dove non servono le parole per comprendersi, basta il linguaggio delle immagini per immergersi il quel mondo così distante ma anche incredibilmente tangibile. E Wong Kar-wai ne resta assuefatto.

L’infanzia forma il suo immenso amore per il cinema. E Hong Kong diventa molto meno spaventosa. Inizia a studiare le arti visive, frequentando una scuola di grafica. Dopo un anno passato a lavorare in televisione, Wong Kar-wai si avvicina finalmente al mondo del cinema, inizialmente come sceneggiatore, per poi passare dietro la macchina da presa. A quel punto il regista può riportare sullo schermo quelle immagini che l’hanno tanto affascinato durante l’infanzia.

Stringe un patto con il cinema, promettendogli di riversare nelle sue pellicole tutti quei segreti, quei desideri, quell’amore che l’hanno travolto nel corso della sua vita. E si auto-impartisce una prima regola: essere sempre onesti con se stessi.

Un cinema d’atmosfera

Wong Kar-wai avrebbe sempre voluto essere come Alfred Hitchcock. Il regista de La finestra sul cortile, prima di girare un film, scriveva una cosiddetta “sceneggiatura di ferro”, alla quale si atteneva nei minimi dettagli: tutto era stabilito e organizzato. Per Wong Kar-wai, al contrario, “lo scenario viene prima della storia”. La sceneggiatura prende forma in maniera molto più sperimentale, a contatto con i luoghi, gli attori, le sensazioni che si generano durante la realizzazione della pellicola. É tutto molto più istintivo. Dopotutto, il cinema di Wong Kar-wai vive di atmosfere: dai colori alla musica, dai movimenti di macchina a espedienti grafici, le immagini trasmettono una vena ben più poetica che narrativa.

Quando il regista passa per la prima volta dietro la macchina da presa, con il film d’esordio As tears go by del 1988, gli viene concessa una quasi totale libertà artistica. Vincitore all’Hong Kong Film Festival, questa prima pellicola pone le basi per quelle caratteristiche stilistiche del cinema di Wong Kar-wai: l’amore impossibile o non ricambiato, la lentezza formale della storia, la messa in scena metropolitana.

Elementi che prenderanno forma concreta nel 1990, data di nascita del “vero” cinema del regista di Hong Kong, che con Days of being wild inizia a lavorare a fianco di quello che diventerà uno dei suoi più importanti collaboratori, il direttore della fotografia Christopher Doyle. Con Doyle, il regista, trova un artista che parla la sua stessa lingua, con il quale riesce a trasmettere l’alienazione e la solitudine dei suoi protagonisti, pur riportando sullo schermo la vita frenetica di Hong Kong.

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Il regista insieme al direttore della fotografia Christopher Doyle

Il successo internazionale

I primi film, dunque, consacrano lo stile di un regista sperimentale e innovativo, senza però ottenere grandi risultati dal punto di vista commerciale. Bisognerà attendere il 1994, con l’affascinante Chungking Express, per ammirare il primo successo internazionale del regista, grazie anche a Quentin Tarantino che omaggia, con entusiasmo, la filmografia di Wong Kar-wai. Sarà questo film, che si muove a partire da due storie d’amore apparentemente impossibili ambientate, come sempre, nella caotica Hong Kong, a dare al regista la possibilità di continuare con la vena sperimentale anche nella pellicola successiva, Fallen Angels.

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Una scena tratta da Fallen Angels (1995)

Girato servendosi di strumenti come il grandangolo, lo slow motion, uniti a continui piani sequenza e movimenti di macchina vertiginosi, il regista realizza una delle pietre miliari del suo cinema. La pellicola, che si muove costantemente tra il dramma, la commedia e il thriller, trasmette un senso di claustrofobia ma anche un profondo desiderio di libertà, rappresentata attraverso il ritmo incalzante della musica e i velocissimi movimenti di macchina.

Dai fatiscenti alberghi di Hong Kong, sino ad arrivare alla luminosa Argentina, Wong Kar-wai si muove tra bianco e nero e tonalità accese per girare uno dei film più intimi della sua carriera: Happy Together (1997). Il regista dipinge l’amore proibito di due uomini, carnale e a tratti tossico, accompagnato da una colonna sonora che abbraccia delicatamente i due protagonisti. Lento e profondo, privo di una vera e propria trama, il film comunica il calore del sentimento, e viene apprezzato fortemente dalla critica. Il regista, infatti, otterrà a Cannes la Palme d’Or come miglior regista, accompagnata dal primato di essere il primo artista di Hong Kong a riceverla.

Amore e nostalgia

“La musica è un colore”. Se così fosse, il mondo creato da Wong Kar-wai sarebbe dalle forti tonalità rosse, come lo splendido abito indossato dalla protagonista dell’indiscusso capolavoro del regista: In the mood for love (2000). Nostalgico e introspettivo, coinvolgente e affascinante come i suoi due protagonisti, In the mood for love non necessita una trama da cui prender forma. Il regista attinge a piene mani da quei desideri, quegli amori impossibili e “che sarebbero potuti nascere“, dove la comunicazione non sorge dal linguaggio verbale ma dal contatto dei corpi.

In the Mood for Love a Cannes Classics - Cinematografo
Una scena tratta da In the mood for love (2000)

“Quizas, quizas, quizas” canta la voce elegante di Nat King Cole, accompagnamento principale della pellicola, muovendosi sinuosamente tra le solitarie strade di Hong Kong e tra i mesi, gli anni, che passano e allontanano sempre più Chow Mo-Wan e Su Li-Zhen (interpretati rispettivamente da Tony Leung Chiu-Wai e Maggie Cheung, due volti chiave del cinema del regista). Nostalgia e solitudine, due temi chiave che chiuderanno la “ideale” trilogia nata a partire da Days of being wild, con 2046.

Questo è forse, uno dei lavori più politici del regista, che tratteggia le evoluzioni di Hong Kong dal punto di vista social-culturale. Eppure, un film che fa dell’amore “perso e ritrovato” la sua ragion d’essere, senza mai dimenticare le tinte malinconiche date dai colori e dalla musica “spagnoleggiante” che il regista amava sin dall’infanzia.

Una voce inconfondibile

Nel 2007 Wong Kar-wai presenta al grande pubblico il suo primo film in lingua inglese, My Blueberry Nights che vede protagonisti la cantante Norah Jones, Jude Law e Natalie Portman. Un road movie atipico, nel quale il regista indaga nuovamente sull’amore e sulla solitudine, accompagnato da una messa in scena spesso notturna, ricca di luci al neon. Cambia la città, da Hong Kong a New York, ma l’estetica inconfondibile e vivida del regista, resta la stessa.

Da sempre accompagnato dal già citato Christopher Doyle e dallo scenografo William Chang, Wong Kar-wai è stato, e continua a essere, una delle più grandi ispirazioni cinematografiche per molti registi contemporanei. La sua immensa forza sta nel dar voce al proprio passato e al proprio sentimento, rendendolo così incredibilmente universale. Il regista, con le sue potentissime immagini, è in grado di scavare nell’anima dello spettatore, che si immerge completamente in una vera e propria melodia cinematografica.

In the mood for Wong: whatever happened to Wong Kar-Wai?
Il regista Wong Kar-wai sul set

L’ultimo lavoro del regista risale al 2013, si tratta di The Grandmaster. Riguardo alle sue prossime pellicole, Wong Kar-wai resta estremamente riservato: alcuni media asiatici parlano di un film dal titolo Blossoms, corale e ambientato tra le strade di Shanghai. Che Wong Kar-wai voglia riallacciarsi alla sua infanzia, che l’ha così tanto segnato dal punto di vista personale e artistico? Non ci resta che attendere per scoprire quale nuova poesia il regista di Hong Kong ha in serbo per noi.

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