In una realtà concepita come l’unica possibile, pensare a un mondo diverso è ciò di cui abbiamo bisogno. Parlando con Alberto Brizioli, uno dei fondatori del progetto Edicola 518, è emersa la necessità di ascoltarsi per rimodulare le azioni di tutti i giorni su una frequenza più naturale.
Basta sintonizzarsi con la libertà insita in ciascuno di noi e rifiutare i percorsi preconfezionati. È ora di spostare l’attenzione dall’evento alla quotidianità, dai personaggi alle persone. Il sistema degli idoli, degli eroi e dei mostri va sradicato.
Il diritto di rompersi
In questi mesi abbiamo avuto la conferma che non va tutto bene. È fuorviante volersi mostrare sereni in una condizione insoddisfacente. Per quanto sia contraddittorio, lo stare male è un sintomo di salute.
C’è una rivendicazione della fragilità e del diritto di rompersi. Non si deve essere sempre integri o coerenti. La farmacologizzazione forzata è una realtà comune, nella convinzione che sia necessario mostrarsi attivi e felici ad ogni costo. Questa monotonia caratteriale si fissa sulle corde della serenità, ma è solo un’illusione se non è alternata con la tristezza. La felicità è definita anche dallo stare male.
Consacrati alla produzione
Il ritorno del malessere nelle narrative può liberarci dall’obbligo di dimostrarci all’altezza e di avere una vita perfetta e performante. Ciò fa affiorare da sottopelle una malattia sociale più profonda della pandemia, che riguarda una struttura ormai naturalizzata.
Le istituzioni in cui cresciamo hanno una connotazione gerarchica che difficilmente consente il libero sviluppo delle inclinazioni personali. La forza della condivisione delle idee è nota, però emerge il bisogno di prevalere. Il narcisismo non si verifica in assenza di una relazione ma nello sviluppo di un rapporto di dominio. Siamo incapaci di instaurare rapporti orizzontali. Si è disposti a soccombere nella scala gerarchica pur di salvaguardare quella piccola sfera di dominio da esercitare su qualcun altro.
Quando ci si affaccia sul mondo del lavoro, si entra a far parte di una struttura organizzata nella quale ci si deve collocare. Gran parte dei lavori di oggi alimentano un sistema fatto di meccanismi opachi agli occhi dell’individuo. Ivan Illich oppone all’alienazione la convivialità. Conviviale è ciò di cui si comprendono le dinamiche, è cucinare un pasto invece di ordinarlo con delivery. Si tratta di una qualità artigianale che dà profondità al processo e lo colma di significato.
Oltre la logica
L’inutilità può essere una terapia contro l’ansia da prestazione. La pazzia, l’incoerenza, le azioni che non pretendono un ritorno immediatamente spendibile. Da nessuna parte è scritto che ci si debba spiegare ogni cosa. Porsi al di fuori degli schemi della logica apre a concezioni e stili di vita differenti. Un esercizio pratico per scollarsi dalla pianificazione sistematica è la tecnica situazionista della deriva. Questa consiste nel camminare facendosi guidare dagli stimoli esterni, perdersi, stare nella temporalità della lentezza.
André Breton riconosceva il lavoro come un bisogno naturale dell’uomo, affermando però che la più profonda realizzazione del singolo si riscontra in altre attività. Sembra invece che siamo incapaci di fare altro se non produrre. Abbiamo smesso di essere contemplativi. Durante il lockdown abbiamo riempito le nostre ore con Netflix pur di fare qualcosa. Manca un’educazione al non fare niente, allo stare da soli, al silenzio. Lo spazio vuoto deve essere riempito ad ogni costo.
Essere artisti della vita è possibile, la natura dell’uomo è libera. Prima della libertà di scelta c’è la libertà ontologica. Però continuiamo a creare dei bisogni indotti che portano a chiedere sempre di più. Non si fa più nulla per il solo gusto di farlo, senza produrre qualcosa che lo attesti o documentarlo sui social.
Uno sguardo amorevole
Siamo liberi di perderci, di sprecare tempo, di fermarci, di spendere risorse per qualcosa che non preveda un guadagno. Cercare un senso nelle cose è legittimo, deve però essere sradicato dagli scopi che il pensiero comune impone. In quest’ottica, si può guardare alla cultura dell’accoglienza: una finalità c’è, ma non è riconducibile al proprio Io.
Byung-Chul Han indica la gentilezza come la via per l’uscita dal narcisismo. Questa attitudine riguarda l’amore, che non è una realtà edulcorata. L’amore dilania, rende vulnerabili, è l’assurdità di avere ancora fiducia nel mondo. Decidere di starci nonostante tutto. La libertà e l’amore sono un binomio inscindibile. Solo in questo modo lo scopo si sposta dall’Io all’Altro.
Lo sguardo dell’artista trasforma il vissuto, anche negativo, in arte. Lo abbraccia per quello che è e lo ama come parte dell’esperienza umana. Non abbiamo bisogno di picchi, l’amore risiede nella semplicità. Questo sguardo è un’incredibile delicatezza che rifiuta il possesso. Si è attenti a non snaturare le cose, rispettando ciò che si ha di fronte. Nell’amore anche l’uomo comune è un artista e la sua opera ha ancora più valore se è disinteressata.
Pensare un mondo diverso
Al di là delle concrete possibilità, non si deve soccombere all’idea che non esistano alternative al capitalismo. C’è un’energia nelle idee che si muovono in un’epoca. È importante che in un momento storico germoglino dei pensieri capaci di immaginare una realtà diversa, anche in grande, in maniera inaudita e spropositata rispetto alla competenza del singolo.
Forse questa è la prima epoca in cui il fantasticare su dei cambi radicali non sembra concesso. La perdita della capacità di inventare altri mondi è il sintomo di un momento storico malato.