L‘8 marzo si è festeggiata la “Festa della donna”, giornata nata ancora a inizio ‘900 per celebrare le donne in ogni parte del mondo. Oggi, nel 2021, ancora non si è capito il fine di questa festa. Molti nemmeno sanno che in realtà non è la “Festa delle donne” ma la “Giornata internazionale dei diritti della donna”. Nasce per ricordare le lotte sociali e politiche che le donne hanno dovuto affrontare affinché la loro voce venisse ascoltata. In questo giorno non vogliamo le mimose, vogliamo ricordare ciò che per anni hanno calpestato: i nostri diritti.
Comprate le mimose mentre noi lottiamo
Quanti fidanzati, mariti, papà ogni 8 marzo escono dal fioraio con un prezioso mazzo di mimose da portare alle donne che stanno al loro fianco. E quanti di loro, nei rimanenti 364 giorni, fanno commenti sessisti, lanciano sguardi maliziosi quando una ragazza sta semplicemente camminando per la strada. Quanti di loro fanno catcalling o fischiano mentre noi andiamo in università, o a lavoro. Quanti ci ridono in faccia non appena raccontiamo le nostre ambizioni lavorative, che magari riguardano ruoli che solitamente sono occupati da uomini.
Solo nel 2021 ci sono già stati 13 femminicidi. Donne innocenti, che sono vittime degli ideali misogini costruiti dalla società in cui stiamo crescendo. Per non parlare dei numerosissimi stupri, che poi vengono ridotti a commenti sulla gonna corta che lei indossava, o il rossetto provocante che portava sulle labbra. È come se i nostri corpi, le nostre menti, le nostre anime fossero concepite dagli uomini come cose. Cose da toccare, da guardare, da manipolare. Nonostante tutto, però, le mimose ce le regalate.
Noi donne abbiamo bisogno di una festa per ricordare i nostri diritti a coloro che li ignorano da sempre. Ci serve lottare ogni giorno per raggiungerne di nuovi. E tutto ciò che le donne prima di noi hanno ottenuto è fondamentale, ma non sufficiente. Ancora quello che dovrebbe appartenerci come diritto fondamentale, dobbiamo prendercelo. Dobbiamo conquistare gli spazi che non ci vengono dati. Se nasci donna devi combattere più degli altri per ottenere quello che già dovresti avere.
Le “Vere Donne” secondo Barbara Palombelli
Poco prima dell’8 Marzo, Barbara Palombelli, giornalista e conduttrice italiana, ci ha donato un suo monologo sul palco di Sanremo, in cui esprimeva cosa volesse dire per lei essere “Vere donne”. Nella sua performance ripercorre i passi della sua vita, del suo lavoro e della sua lotta ed emancipazione tra gli anni sessanta e settanta. Esprime il divario tra gli ideali che all’epoca c’erano nei confronti di ogni donna, vista come madre, che si prendeva cura della sua famiglia, e stava “tranquilla a casa con un filo di perle e i capelli raccolti”. Ma lei si definisce anche “ribelle”, voleva lavorare, raggiungere l’indipendenza, e spiega che per raggiungere tale obiettivo c’è un solo modo, studiare e lavorare “fino alle lacrime”.
Questo monologo è stato oggetto di moltissime critiche, perché sono innegabili gli stereotipi inculcati nella generazione della Palombelli nei confronti delle donne. Lei acclama la donna madre, colei che “tiene in piedi il paese, tenendo aperte le scuole, prendendosi cura dei malati”. Colei che per ottenere i propri spazi deve lottare, soffrire, lavorare e studiare fino a stare male per ottenere un minimo riconoscimento. È proprio questo il problema.
Parla di “traguardi guadagnati e da difendere” quando il divario di genere oggi è ancora enorme. Siamo davanti ad una società in cui i diritti e le opportunità non sono distribuiti secondo l’etica, ma secondo l’opportunismo. Secondo la Palombelli però dobbiamo difendere ciò che abbiamo ereditato, con “il nostro inconfondibile sorriso”.
“Tanto non andremo mai bene, ci criticheranno sempre, ci umilieranno, ci metteranno le mani addosso, non saremo mai perfette, non andremo mai bene ai mariti, ai padri, ai fratelli”. Ora, forse la Palombelli ancora non ha capito che siamo nel ventunesimo secolo, ma è proprio per questa mentalità che caratterizza la maggior parte delle donne della sua generazione, che non facciamo passi avanti. Sarebbe questa l’eredità che ci avete lasciato? Questo sentimento di rassegnazione nei confronti dell’ingiustizia?
Per l’8 marzo che verrà
Per il prossimo 8 marzo, dunque, lasciamoci alle spalle gli stereotipi a cui la donna è costantemente attribuita. Continuiamo ad andare verso una visione più libera e aperta del nostro futuro, in cui saremo viste non solo come corpi ma anche come menti. Non solo come madri e detentrici di cura, ma anche come indipendenti e lavoratrici. Perché il cambiamento può arrivare solo da noi, e non limitandoci a difendere ciò che già abbiamo, ma spingendoci a volere sempre di più.
Per il prossimo 8 marzo, al posto di spendere soldi per un prezioso mazzo di mimose, doniamo ai centri anti-violenza sulle donne, per proteggere tutte coloro che vengono abusate, e far onore a quelle che hanno avuto il coraggio di denunciare il loro carnefice, mettendo a rischio la propria vita. Per sapere qual è il centro anti-violenza più vicino a voi, basta visitare la mappa dei centri anti-violenza sulle donne di tutta Italia.