Quando Vincent Price, Bela Lugosi e i monster movie sono i tuoi migliori amici. A Tim Burton la normalità è sempre stata stretta.
Quando, durante l’infanzia, gli amici preferivano divertirsi con una partita a baseball, il piccolo Tim aspettava solo il momento giusto per rinchiudersi nel suo sancta sanctorum: il cinema. E tanto più la pellicola era spaventosa, grottesca e fuori dall’ordinario, tanto più il piccolo Tim ne rimaneva affascinato. Un’infanzia, dunque, strana e inusuale che avrebbe formato per sempre una delle menti più creative del cinema contemporaneo.
Quell’amore per l’eccentrico, per gli scheletri, per il macabro, la paura dei clown, l’ossessione per l’humour nero sarebbero a breve sarebbero diventati i suoi marchi di fabbrica, tanto da poter coniare un termine: burtoniano. Il cinema di Tim Burton non è solo stilisticamente impossibile da non riconoscere, ma è anche privato e celebrativo. Dal suo passato, fatto di solitudine e incomunicabilità, Burton è stato in grado di creare pellicole dove i cosiddetti “misfits”, i “disadattati”, potessero avere la loro rivalsa.
Dalla Disney a Vincent
“Gli strani sono probabilmente i migliori” è il motto di Tim Burton, che si traduce anche nel suo cinema. Dal richiamo all’espressionismo tedesco, alla messinscena fortemente gotica, dall’amore per la tecnica dello stop motion a quello per i b-movies, il regista ha spaziato in lungo e il largo per lasciare un’impronta quanto più personale e distinguibile nel panorama cinematografico.
L’amore per il disegno, però, lo caratterizza sin da giovane. Riempie i quaderni di sketch e bozzetti dai quali prendono vita quei personaggi, da Edward mani di forbice a La sposa cadavere, così irrimediabilmente iconici. Grotteschi e dai volti scavati, contorti e ai limiti del mostruoso, sembra quasi paradossale che un regista come Tim Burton abbia in realtà iniziato la sua carriera lavorando per la “radiosa” Disney.
I suoi primi lavori, dal cortometraggio Vincent (narrato da Vincent Price in persona) al cortometraggio Frankenweenie (la storia di un bambino che cerca di riportare in vita il cane tragicamente morto), vennero considerati eccessivamente spaventosi per il giovane pubblico dell’epoca. Tim Burton venne ben presto licenziato. Certamente un bene, perché a quel punto Burton era pronto a dedicarsi interamente a quel cinema da cui si sentiva maggiormente rappresentato.
Le maschere di Burton
Gli anni novanta consacrano il cinema di Tim Burton. Già due anni prima dell’inizio del nuovo decennio, il regista mostra finalmente le sue carte realizzando Beetlejuice, con Michael Keaton come protagonista. Burton, con Keaton, inizia a creare le sue inconfondibili maschere: essendo cresciuto con attori dal trucco iconico come Bela Lugosi, Lon Chaney e Boris Karloff, Burton infonde questa caratteristica fortemente espressionista e carica nei suoi attori feticcio. Da Johnny Depp in Edward mani di forbice a Helena Bonham Carter in Sweeney Todd, Burton nasconde gli attori dietro a un trucco pesante, per mostrare un altro lato di sé, per liberarli dalla propria individualità.
La scelta degli attori, dopotutto, non è mai causale. Da ragazzino con grandi problemi di comunicazione, il Burton regista mostra le sue innate capacità nella direzione di attori che, a suo dire, parlano la sua stessa lingua. Burton, dopotutto, proietta sullo schermo e su quelle immagini eccentriche e grottesche tutta la sua anima e il suo passato. Edward mani di forbice, uno dei suoi capolavori, rappresenta metaforicamente l’incapacità dello stesso Burton di “connettersi con le persone” che lo circondavano. “Hug me” chiede Kim (Winona Ryder) a Edward, che risponde con un tristissimo “I can’t”. Burton, come Edward, non può e non riesce ad avvicinarsi agli altri, e solo grazie al cinema riesce a trovare un linguaggio comune.
I mille volti di Tim Burton
Durante gli anni Novanta e gli inizi degli anni Duemila, Tim Burton mette in gioco la sua immensa creatività per realizzare molte pellicole, che spaziano dalle commedie nere al musical grottesco. Predilige, in particolare, i remake (come per Il pianeta delle scimmie del 2001) e dà nuova linfa alla saga di Batman (sotto la maschera si nasconde, di nuovo, Michael Keaton) puntando soprattutto sui villain e la loro inconfondibile immagine: sono ormai iconici il Joker di Jack Nicholson e il Pinguino di Danny DeVito.
É il 1994 quando però esce uno dei film più intimi del regista: Ed Wood, una vera e propria lettera d’amore al regista considerato, a buon dire, il peggiore della storia del cinema. Amante dei b-movie, ossessionato dal cinema mostruoso e lui stesso un uomo ben fuori dall’ordinario, Tim Burton rivede se stesso nel regista americano (che prende il volto di Johnny Depp). Burton tratteggia con profonda empatia Ed Wood e il suo bizzarro team, dipingendo soprattutto la profonda amicizia che nacque tra il regista e l’icona del cinema horror Bela Lugosi, con cui girò moltissimi b-movie.
L’amore per i b-movies porta Tim Burton a concludere il decennio con un cult come Mars Attacks!, la cui trama (un’orda di alieni che invade la terra e che può essere fermato solo dalla canzone Indian love call di Slim Whitman) fa emergere tutta l’originalità (e stravaganza) artistica di Tim Burton.
In attesa della rinascita artistica
Tim Burton ha avuto il merito di tenere in vita la tecnica d’animazione dello stop motion: da La sposa cadavere fino alla produzione di Nightmare Before Christmas (diretto, però, da Henry Selick). La massima creatività artistica di Tim Burton si rende visibile nel momento in cui il regista ha la possibilità di creare dal nulla, lavorando fino all’ultimo dettaglio, il mondo che proietta sullo schermo. Inoltre, grazie alle inconfondibili colonne sonore di Danny Elfman, Burton ci trasporta, come ne La sposa cadavere, in un aldilà ben più allegro e colorato della tetra realtà.
Tim Burton negli ultimi anni sembra volersi dedicare a remake di opere cinematografiche iconiche del passato, con l’obiettivo di dar loro quel peculiare marchio burtoniano. Molti parlano di una parabola discendente della sua cinematografia, altri di una vera e propria “crisi artistica” che sembra aver avuto inizio con La Fabbrica di Cioccolato fino al suo ultimo lavoro, Dumbo.
Non è sbagliato dire che Tim Burton, negli ultimi anni, sembra aver perso la sua inconfondibile voce, puntando su pellicole che non hanno la forza espressiva e artistica di molti capolavori del passato. Attendiamo tutti con impazienza il rinascimento di un regista che ha infuso nel suo cinema le sue paure, i suoi sogni, i suoi desideri, rendendoli anche nostri.